Due riflessioni sui gender e la sessualità

La prima riflessione è offerta da un libro pubblicato recentemente: Cavalieri e Principesse, scritto da Giuliano Guzzo. Questa è la recensione di Marco Tosatti apparsa su La Nuova Bussola Quotidiana:
E’ sempre interessante vedere come dalle battaglie contro gli stereotipi, veri o presunti, finiscano per nascere altri stereotipi, che poi tocca a scrittori e libri attenti e acuti contraddire e smascherare, per riportare equilibrio e razionalità in temi delicati. E’ il caso di Cavalieri e Principesse, scritto da Giuliano Guzzo per I Tipi della casa editrice Cantagalli, in uscita in questi giorni nelle librerie, il cui sottotitolo è eloquente: “Donne e uomini sono davvero differenti, ed e? bello cosi?”.  L’indice dà un’idea dei campi in cui l’autore entra in lizza, armato di dati rigorosamente scientifici, ricerche, e sondaggi contro alcune delle idee con cui la marea superegualitarista della vulgata politically correct tenta di affogare buon senso ed evidenza.
Differenza, non diseguaglianza;  Fiocco azzurro o fiocco rosa? Bambole e camioncini. Cervelli diversi. Come sognano le ragazze, non sogna nessuno. Parole, lacrime, sorrisi. Uomini al volante pericolo costante. Il (falso) mito dell’uomo casalingo. Lei, lui e l’amore... 131. Solo stereotipi? La bellezza della differenza.
Da molto tempo, e soprattutto da una quarantina d’anni, occuparsi della differenza fra uomo e donna sembra non solo pericoloso, ma anche culturalmente arretrato; quasi che in fondo in fondo, specialmente se è un uomo a parlarne, ci sia il tentativo occulto di rimettere tutte ai fornelli, e basta con le fisime. Guzzo lo sa benissimo,: parla del rischio di  “alimentare antichi pregiudizi, di apparire ostili alle pari opportunità? e di generare attriti”. E allora perché andare a mettere le mani in un groviglio così spinoso come quello dei rapporti maschio-femmina? Perché ogni giorno di più la differenza sessuali rappresenta uno dei problemi, se non “il” problema principale che la nostra società – occidentale – in questo particolare momento storico si trova ad affrontare. Lo vediamo, sulla pelle nostra e dei nostri figli, con i tentativi striscianti o clamorosi di far passare le teorie propinate dall’ideologia Gender, e pubblicizzate come il dernier cri del progresso dai mass media inzuppati di cultura di regime.
E allora, scrive l’autore, “vi sono serie ragioni che non solo stanno restituendo attualità? al tema. A preoccupare, soprattutto, e? la polarizzazione di cui sempre più? sta divenendo oggetto l’argomento: da una parte coloro che ritengono detta differenza scontata senza pertanto avvertire il bisogno di alcun approfondimento, dall’altra quanti la considerano infondata; da un lato, l’esercito dei sapientoni, dall’altro quello degli scettici: i primi mescolano le differenze reali con quelle immaginarie, i secondi, pur di contrastare quelli che chiamano stereotipi di genere, non ne vedono più? alcuna respingendo vigorosamente ogni osservazione in proposito e bollandola come funzionale solo a perpetuare il dominio maschile sull’altro sesso”.
Se abbiamo capito l’intenzione dell’opera di Guzzo è quella di offrire ai lettori tutta una serie di elementi solidi, e indiscutibili, nella misura in cui i dati scientifici più recenti e sono indiscutibili, in attesa di nuove ricerche e nuove scoperte, per farsi un’idea chiara sullo stato della questione. E in particolare per aiutarci a capire, alla luce di un buon mezzo secolo di discussioni sul ruolo della natura e su quello dei condizionamenti sociali e di ambiente, che cosa attribuire a chi. Uno sforzo non polemico ma di evidenza per colmare molte lacune di ignoranza, per primo in chi scrive, che sicuramente rendono solo più confuso il panorama del dibattito e incerte le risposte.
Giuliano Guzzo, come si può capire facilmente dalla sua biografia, e dalla lunga lista dei suoi interessi e attività, laureato in Sociologia e Ricerca Sociale (110/110) con una tesi di filosofia del diritto, è certamente cattolico. Ma chi leggesse solo “Cavalieri e Principesse” non se ne accorgerebbe; perché il suo libro non tocca in nessun modo gli aspetti religiosi dell’essere uomo o donna, o gli eventuali input che il mondo della fede, qualunque fede, potrebbe dare alla discussione. La regina dei giochi – e dei ragionamenti – è la scienza, e in particolare le discipline legate alla biologia e alla chimica, e i loro effetti sui comportamenti umani.
