Con Maria… Come Maria… – Per iniziare il mese dedicato alla Madre di Dio
Introduzione
La presentazione che il vangelo ci consegna di Maria ha qualcosa di simile a un dipinto con queste caratteristiche: poche pennellate, molto spazio bianco, colori tenui, contorni non totalmente definiti, soggetti semplici e senza pretesa, atmosfera di sacro silenzio. Le poche pennellate cadono armoniosamente in posti appropriati; grazie ad esse anche lo spazio bianco diventa denso di significato. Il tutto invita a spiare il mistero e riconoscerlo operante nella trama dei giorni di Maria.
Dal «quomodo fiet» al «fiat»
Il primo momento: l’annuncio dell’angelo.
Il turbamento
La sua prima reazione è quella del turbamento, tipico di chi è consapevole di trovarsi di fronte a qualcosa che lo trascende infinitamente, ad una novità insospettata di cui non riesce a cogliere subito il senso. Non si tratta di un dubbio scaturito dall’incredulità, bensì del senso di stupore di fronte alla sproporzione tra la grandezza della proposta e la limitatezza effettiva della capacità di realizzazione. È l’atteggiamento dell’umile e del riflessivo, di chi cioè è cosciente della propria piccolezza e si avvicina al mistero con timidezza e discrezione, attento a penetrarne il senso. È il sentimento del povero che sa meravigliarsi di fronte ai doni gratuiti. Come mi pongo di fronte agli annunci a me consegnati dalla Parola di Dio, dall’azione dello Spirito Santo in me, da ciò con cui la vita mi chiede di misurarmi? Come mi pongo rispetto alla mia chiamata, a quella che in qualche modo è per me una sorta di annunciazione? Quale consapevolezza mi attraversa?
Il chiarimento
La seconda reazione di Maria è una richiesta di chiarimento. Maria invoca luce: Quomodo fiet istud? («Come avverrà questo?») e manifesta il dilemma del suo voler acconsentire, ma non saper come. Ella domanda a Dio che cosa dovrà fare per essere in grado di obbedire. Lo spirito di Maria è come quello del salmista quando prega Dio dicendo: «Fammi conoscere la via dei tuoi precetti e mediterò i tuoi prodigi… Dammi intelligenza perché osservi la tua legge e la custodisca con tutto il cuore» (Sal 119,27.34).
Dopo che l’angelo le ha manifestato in che modo è resa protagonista, luogo e testimone di «grandi cose», Maria accetta con piena disponibilità, passando così dal quomodo fiet, «come avverrà», al fiat, «avvenga». Il fiat di Maria, come quello insegnatoci da Gesù nel Padre nostro (Mt 6,10), è un abbandono fiducioso e un desiderio gioioso di realizzare la volontà di Dio. Con il suo fiat ella ricapitola tutta la schiera degli obbedienti nella fede nell’Antico Testamento e inaugura il nuovo popolo pronto ad ascoltare la voce di Dio che ora parla per mezzo del suo Figlio.
La dinamica del cammino interiore di Maria risulta ancor più chiara se si prende in considerazione il confronto intenzionale fatto da Luca tra due annunciazioni: a Zaccaria e a Maria. Zaccaria, anziano e stimato, sacerdote, uomo giusto, rappresentante ideale della religiosità anticotestamentaria, incontra l’angelo in Gerusalemme, nel tempio, durante il culto. Uomo santo, luogo santo, tempo santo: tutto sottolinea la sacralità e la solennità dell’evento. Maria, invece, una sconosciuta ragazza di Nazaret, città disprezzata, da cui non potrebbe venire qualcosa di buono (cf Gv 1,46), incontra l’angelo nella quotidianità semplice e domestica. Ma Dio capovolge le posizioni. L’angelo entra «da lei», è Maria in realtà il tempio dell’Altissimo. Ella «ha trovato grazia presso Dio», il dono divino giunge a lei gratuitamente, non a causa della sua osservanza della legge o in risposta alla sua preghiera di domanda, come è nel caso di Zaccaria. Anche la conclusione dei racconti è diversa: Maria crede, si apre e diventa collaboratrice di Dio nel salvare il mondo, mentre Zaccaria si chiude nel suo mutismo, isolato, perché chi non crede al disegno di Dio non può nemmeno parlarne.
