Sul capitolo VIII dell'Amoris laetitia (la mia sintesi e quella autorevole del cardinal Coccopalmerio)


Sul divorzio e sul matrimonio di coniugi divorziati
I famosi "dubia" dei quattro cardinali "dissidenti" erano centrati sulla questione spinosa dei divorziati risposati. Il papa Francesco ha stravolto la dottrina ecclesiale? Ha data il via libera a tutti nell'accesso ai sacramenti? Il cardinal Coccopalmerio risponde con un documento dettagliato a queste domande affermando con sicurezza che la dottrina è rispettata.
Una sintesi della riflessione del cardinale è offerta da Aleteia, mentre sul sito "E anche il Papa rema" troviamo il testo (credo) completo e un personale commento:
Colpiscono la profondità, la trasparenza e la mitezza con le quali il cardinale Francesco Coccopalmerio, “Ministro” vaticano della Giustizia, legge ed analizza dall’interno il capitolo ottavo dell’esortazione apostolica Amoris laetitia, quello che sin dal titolo, «Accompagnare, discernere e integrare la fragilità» ‒ e dedicato alle situazioni “cosiddette” irregolari di tante relazioni matrimoniali e di coppia ‒ ha sollevato opposizioni e dure critiche sia all’interno della Chiesa sia fuori, che vanno crescendo e diffondendosi anche sui mass media. 
Proprio per l’acutezza dell’ermeneutica e per la trasparenza dell’analisi filologica utilizzate dal cardinale Coccopalmerio ‒ capace di far dialogare in profondità i passaggi più rilevanti dell’esortazione con i testi di riferimento del Vaticano II e della Familiaris consortio di Giovanni Paolo II da una parte, e con la grande tradizione dall’altra, in primis con i fondamenti delineati da Tommaso d’Aquino ‒ ne consigliamo l’attenta lettura ai tanti che ne hanno frainteso il senso e il significato.
Chiunque abbia una visione disinteressata e pura di cuore, potrà comprendere, leggendo queste pagine del cardinale Coccopalmerio, come la magistrale esortazione di papa Francesco costituisca una chiara, coraggiosa e geniale riaffermazione della purezza della dottrina cattolica in tema di matrimonio e di famiglia (dottrina com’è  noto delineatasi nel corso del secondo millennio cristiano), considerata come parola vivente che tramanda il fuoco della tradizione, e in quanto tale capace di confrontarsi e di illuminare le sfide del tempo presente, illuminando aspetti nuovi dell’ infinita ricchezza contenuta nel Vangelo. «Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi ‒ scrive papa Francesco nell’esortazione (n. 3), e ribadisce con forza il Cardinale ‒ ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano».
Perla e chiave di lettura dall’Esortazione rimane ‒ osserva il cardinale Coccopalmerio ‒ la considerazione secondo la quale la norma generale non può rendere ragione di tutte le circostanze particolari di vita di una persona, ma che ‒ prosegue citando san Tommaso ‒ «più si scende nel particolare, tanto più aumenta l’indeterminazione» (Amoris laetitia, 304). La stessa Commissione Teologica Internazionale aveva affermato che «La legge naturale non può essere presentata come un insieme costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione» (Amoris laetitia, 305).
In termini più laici potremmo dire che la legge non mette mai al riparo dai rischi della realtà, e che per questo bisogna dilatare l’orizzonte dalla giustizia, dal giudizio, alla misericordia, in cui consiste la pienezza della stessa giustizia.
È questo quello che emerge, con trasparenza, dalla riflessione del Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi. Come si fa, allora, a parlare di “confusione” dottrinale da parte di papa Francesco? Certo, il cammino pastorale, teologico e spirituale, intrapreso da Bergoglio è un cammino d’altura, che esige da parte di tutti, e in primis dai Pastori, una radicale conversione pastorale, che è anche conversione spirituale e culturale. E questo non è sempre facile. (Raffaele Luise)
Segue una mia riflessione sull'argomento:
La chiesa ha sempre previsto che, nel matrimonio, possano subentrare difficoltà tali da giustificare e consigliare una separazione temporanea dei coniugi[1], ma non ha mai accettato la possibilità di un divorzio e di un nuovo matrimonio: il patto nuziale è per sempre, “finché morte non ci separi” e il sacramento non può essere cancellato, casomai può essere riconosciuto “nullo”, cioè mai veramente celebrato perché mancavano le condizioni di libertà e consapevolezza che sono essenziali per la validità del sacramento. “Nonostante la Chiesa ritenga che ogni rottura del vincolo matrimoniale è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli”[2].