Da onesto ignorante, per esempio, mi ha appassionato scoprire il ruolo della chimica in qualche cosa di appaerentemente ben lontano dalle provette, come la preferenza per bambole o camioncini. Scrive Guzzo: “La piu? impressionante fra tutte pero? sembra essere la ricerca della psicologa Gerianne Alexander la quale ha cercato di osservare le reazioni di bambini di circa cinque e sei mesi di età? – diciassette di sesso femminile, tredici di sesso maschile – dinnanzi a due oggetti tridimensionali che meglio di tutti gli altri rappresentano i giocattoli sessualmente tipizzati, vale a dire una bambola rosa ed un piccolo camion blu. Ebbene, benché? non siano state misurate differenze fra i due sessi nell’estensione temporale dell’attenzione rivolta ai due oggetti, nel momento in cui si e? andato a conteggiare le volte nelle quali i bambini li fissavano e? arrivata la sorpresa: le femminucce, rispetto ai maschietti, si mostravano maggiormente interessate, in proporzione, alla bambola rispetto al camioncino”. 
D’accordo, ma come mai questo accade? “Un’ipotesi sempre più? considerata e? quella ormonale. A renderla credibile e? in particolare il caso delle donne esposte in fase prenatale a livelli eccezionalmente elevati di testosterone; la gran parte di costoro ha una malattia nota come iperplasia surrenale congenita la quale, benché? dopo la nascita consenta d’intervenire riportando nella norma i livelli ormonali, si manifesta comunque con effetti netti sul comportamento delle bambine. In pratica queste – come ha sottolineato anche la psicologa Doreen Kimura (1933-2013) – presentano atteggiamenti e preferenze, anche nella scelta dei giocattoli, più? simili a quelle maschili che a quelle delle coetanee femmine”.
Ma l’elemento, fra i tanti, che mi ha divertito di più è che “Una solida conferma di una distinta preferenza dei giocattoli nelle scimmie a seconda del sesso e? venuta, in tempi recenti, da una ricerca condotta dalla già? citata Gerianne Alexander e da Melissa Hines, le quali hanno posto dinnanzi a degli esemplari di cercopiteco grigioverde differenti tipologie di oggetti: un’auto della polizia ed una palla, classificati come giocattoli da maschio, un libro illustrato e un cane di peluche, classificati come giocattoli neutri, e una bambola ed una padella, classificati come femminili. Il risultato, in breve, e? stato che gli animali di sesso femminile hanno trascorso più? tempo, rispetto agli altri, coi giocattoli da bambina”.  Una preferenza che difficilmente può essere attribuita al ruolo dell’ambiente o dei genitori. Stereotipi di genere anche fra le scimmie?
Per approfondire vedi anche la recensione di Tempi.

La seconda riflessione, proposta da don Lonardo, è di Fabrice Hadjadj: "Il membro della famiglia":
Non c’è solo il sesso, dunque, anche l’ombelico è legato alla sessualità. Il primo segna la differenza sessuale; il secondo la differenza generazionale. Il primo mi rivela come maschio; il secondo come figlio. Ma figlio e figlia ci sono soltanto perché ci sono stati un uomo e una donna. La differenza sessuale genera la differenza generazionale.
La differenza dei genitori e dei figli nasce dalla differenza del maschio e della femmina e dalla loro unione. È su questa differenza dei sessi che vorrei soffermarmi. Tale differenza costituisce una relazione assolutamente originale e fondatrice. Originale perché originaria (ne deriviamo tutti, come abbiamo appena detto), fondatrice perché fonda l’accoglienza a tutte le altre differenze.
Guardando il mio sesso, mi accorgo che sono un uomo, e tuttavia non rappresento tutta l’umanità, perché l’umanità è composta da uomini e da donne. Mi accorgo anche che questo membro, che è al centro di me, sfugge al mio possesso: non solo non lo controllo interamente – non obbedisce alla mia volontà come il mio braccio, per esempio – ma mostra anche che la realizzazione di me stesso non può avvenire se non attraverso e grazie a un altro, l’altro sesso, poi l’altro figlio, il che spezza l’idolo di una concezione egocentrica dell’esistenza.
