Perché la Chiesa ha fatto del matrimonio un sacramento?
La civiltà cattolica ha un concetto così alto dell'unione tra un uomo e una donna da affidarla a Dio e riconoscerla come sacra. Storia del rito del matrimonio
Di Federico Cenci, 05 Novembre 2013 (Zenit.org)
Correva l’anno 1215. Papa Innocenzo III convocava a Roma il Concilio Lateranense IV. Ciò che maggiormente destò l’attenzione dei cronisti del tempo, impegnati a riportare quanto ivi avveniva, furono aspetti di stretta attualità politica. Grande risonanza venne dedicata, pertanto, alla presenza storica di influenti personalità laiche durante le riunioni conciliari, oppure alla proposta di dar luogo all’ennesima crociata in Terra Santa. Poca curiosità venne invece catalizzata da un aspetto che, prendendo forma nel corso di quel Concilio, era destinato a tracciare un segno indelebile nella storia della nostra civiltà. Si tratta della regolamentazione liturgica e giuridica del matrimonio.
Fu quella, infatti, a dispetto della scarsa lungimiranza di quanti descrissero l’avvenimento in diretta, l’occasione in cui la Chiesa cattolica ebbe modo di vestire con un abito formale un contenuto, qual è il vincolo del matrimonio, dal profondo significato. Il quale affonda le proprie radici spirituali nel libro della Genesi, laddove si fa riferimento al fatto che “l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Genesi 2,24). Concetti che nei Vangeli trovano eco nelle parole di Gesù, il quale ribadisce: “Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19,6).
È per questo, per l’importanza che il matrimonio assume fin dagli albori della civiltà cristiana, che Innocenzo III decise di regolamentarlo e di collocarlo in un dignitoso orizzonte sacramentale, finanche inserendolo nel diritto canonico e rendendolo una cerimonia religiosa. Fino ad allora, il matrimonio ricalcava la tradizione romana: era un patto privato, un mero contratto stipulato tra gli interessati e le rispettive famiglie, che poi in un secondo momento poteva essere benedetto da un sacerdote. Il Concilio Lateranense IV provvide invece a fissare una serie di paletti fondamentali. In primo luogo, onde evitare matrimoni clandestini, venne imposto l’uso delle pubblicazioni.
L’indissolubilità del matrimonio venne inoltre ribadita, al fine di contrastare i divorzi e con essi le unioni di comodo. Fu richiesto, così da assecondare la libera volontà di chi si accosta al sacramento, il consenso pubblico degli sposi, da dichiarare a viva voce. Per evitare il diffuso costume del matrimonio di bambini, fu poi imposta un’età minima per gli sposi. Infine, furono regolamentate le cause di nullità del matrimonio, in caso di violenza sulla persona, rapimento, non consumazione, etc.
Soltanto due secoli più tardi, tuttavia, il matrimonio venne espressamente dichiarato un sacramento. L’occasione fu un altro Concilio, quello di Firenze del 1439. Nella bolla di unione con gli Armeni si legge: “Settimo è il sacramento del matrimonio, simbolo dell’unione di Cristo e della Chiesa(1), secondo l’Apostolo, che dice: Questo sacramento è grande; lo dico in riferimento al Cristo e alla Chiesa. Causa efficiente del sacramento è regolarmente il mutuo consenso, espresso verbalmente di persona. Triplice è lo scopo del matrimonio: primo, ricevere la prole ed educarla al culto di Dio; secondo, la fedeltà, che un coniuge deve conservare verso l’altro; terzo, l’indissolubilità del matrimonio, perché essa significa l’unione indissolubile di Cristo e della Chiesa”.
Chi provò a negare la natura sacramentale del matrimonio fu il monaco tedesco Martin Lutero, artefice della riforma protestante. Egli, scagliandosi contro una verità fondamentale della Chiesa cattolica, sosteneva che il matrimonio fosse stato istituito non in rapporto al problema della salvezza, ma in rapporto all’ordine naturale dei rapporti umani e, quindi, non era da considerarsi sacramento. Per queste ragioni, Lutero reinserì il matrimonio nel diritto civile, ammettendo anche casi di divorzio.
La novità introdotta da Lutero scosse l’Europa, molte influenti personalità del Nord Europa interpretarono simili input come un esonero dall’impegno d’amore al cospetto di Dio, tale da giustificare un uso prettamente utilitaristico del matrimonio. La Chiesa, quindi, durante il Concilio di Trento, aperto nel 1545 proprio per reagire alle dottrine calviniste e al luteranesimo, decise di rafforzare la regolamentazione di questo sacramento. Le prescrizioni sancite a Trento si radicarono nei Paesi cattolici e salvarono il sacramento dalla minaccia luterana.
I problemi, tuttavia, non finirono con i venti riformisti del ‘500. Nei secoli successivi, la Chiesa si trovò innanzi a nuove e importanti sfide. Sin dalla cosiddetta “epoca dei Lumi”, il diffondersi di culture materialistiche, del conseguente individualismo rischiarono di tracciare un insanabile solco tra l’uomo e la sua dimensione spirituale cristiana. Istituzioni tradizionali come la famiglia furono sottoposte a una graduale raffica di delegittimazione culturale. Una pietra miliare, tesa a ristabilire la verità cristiana riguardo i temi della famiglia e del matrimonio, fu l’Arcanum Divinae, quarta enciclica scritta da papa Leone XIII. Il documento, pubblicato nel febbraio 1880, esalta la dignità del matrimonio quale sacramento elevato da Gesù, riafferma gli scopi e la disciplina del matrimonio cristiano, condanna il matrimonio civile e il divorzio, riafferma l’esclusivo potere legislativo e giudiziario della Chiesa in tale materia.