«Camminare in fretta» e «conservare tutto nel cuore»
La premura del cammino verso Ain Karim, come poi la sollecitudine alle nozze di Cana, mostrano lo stile attivo, intraprendente, creativo, risoluto di Maria.
Maria non guarda alle distanze, ai rischi possibili, non calcola il tempo, non misura la fatica. L’ardore nel cuore le mette ali ai piedi. Ella si sente spinta, mandata da quel Dio che porta dentro. Ma il camminare di Maria non è solo movimento esterno, è un andare restando nel Signore, un partire dimorando in lui, un viaggiare portandolo dentro di sé. È la vita interiore che muove, dirige, avvolge e dà senso all’azione esteriore; è il silenzio che fa maturare la parola. Ella unisce la contemplazione nell’incontro col mistero alla concreta azione nell’esperienza del servizio; fonde in armonia il più grande trasporto nei confronti di Dio e il più grande realismo nel confronti del mondo e della storia.
Il mio è solo un espletare servizi o è un modo attraverso cui rendo presente il Signore? In che modo curo la dimensione del discernimento e della preghiera personale? Quanto rileggo ciò che vivo alla luce dell’opera di Dio nella mia vita?
Alla sollecitudine e laboriosità esterna corrisponde un’attività vivace interna. Maria «conserva tutte le cose nel cuore meditando» (Lc 2,19.51). Luca ha voluto sottolineare l’atteggiamento riflessivo e sapiente di Maria di fronte al mistero ripetendo questa frase per due volte. È un’espressione che apre profondi spiragli sulla vita interiore di Maria. Maria, Vergine sapiente, Vergine in ascolto, è una donna dal cuore grande, capace di conservare le «grandi cose» operate da Dio in lei nella storia, capace di far memoria delle meraviglie di Dio, capace di collegare dentro di sé il passato con il presente, trasformando tutto in seme di futuro. Ella non capisce subito tutto, ma ospita tutto nel suo cuore, si apre al mistero lasciandosi coinvolgere e rispettando i ritmi della rivelazione storica di Dio.
I discepoli di Gesù devono imparare da Maria, Maestra sapiente, il segreto dell’unificazione vitale tra interiorità e attività, tra essere e fare, tra credere e operare, tra preghiera e lavoro, tra memoria e creatività, tra concentrazione e diffusione della parola di Dio, tra «conservare tutto nel cuore» e «camminare in fretta», tra l’accogliere il dono di Dio e il farsi dono di Dio per gli altri.
«Vedere un segno» e «essere segno»
Maria parte da Nazaret e si mette in cammino dietro un «segno» datole dall’angelo: «Vedi, anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio» (Lc 1,36). Questo fatto deve essere per Maria una prova della potenza di Dio a cui «nulla è impossibile» (Lc 1,37).
Maria cammina verso la montagna animata dalla fiducia in Dio. Ma tale fiducia è rafforzata dal «segno» offertole da Dio; in realtà, ella stessa è un segno di Dio dato all’umanità, «un segno di speranza e di consolazione». Infatti Maria segna l’aurora che precede il sorgere del sole, segna l’irrompere della salvezza nella storia, segna «la pienezza del tempo» (Gal 4,4). Mentre Isacco, il bambino di Sara, e Giovanni, il bambino di Elisabetta, portano il messaggio che Dio può tutto, il bambino di Maria è il Dio che può tutto, il Dio onnipotente fattosi uomo debole e nascosto.
Nel cammino di fede di Maria, c’è una circolarità tra lo scoprire il segno di Dio negli altri e l’essere segno di Dio per altri. Si tratta della meravigliosa solidarietà tra i credenti.