Lo sguardo realista sulle vicende matrimoniali constata come la reciproca indisposizione dei coniugi possa giungere, di fatto, a un punto di irreversibilità, quando, per esempio, le ferite subite durante il matrimonio sconsigliano la ripresa della vita coniugale che, al di là delle buone intenzioni, finirebbe per innescare nuovamente insanabili conflitti, oppure quando, sempre a causa della sofferenza vissuta, sia esaurita ogni capacità di investire nuove energie per ricucire la relazione spezzata con l’altro, senza che per questo vi sia alcun odio nei suoi confronti. La fallibilità di uomini e donne, pur uniti nel sacramento del matrimonio, può giungere sino a costringerli a fare i conti con il fallimento definitivo della loro convivenza coniugale, la cui felice riuscita essi avevano pur desiderato e nella cui durata “per sempre” essi avevano creduto e si erano impegnati. Il crollo definitivo della speranza di riuscita della vita matrimoniale, anche qualora non sia dovuto a mancanze proprie, provoca a livello personale un senso di colpa per il mancato adempimento della promessa d’amore data e ricevuta, e suscita a livello sociale, soprattutto ecclesiale, un senso di esclusione e di proscrizione per aver deluso le aspettative della comunità di appartenenza. A fronte di questo doloroso vissuto, la chiesa è sollecitata ad annunciare che il fallimento, lungi dall’essere alieno all’esperienza cristiana, è un’esperienza decisiva della fede, nella quale uomini e donne sperimentano, come non altrimenti, la misericordia sconfinata di Dio che riapre, inaspettatamente, un nuovo orizzonte di vita[3].
E’ dunque corretto e “misericordioso” escludere i divorziati risposati dai sacramenti? E’ giusto chiedere a chi ha fallito di rinunciare ad una nuova unione, ad un nuovo tentativo? O che questa unione sia vissuta senza intimità sessuale, vivendo come fratello e sorella?
In verità il papa ricorda che la chiesa riconosce situazioni in cui “l’uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l’educazione dei figli - non possono soddisfare l’obbligo della separazione”[4]. In nota pone una motivazione importante e controversa:
In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, “non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli”[5].
E’ la prima timida apertura presente nel testo: ci sono casi in cui, per il bene primario dei figli, è forse lecito vivere una intimità “coniugale” per “salvare il salvabile”: la fedeltà del coniuge e quindi la stabilità della nuova relazione. Il papa chiede poi di fare un discernimento su ”quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate”[6]. Ma – precisa -
Integrare nella Chiesa non significa “fare la comunione”; perché io conosco cattolici risposati che vanno in chiesa una volta l’anno, due volte: “Ma, io voglio fare la comunione!”, come se la comunione fosse un’onorificenza. E’ un lavoro di integrazione… tutte le porte sono aperte. Ma non si può dire: da ora in poi “possono fare la comunione”. Questo sarebbe una ferita anche ai coniugi, alla coppia, perché non farà compiere loro quella strada di integrazione[7].
Quello che il papa propone è dunque un cammino senza porte chiuse, fatto di accompagnamento, discernimento e integrazione: i divorziati risposati non sono esclusi dalla chiesa, ma invitati a fare questo percorso, a lasciarsi accompagnare e aiutare, con umiltà e verità, a discernere la loro reale situazione.
Da non dimenticare è anche il fatto che a coloro che fallivano il loro matrimonio, la chiesa degli inizi proponeva un cammino penitenziale, normalmente di tre anni, al temine del quale venivano riammessi completamente nella comunione ecclesiale, come fa ancora la chiesa ortodossa[8].
Fra le proposte per superare la “chiusura” ecclesiale nei confronti dei divorziati risposati, vale la pena segnalare quella dei coniugi H. e T. Ruster che suggeriscono di considerare l’idea di matrimoni non sacramentali e tuttavia validi, superando così l’esclusione dai sacramenti: “basterebbe” rimuovere “l’automatismo finora vigente del diritto canonico secondo cui il consenso fa il matrimonio e ogni matrimonio fra battezzati è necessariamente sacramento”[9]. A. Fumagalli propone invece di centrare il discorso sul primato della coscienza: si potrebbe ipotizzare la riammissione ai sacramenti a seguito di un “dialogo pastorale quale luogo di discernimento autenticamente ecclesiale, ove, cioè, i dettami della coscienza personale vengono sottoposti al vaglio e alla conferma della chiesa”[10]. Si potrebbe così riconoscere la serietà del cammino di riconciliazione intrapreso, offrendo alla chiesa il modo di apprezzare la sincerità di chi chiede al Signore il perdono per il legame infranto e la grazia di un nuovo inizio. Infine A. Grillo si chiede se la categoria di “indissolubilità” del matrimonio nella sua attuale concezione giuridico-ontologica non possa essere rielaborata secondo categorie più aderenti al vissuto attuale e parlare non solo della possibile morte di un coniuge – evento che pone fine all’unione sacramentale – ma anche della “morte morale” del vincolo in situazioni divenute irreversibili[11].

Il capitolo ottavo, dedicato in prevalenza alla questione spinosa dei divorziati risposati, propone già dal titolo la soluzione individuata dal papa a partire dalle riflessioni sinodali: “Accompagnare, discernere e integrare la fragilità”, una triade di cui abbiamo già accennato, ma che merita un particolare approfondimento.
