Una nuova ricerca sui giovani e una nuova iniziativa editoriale
"Noi, i ragazzi autentici: spaccato di una generazione (tra like e amici veri). Hanno tra i 16 e i 24 anni, sono (post) Millennial: vogliono cambiare il mondo, ma temono di non farcela. Il futuro raccontato da uno studio su 7 mila giovani"
Vedi anche:Il termine Millennial, in realtà, più che analizzato andrebbe riposto nel cassetto. Tra i nati negli anni ‘80 e quelli tra i ‘90 e il Duemila c’è una profonda spaccatura, fatta (per i più giovani) di estrema lucidità, consapevolezza e bombardamenti costanti di stimoli, digitali e non. I 16-24enni sono cresciuti in una realtà filtrata dagli effetti di Instagram e, allo stesso tempo, inasprita dalle conseguenze dell’instabilità finanziaria, politica e sociale. Sono abituati a vivere in un loop senza sosta di confronti, ma all’omologazione preferiscono la diversità. O quantomeno ci provano: tanto sono consapevoli di ciò che vogliono, e di ciò che li circonda, quanto vacillano e si sentono schiacciati quando pensano al contesto in cui vivono e alle reali possibilità di cambiarlo. Con il nostro Paese in prima linea da questo punto di vista. Lo racconta lo spaccato «Youth in Flux» di Viacom, la casa madre di Mtv, che il Corriere della Sera pubblica in esclusiva. E lo confermano i primi contributi arrivati per il progetto «Your Voice», che lanciamo oggi sul nostro sito in collaborazione con Mtv: interrogati sui timori legati al terrorismo, i poco meno che ventenni fanno riferimento alla crescente sfiducia verso «chi indossa il velo o segue un’altra religione» ma allo stesso tempo affermano che «è sbagliato collegare l’Islam al terrorismo perché si tratta di un fenomeno legato al denaro o alla conquista dei territori». «Hanno il controllo sulla nostra psicologia», sentenziano. Ma poi, si dimenano: «Non bisogna farsi inculcare il terrore del terrorismo». Ecco, si dimenano, sono irrequieti.
Senza filtri
Secondo il 96 per cento (!) dei 16-24enni italiani (e il 93 per cento dei 7mila dei 14 Paesi presi in considerazione dall’indagine) essere giovani oggi è difficile. Perché? Svariati gli spunti: l’essere costantemente connessi rende impossibile non farsi travolgere dalle notizie negative. Solo il 18 per cento è in grado di farlo. Mancano — o non vengono trovati — filtri e guide affidabili per ottenere altri punti di vista. O per individuare quelli reali e autorevoli; messaggio coerente con il martellante dibattito attuale sulle fake news, evidentemente vicino anche alla fascia d’età in esame. I ragazzi non puntano il dito solo verso il flusso della rete ma anche in direzione dei media tradizionali, rei di essere troppo spesso «negativi e faziosi». La vera difficoltà legata all’iper-connessione, però, è un’altra: il 51 per cento dei nostri giovani connazionali si rende conto di avere un rapporto di amore odio con i social media (53 per cento il dato globale). Si sta facendo strada la necessità di non essere sempre collegati, «anche solo per un’ora al giorno», suggerisce uno degli intervistati. La dipendenza viene riconosciuta come tale e genera frustrazione. In primis per il tempo che si perde. Il timore di non riuscire a sfruttarlo a pieno, e con esso tutte le possibilità concesse dalla società, è una costante (arriva a coinvolgere l’83 per cento del campione quando ci si concentra sulla categoria degli irrequieti). Si ripropone spesso, come detto, l’insicurezza dovuta al confronto sociale — bellezza, felicità e successi sbandierati sui profili di amici e conoscenti sono un asfissiante e deformato specchio — e la paura di rimanere tagliati fuori (c’è una sigla ad hoc: Fomo, «fear of missing out»), che impone presenza e risposte continue in tempo reale. Per chi ha qualche anno più, anche pochi, ad esempio, replicare a un Sms o rispondere a una telefonata erano azioni posticipabili. Adesso fra applicazioni di instant messaging, spunte blu, notifiche e chat di gruppo, l’«always on» — stare sempre collegati — è (emotivamente) impegnativo.
Inclusione e uguaglianza
L’antidoto, alla frenesia della Rete e ai compromessi imposti dalla società, è già stato individuato con la sopracitata lucidità. Il 96 per cento del campione globale sottolinea l’importanza di «sentirsi bene con se stessi». Spogliarsi, dunque, di avatar, filtri, scatti elaborati e ritoccati e definizioni per recuperare l’equilibrio personale. «Vivi e lascia vivere», il motto per il 97 per cento. Inclusione e uguaglianza sono le parole chiave per il 95 per cento dei 16-24enni italiani. La percentuale negli altri Paesi è omogenea, sempre superiore al 90 cento. Ed è un bene, perché il 96 per cento dei (post) Millennial presi in considerazione crede nella possibilità di unirsi ai suoi coetanei per rendere il mondo un posto migliore. L’ispirazione si cerca, e trova, nelle persone già capaci di liberarsi dalle distinzioni di genere, razza, relazione e popolazione. Così dice il 65 per cento. Poi, però, solo il 29 per cento è davvero convinto che la sua generazione sarà in grado di dare giudizi meno trancianti e limitanti di quelli delle generazioni passate. Un pessimismo di fondo, che va a sbattere contro la voglia di (imparare a) esibire la propria diversità. E di (imparare a) considerarla un valore più prezioso dell’affannata rincorsa della normalità o della presunta perfezione da Like, post e retweet.
«Loro» e «gli altri»
Le reazioni e le strategie adottate sono diverse.L’assenza di remore, innanzitutto: l’81 per cento degli intervistati che si riconosce parte della categoria dei “genuini” assicura di essere pronto a porsi in modo autentico (dato italiano, quello globale è 84 per cento). Si tratta di riconoscere i propri limiti e di imparare a conviverci. Il 72 per cento dice di esserci riuscito: si definisce «orgoglioso di quello che è» e assicura di «non temere di esprimersi». E il 74 per cento si guarda intorno e apprezza chi è disposto a mostrare la propria vulnerabilità o il proprio «lato oscuro».Ci si volta, appunto, verso l’altro per cercare certezze. L’altro in carne e ossa, oltre gli schermi degli smartphone. La sensibilità, l’empatia, sono importanti e contrapposte alla superficialità dei rapporti ( più o meno incoraggiati dai social network). Il 76 dei giovani italiani “sensibili” parla di nostalgia per un’epoca «in cui le persone avevano più tempo per prendersi cura l’una dell’altra (torna il concetto di tempo, ndr)». L’80 per cento considera importante dare il proprio contributo al mondo facendo sentire, amplificata, la propria voce (ecco perché Your voice). Hanno bisogno, soprattutto gli “irrequieti”, dei complimenti e del sostegno degli altri: lo sottolinea il 76 per cento dei ragazzi italiani (nel mondo sente questa necessità l’82 per cento). La smania, per l’85 per cento, nasce dalla volontà di inseguire a tutti i costi i propri sogni. Una spinta che accomuna l’88 per cento degli altri giovani cittadini del mondo, e va letta in considerazione delle incertezze già citate. Loro, i giovani, ne sono consapevoli. E partono dal loro sé più autentico per affrontare il futuro che stanno costruendo.