Il prodigio di Dio in Elisabetta è per Maria un «segno» che l’aiuta a pronunciare il suo fiat; ora il prodigio di Dio in Maria è segno per Elisabetta, un segno che suscita in lei una confessione di fede. Così le due donne sono, l’una per l’altra, luogo di scoperta di Dio, motivo per cui lodarlo e ringraziarlo. Nel riconoscersi reciprocamente come segno di Dio, la loro comunicazione, densa di intuizione e di intesa profonda, permeata dal rispetto per il mistero, si fa benedizione, si fa canto e poesia. Il confronto vicendevole nella fede fa sgorgare la profezia vicendevole, animata dalla forza dello Spirito. Insieme, tutte e due, diventano segno della solidarietà di Dio con tutta l’umanità.
Dal fiat al magnificat
Mentre Maria percorre in fretta le vie tortuose della montagna, dentro di lei si snoda un itinerario interiore di fede che va dall’adesione docile del fiat all’esplosione gioiosa del Magnificat, dall’essere visitata da Dio all’essere visita di Dio per altri.
Salendo sulla montagna Maria sente di non essere sola. Il Figlio di Dio è presente, nascosto in lei.
Con il suo camminare per vie scomode per raggiungere l’altro a casa sua, Maria inaugura lo stile di Dio, lo stile di servizio, di abbassamento, di solidarietà verso chi ha bisogno. In lei il Dio incarnato si fa il Dio che entra nella trama umana e permea di sé anche la sfera del quotidiano. La salvezza acquista tonalità domestica. «Oggi devo entrare in casa tua», «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19, 5.9): ciò che Gesù dirà più tardi nell’incontro con Zaccheo è in qualche modo realtà anticipata per mezzo di Maria.
Maria porta gioia e speranza. Dalla Galilea alla Giudea ella percorre lo stesso tratto di strada che più tardi avrebbe dovuto fare Gesù. La buona novella portata da Maria emana gioia contagiosa, fa esultare un bambino nel grembo materno, rende felice un’anziana.
Lungo tutta la sua vita Maria continua a moltiplicare e diffondere dappertutto la gioia pura di cui ella è ripiena, quella gioia scaturita dal saluto dell’angelo «Rallegrati Maria» e resa più intima e profonda dal suo fiat. Alla nascita di Gesù questa gioia si estenderà ai pastori di Betlemme attraverso l’annuncio dell’angelo: «Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). Portando Gesù nel tempio Maria farà ancora trasalire di gioia l’anziano Simeone e la profetessa Anna. A Cana, poi, la gioia non verrà a mancare al banchetto delle nozze grazie all’intercessione di Maria presso il suo Figlio. A Maria, portatrice della Buona Novella e madre del Dio della gioia, si potrebbe applicare la parola del salmista: «Al tuo passaggio stilla l’abbondanza… tutto canta e grida di gioia» (Sal 65, 12-14). Cosa stilla al mio passaggio?
Dal fiat al magnificat diventa l’itinerario esemplare di ogni cristiano che compie il suo pellegrinaggio della fede dall’adesione iniziale al progetto di Dio verso il pieno godimento della bellezza di questo progetto, passando attraverso una «salita» graduale: il servizio, la gratuità del quotidiano, l’andare con sollecitudine verso chi ha bisogno, l’incontro di amicizia nella comunità, lo sforzo missionario nel portare Gesù in casa altrui, l’annunciare la buona novella con gioia suscitando gioia di salvezza in chi si apre alla vita.
«Avvolgerlo in fasce» e «cercarlo con ansia»
Nel racconto della nascita di Gesù Luca riporta il gesto delicato di Maria: «Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia» (Lc 2,7). È un gesto semplice che esprime tutto l’affetto materno, tenero e rispettoso di Maria verso questo bambino che è Figlio di Dio e figlio suo.