In continuità con il Magistero, la costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II attinge a piene mani dall’Arcanun Divinae. Si legge, infatti, che “l’intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale”, che “Dio stesso è l’autore del matrimonio” e che “per la sua stessa natura l’istituto del matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento” (2).
È per questo, per l’importanza che il matrimonio assume fin dagli albori della civiltà cristiana, che Innocenzo III decise di regolamentarlo e di collocarlo in un dignitoso orizzonte sacramentale, finanche inserendolo nel diritto canonico e rendendolo una cerimonia religiosa. Fino ad allora, il matrimonio ricalcava la tradizione romana: era un patto privato, un mero contratto stipulato tra gli interessati e le rispettive famiglie, che poi in un secondo momento poteva essere benedetto da un sacerdote. Il Concilio Lateranense IV provvide invece a fissare una serie di paletti fondamentali. In primo luogo, onde evitare matrimoni clandestini, venne imposto l’uso delle pubblicazioni.
L’indissolubilità del matrimonio venne inoltre ribadita, al fine di contrastare i divorzi e con essi le unioni di comodo. Fu richiesto, così da assecondare la libera volontà di chi si accosta al sacramento, il consenso pubblico degli sposi, da dichiarare a viva voce. Per evitare il diffuso costume del matrimonio di bambini, fu poi imposta un’età minima per gli sposi. Infine, furono regolamentate le cause di nullità del matrimonio, in caso di violenza sulla persona, rapimento, non consumazione, etc.
Soltanto due secoli più tardi, tuttavia, il matrimonio venne espressamente dichiarato un sacramento. L’occasione fu un altro Concilio, quello di Firenze del 1439. Nella bolla di unione con gli Armeni si legge: “Settimo è il sacramento del matrimonio, simbolo dell’unione di Cristo e della Chiesa(1), secondo l’Apostolo, che dice: Questo sacramento è grande; lo dico in riferimento al Cristo e alla Chiesa. Causa efficiente del sacramento è regolarmente il mutuo consenso, espresso verbalmente di persona. Triplice è lo scopo del matrimonio: primo, ricevere la prole ed educarla al culto di Dio; secondo, la fedeltà, che un coniuge deve conservare verso l’altro; terzo, l’indissolubilità del matrimonio, perché essa significa l’unione indissolubile di Cristo e della Chiesa”.
Chi provò a negare la natura sacramentale del matrimonio fu il monaco tedesco Martin Lutero, artefice della riforma protestante. Egli, scagliandosi contro una verità fondamentale della Chiesa cattolica, sosteneva che il matrimonio fosse stato istituito non in rapporto al problema della salvezza, ma in rapporto all’ordine naturale dei rapporti umani e, quindi, non era da considerarsi sacramento. Per queste ragioni, Lutero reinserì il matrimonio nel diritto civile, ammettendo anche casi di divorzio.
La novità introdotta da Lutero scosse l’Europa, molte influenti personalità del Nord Europa interpretarono simili input come un esonero dall’impegno d’amore al cospetto di Dio, tale da giustificare un uso prettamente utilitaristico del matrimonio. La Chiesa, quindi, durante il Concilio di Trento, aperto nel 1545 proprio per reagire alle dottrine calviniste e al luteranesimo, decise di rafforzare la regolamentazione di questo sacramento. Le prescrizioni sancite a Trento si radicarono nei Paesi cattolici e salvarono il sacramento dalla minaccia luterana.
I problemi, tuttavia, non finirono con i venti riformisti del ‘500. Nei secoli successivi, la Chiesa si trovò innanzi a nuove e importanti sfide. Sin dalla cosiddetta “epoca dei Lumi”, il diffondersi di culture materialistiche, del conseguente individualismo rischiarono di tracciare un insanabile solco tra l’uomo e la sua dimensione spirituale cristiana. Istituzioni tradizionali come la famiglia furono sottoposte a una graduale raffica di delegittimazione culturale. Una pietra miliare, tesa a ristabilire la verità cristiana riguardo i temi della famiglia e del matrimonio, fu l’Arcanum Divinae, quarta enciclica scritta da papa Leone XIII. Il documento, pubblicato nel febbraio 1880, esalta la dignità del matrimonio quale sacramento elevato da Gesù, riafferma gli scopi e la disciplina del matrimonio cristiano, condanna il matrimonio civile e il divorzio, riafferma l’esclusivo potere legislativo e giudiziario della Chiesa in tale materia.
In continuità con il Magistero, la costituzione pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II attinge a piene mani dall’Arcanun Divinae. Si legge, infatti, che “l’intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale”, che “Dio stesso è l’autore del matrimonio” e che “per la sua stessa natura l’istituto del matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento” (2).
*
NOTE
(1) Sant’Agostino scrive che Cristo sposo e la Chiesa sua sposa, “vivendo l’uno unito all’altro non sono separati da alcun divorzio per tutta l’eternità”, De nuptiis et concupiscientia.
(2) Gaudium et Spes, pag. 48.