Questa è l’originalità della relazione dei sessi: una relazione in cui l’unione non abolisce la differenza, ma la compie (i muscoli palestrati non bastano: l’uomo non è mai così virile come quando è sposo e padre; e la civetteria nemmeno: la donna non è mai così femminile come quando è madre… e donna). In questa relazione, è attraverso la differenza irriducibile che si diventa se stessi.
Questa originalità è spesso velata sia dal fantasma della potenza fallica, sia dal mito della fusione romantica, sia dalla morale della complementarità. Nel primo caso, il rapporto dei sessi viene affermato in termini di dominio e dunque di contraddizione: l’uno arriva a schiacciare l’altro. Nel secondo caso, viene esaltato in termini di dissoluzione e dunque di confusione: l’uno e l’altro si fondono in un brodo sentimentale. Nel terzo caso, viene rappresentato in termini di complementarità e quindi di totalizzazione: l’uno e l’altro si incastrano senza lasciar più spazio ad alcuna distanza né breccia, e formano un insieme beato e autosufficiente.
Tali sono le tre coppie che appaiono proprio quando si riduce la relazione sessuale alla coppia (mentre si presume che il terzo ne scaturisca): macho e casalinga (o Crudelia e Masoch), Tristano e Isotta, incastro tra zipolo e alloggio… O ancora: duello spietato, duo perfetto, affare ben fatto.
Ma, come ha ben mostrato Emmanuel Lévinas, la dualità dei sessi non è né contraddizione né fusione né complementarità, è apertura all’altro in quanto altro, in modo tale che la faglia resti aperta, che l’altro non vi sia mai dominato, né assorbito né adattato: “Il carattere patetico dell’amore consiste nella dualità insuperabile degli esseri. È una relazione con ciò che si sottrae per sempre. La relazione non neutralizza ipso facto l’alterità, ma la conserva. L’altro in quanto altro non è qui un oggetto che diventa nostro o che finisce per identificarsi con noi; esso, al contrario si ritrae nel suo "mistero".
L’abbraccio ci espone all’incomprensibile. Più io abbraccio l’altro più altro, vale a dire l’altro dell’altro sesso, più viene sottratto – nella sua stessa offerta – alla mia comprensione. Posso penetrare fisicamente una donna, ma la donna nella sua femminilità resta impenetrabile: si ritira in una sorta di “verginità eternamente inviolata”.
E si arriva ancora più lontano: l’alterità dell’altro non solo è conservata, magnificata nell’unione sessuale, è anche moltiplicata. Per la sua fecondità naturale, questa unione ne genera un’altra. La differenza sessuale non viene mai superata, se non duplicandosi in qualche modo, compiendosi nell’avvenimento di una seconda differenza abissale: la differenza generazionale. Quella che dà nascita a un figlio.
Al fondamento del mistico
Ecco la conclusione che posso trarre da una semplice meditazione sul mio basso ventre. Per quanto mi guardi l’ombelico o le parti intime, esse, se vi faccio attenzione, mi rimanderanno sempre al di là di me stesso, a prima della mia nascita (perché l’ombelico è la traccia della mia vita intrauterina) e dopo la mia morte (perché queste parti sono genitali e naturalmente volte alla posterità). Il mio ombelico come cicatrice e il mio pene come indice mi manifestano che sono grazie a un altro e per un altro, che posso compiermi solo con l’altro e anche nell’altro – non sviluppandomi ma fruttificando, cioè dando nascita a un altro (figlio) con un’altra (donna).
È per questo che finché c’è un uomo solo, non c’è ancora l’uomo. Nel secondo racconto della Creazione, il racconto dell’Eden, Dio dichiara: Non è bene che l’uomo sia solo (Gn 2, 18). Mentre il primo racconto della creazione in sette giorni è scandito da un Dio vide che era cosa buona, qui, Dio dice che non è bene. Adamo sperimenta la sua solitudine, una solitudine, una tristezza che, nel paradiso dell’individuo isolato, è il segno che il paradiso non è nel benessere individuale ma nella comunione con l’altro; una comunione che non è dominio, né fusione, né complementarietà, ma relazione con colui o meglio con colei che resta differente e che moltiplica inesorabilmente la differenza.