Ci sono i giorni in cui più chiaramente avvertiamo la presenza del Signore nella nostra vita, quelli in cui non ci è difficile manifestargli attenzione e premura. Ma vengono anche quelli in cui sembra farsi assente, i giorni in cui sembra non confermare quanto pure abbiamo già vissuto con lui.
Il lungo periodo della vita «nascosta» a Nazaret, durante il quale Gesù si prepara alla sua missione messianica, è riassunto da Luca in poche parole. Egli racconta un solo episodio della vita di Gesù adolescente: quello della Pasqua a Gerusalemme, quando Gesù aveva dodici anni. Il viaggio alla città santa di Gesù dodicenne segna una tappa della crescita di Gesù, è l’anticipazione di un altro viaggio a Gerusalemme che culminerà nella sua Pasqua.
L’episodio segna anche la crescita della madre. Ritrovato Gesù nel tempio dopo tre giorni, Maria gli domanda: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48) Nel «perché» di Maria è il riassunto di tanti perché dell’umanità intorno al mistero della croce e, nella sua ansia, l’angoscia di tante persone che cercano faticosamente Dio. Alla domanda della madre, Gesù dà per risposta due altre domande: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Egli ha un «deve» nel disegno del Padre, con la crescita in età e in sapienza egli cresce soprattutto nella coscienza della sua missione. Anche Maria cresce nell’accoglienza dell’identità di Gesù – questo figlio che ella ha avvolto in fasce alla nascita non è solo figlio suo – e cresce nella consapevolezza d’essere anche lei depositaria del mistero di Dio; lo sapeva già fin dal momento dell’annuncio dell’angelo, ora tutto appare più vivo e reale, e allo stesso tempo più duro e più incomprensibile. Accanto al suo Figlio anche Maria ha un «deve» nelle cose del Padre. Anche io ho un devo nel mistero di Dio che scopro in quella alternanza di presenza/assenza.
Dal fiat al facite
Maria è diventata Madre di Dio perché ha «creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45): così Elisabetta rilegge il fiat di Maria. Alla pienezza di grazia da parte di Dio corrisponde la pienezza di fede da parte di Maria.
Abbandonata a Dio completamente, impegnata nell’avanzare costantemente nella «peregrinazione della fede», Maria si è sintonizzata lentamente e profondamente con Dio. Per la sua viva fede ella arriva a una forte intesa con lui, a un acclimatamento di tutto il suo essere con il progetto di Dio, ad avere un’intuizione del pensiero di Dio, a saper discernere spontaneamente la sua volontà, a sentir palpitare dentro di sé il cuore di Dio. La Lettera agli Ebrei, elogiando la fede degli antenati di Israele, dice di Mosé che vive «come se vedesse l’invisibile» (Eb 11,27). A Cana di Galilea la troviamo così, semplice, discreta, fiduciosa accanto al suo Figlio, sicura di essere esaudita perché intimamente sintonizzata con lui.
A Cana Maria riveste un ruolo profetico. È «portavoce della volontà di Dio». Le due parole pronunciate da Maria a Cana: «Non hanno più vino» (Gv 2,3) e «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5) mettono in risalto questa dimensione. Maria legge in profondità la storia umana, ne individua i problemi ancora nascosti, raccoglie i gemiti non ancora verbalizzati, scorge la sofferenza ancora senza nome. Ella scopre il nodo essenziale del guazzabuglio e lo presenta al suo Figlio, l’unico che lo può sciogliere. E intanto prepara i servi all’accoglienza dell’aiuto divino con un’indicazione sicura. E non è forse il compito di noi che veniamo costituiti pastori quello di intercettare le domande inespresse e portarle davanti al Signore?
«Fate quello che egli vi dirà» è tra le poche parole pronunciate da Maria nel Vangelo, l’unica indirizzata agli uomini, per questo a ragione viene considerata «il comandamento della Vergine». È anche l’ultima parola sua registrata nel Vangelo, quasi un «testamento spirituale». Dopo questo, Maria non parlerà più; ha detto l’essenziale aprendo i cuori a Gesù, lui solo ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68).
Il «fate quello che egli vi dirà» pronunciato da Maria non è un invito teorico, astratto, ma è un’esortazione maturata dall’esperienza personale. La parola va nel cuore e nella vita dell’interlocutore solo se è scaturita dal cuore e dalla vita di chi parla. Maria, esperta nel fidarsi della parola di Dio, ora può aiutare altri a fare altrettanto. La sua fede è contagiosa, il fiat vissuto in profondità da lei diventa facite convincente rivolto ad altri.
È necessario per noi come Maria avere le antenne contemporaneamente tese verso Dio e verso la storia. Solo una profonda intesa con Dio e una saggia comprensione del mondo possono dare efficacia alle nostre parole e azioni. Il facite con cui aiutiamo gli altri deve scaturire sempre dal nostro personale fiat in adesione a Dio.
Da «Ecco concepirai un figlio» a «Ecco tuo figlio»
Maria è Madre di Dio. È l’unica in tutto l’universo e in tutta la storia umana a poter dire, rivolta a Gesù, ciò che gli dice il Padre celeste: «Tu sei mio Figlio; io ti ho generato!» (Sal 2,7; Eb 1,5). Maria, la Madre di Dio, è l’epifania di uno dei misteri, dei paradossi più alti del cristianesimo, delle sorprese d’amore più sconcertanti di Dio fatte all’umanità.
Ma l’essere madre per Maria non è una realtà statica che si acquista una volta per sempre. Lungo la sua «peregrinazione della fede» ella ha fatto un cammino di crescita e di maturazione nella sua maternità vivendo tutta una gamma di sentimenti materni:
– c’è l’attesa silenziosa nel contemplare il lento dipanarsi del segreto dentro di sé,
– la gioia intima alla nascita e l’amore di tenerezza verso il figlio neonato,
– la soddisfazione e la fierezza nel presentarlo ai pastori e ai magi,
– c’è il dolore della fuga e dell’esilio per proteggere e salvare la vita di colui che è la Vita del mondo;
– c’è la dolcezza d’intimità negli anni di Nazaret;
– c’è poi l’esperienza difficile e sconcertante dello smarrimento di Gesù dodicenne nel tempio;
– anche nel corso della vita pubblica di Gesù l’unione della madre con il figlio continua a svilupparsi e ad approfondirsi;
– con sobrietà e discrezione Maria è presente «non come una madre gelosamente ripiegata sul proprio Figlio divino, ma come donna che con la sua azione favorì la fede della comunità apostolica in Cristo e la cui funzione materna si dilatò, assumendo sul Calvario dimensioni universali».
L’avanzare nella peregrinazione della fede è per Maria contemporaneamente un avanzare nello sviluppo della sua maternità. Come la peregrinazione della fede culmina nell’evento pasquale del Figlio, così anche il cammino di maternità.
A Nazaret Maria iniziava il suo cammino di maternità accettando il progetto misterioso di Dio: «Ecco concepirai un Figlio»; ora è questo Figlio che le propone una nuova maternità universale.
A Cana, Maria si poneva in mezzo facendo la mediatrice tra il suo Figlio e gli uomini; ora è il suo Figlio che fa da mediatore tra lei e gli uomini dicendole: «Donna, ecco il tuo figlio!». Il racconto di Giovanni termina con: «E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Gv 19,27). Da quel momento, mentre l’umanità redenta accoglie la Madre, Maria accoglie ogni figlio che le è affidato personalmente dal suo Figlio e lo introduce nel suo cuore materno, per sempre.
È così anche per noi: tutto parte dall’accoglienza di un progetto di Dio su di noi per scoprire, alla fine, che tale progetto ha a che fare con il prenderci cura di fratelli e sorelle a noi affidati dal Signore Gesù.