Curiosamente, se si passa dall’origine della saggezza biblica all’origine del sapere filosofico, si fa una scoperta analoga. Essa si incontra sia in Platone sia in Aristotele, benché in modi differenti; forse proprio perché Aristotele è fisico e sposato, mentre Platone è dialettico e celibe. D’altronde, si potrebbe rimanere stupiti nel veder citare quest’ultimo, che sembra prendere come punto di partenza amori pederastici, per esempio quello di Socrate e Alcibiade.
Se lo si guarda più da vicino, si scopre però che Platone sublima il fondamento sessuale, ma non lo ignora come tale. Il Simposio ne offre la dimostrazione eclatante. Si tratta di una riunione di uomini in cui ciascuno deve fare l’elogio dell’amore, in forma di monologo. Ed ecco che quando viene il turno di Socrate, egli non solo passa al dialogo, ma addirittura al dialogo sessuato, perché riferisce il colloquio che ebbe nella sua giovinezza con Diotima, sacerdotessa di Mantinea.
Come se l’accesso alla verità dell’amore e al suo autentico elogio non potesse che ritornare alla differenza sessuale come suo fondamento (questo non vuol dire che esiste solo l’amore tra l’uomo e la donna, esclusivamente – cosa assurda del resto, poiché questa esclusività è in sé stessa naturalmente inclusiva per il figlio che arriva, e – non dimentichiamo l’ombelico! – per i parenti; questo vuol dire soprattutto che quest’amore è il paradigma fisico di ogni amore, anche il più spirituale).
Che cosa insegna Diotima a Socrate? Che l’amore non consiste semplicemente nell’unirsi al bello (come suggerirebbe il pensiero della fusione o della complementarietà), ma nel “partorire nella bellezza”. E, secondo Diotima, dove si trova il modello di quest’amore che si gioca nelle altezze sopracelesti? Nelle nostre mutande. Nella nostra animalità sessuale. “Coloro che sono fecondi nell’anima” hanno  come  modello “coloro  che  sono  fecondi  nel corpo”“L’unione dell’uomo e della donna è procreazione; questo è il fatto divino”. Come in Genesi 1, 27 non si tratta solo dell’uomo e della donna, ma del maschio e della femmina.
Seguendo l’altezza del ParmenideDiotima non esita a discendere e a vedere nel grido del cervo in calore, o nel collo gonfio o che tuba del piccione in calore, l’immagine stessa del fervore filosofico o religioso: “Non ti accorgi del tremendo stato di tutti gli animali, terrestri e volatili, quando sentono il desiderio di generare, e come tutti siano presi dal male d’amore, e passionatamente disposti anzitutto a unirsi subito tra loro, e poi a nutrire le loro creature?”. Siamo ben lontani dall’idealismo e dal dualismo attribuiti a Platone nella caverna delle scuole e delle università (troppe cattedre e poca carne, indubbiamente).
Giudaismo e cristianesimo attestano in maniera analoga il fondamento carnale della spiritualità umana e riconoscono nella sessualità, e in ciò che da essa ne consegue, l’immagine di ogni unione mistica: Il mio diletto ha introdotto la mano nella fessura e le mie viscere fremettero per lui. Così canta il Cantico dei Cantici; e quelli che esitano a sapere se si tratti di un poema erotico o di un inno religioso suppongono – con pensiero debole – che le due interpretazioni siano in contrasto.
I mistici non possono parlare dell’unione con Dio, o della carità teologale, se non a partire da tre differenze legate alla sessualità: quella dei sessi (uomo / donna), quella delle generazioni (genitori / figli), quella dei fratelli (primogenito / cadetto). Il rapporto con Dio è pertanto nuziale (Esce come uno sposo dalla stanza nuziale – Sal 19, 6), filiale (Padre nostro che sei nei cieli – Mt 6, 9), fraterno (Gesù è primogenito tra molti fratelli – Rm 8, 29).
È anche i tre insieme: quel che è al di là della creatura, infatti, non può essere accostato da una sola modalità creata, ma da diverse modalità non compossibili quaggiù (l’amore dell’uomo e della donna evidentemente non è l’amore dei genitori e dei figli, che, a sua volta, non è l’amore dei fratelli tra loro). Queste modalità sono contrastanti in natura, ma presentandosi in maniera successiva, manifestano proprio che c’è di mezzo una modalità soprannaturale.

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