Innanzitutto integrare: non sono scomunicati, essi appartengono al corpo della chiesa e in essa devono essere aiutati a trovare il proprio posto e il proprio ambito di servizio (“evitando ogni occasione di scandalo”, n.299). Essi “formano sempre la comunione ecclesiale” (n.243).
La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo[16].
L’accompagnamento deve essere positivo, “misericordioso e incoraggiante” (n.293), capace di valorizzare gli “elementi costruttivi” (n.292) ed esprimere l’affetto e la delicatezza della chiesa, chiamata ad
accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta[17].
«senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno», lasciando spazio alla «misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile»[18].
Infine, ma è la nota dominante, l’accompagnamento è finalizzato al discernimento della situazione concreta e particolare vissuta dalla coppia. Sono innanzitutto “da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione”[19]. Perché è fondamentale il discernimento? Perchè
I divorziati che vivono una nuova unione possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale. Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. (…) C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di «coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido»[20]. Altra cosa invece è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari[21].
Discernere non significa approvare o negare gli errori o i fallimenti: “Dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia” (n.299), ma deve essere altrettanto chiaro anche la necessità di distinguere adeguatamente le diverse situazioni, nella consapevolezza che non esistono “semplici ricette”[22], e che “non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante”[23].
Ne consegue che non ci si può aspettare una “nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi”[24], ne tantomeno che dei casi particolari diventino norma generale: “poiché «il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi», le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi”[25]. “Nemmeno – aggiunge il papa in una nota importantissima – per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave”[26]. Questa affermazione apre, con cautela, la possibilità concreta che, in casi specifici e debitamente accompagnati e come frutto del discernimento e dell’integrazione, i divorziati in nuova unione possano accedere ai sacramenti della confessione e della comunione da cui erano esclusi[27].
In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore»[28]. Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli»[29].
Per poter fare tale cammino di integrazione e discernimento è fondamentale che ci sia la richiesta e la disponibilità da parte del divorziato risposato di affidarsi ad un sacerdote che lo accompagni in un percorso dal tempo imprecisato e con modalità da stabilire caso per caso. Inoltre:
Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa[30].
E’ anche necessario che il divorziato risposato faccia (o inizi a fare) un cammino di fede impegnato, costante e coerente e che sia consapevole che il suo vissuto matrimoniale è, e rimarrà, in contrasto con l’ideale cristiano.
I presbiteri hanno il compito di «accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno»[31].
I presbiteri devono evitare “eccezioni o privilegi”: il percorso va fatto seriamente, altrimenti si fa un cattivo servizio alla chiesa e alle persone stesse che vengono private di questa occasione per fare un percorso di vera e profonda conversione. Allo stesso tempo va evitato anche il rischio opposto: quello di chi si sente a posto applicando rigidamente la legge morale nei confronti di chi vive situazioni “irregolari”, “come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone”[32].
“Comprendo – scrive sempre il papa tendendo una piccola mano a coloro che dissentono dalla sua impostazione “troppo aperta” – coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione”, perché è indubbia la confusione tra i fedeli, confusione amplificata e generata soprattutto dai principali mezzi di comunicazione che, all’uscita del documento, hanno ad esempio titolato: «Sinodo, le aperture di papa Francesco: "Comunione possibile per i divorziati risposati"» (Repubblica.it); «Sacramenti ai risposati, il Papa apre» (Corriere.it).
Il papa comprende il rischio, ma afferma:
Credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, «non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada». I Pastori che propongono ai fedeli l’ideale pieno del Vangelo e la dottrina della Chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti. Il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare. Gesù «aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente»[33].




[1]ci sono casi in cui la separazione è inevitabile. A volte può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza”. (Papa Francesco, Catechesi del 24 giugno 2015) Comunque “deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano”. (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 83). Le citazioni sono in Papa Francesco, Amoris laetitia, 241.
[2] Papa Francesco, Amoris laetitia, 291.
[3] A. Fumagalli, Il tesoro e la creta, p.109
[4] Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n.84.
[5] Papa Francesco, Amoris laetitia, nota n.329. Con scaltrezza il papa cita la Gaudium et spes, n.51 (tra virgolette) applicando anche per i divorziati risposati una riflessione rivolta agli sposi “regolari”.
[6] Id., 299
[7] Conferenza stampa durante il viaggio di ritorno dal Messico, 17 febbraio 2016.
[8] La chiesa ortodossa “tollera” un nuovo matrimonio che viene celebrato in uno stile penitenziale e ammette così i nuovi coniugi alla comunione ecclesiale.
[9] H. e T. Ruster, Finché morte non vi separi? L’indissolubilità del matrimonio e i divorziati risposati. Una proposta, LDC 2014, p.181.
[10] A. Fumagalli, Il tesoro e la creta. La sfida sul matrimonio dei cristiani, Queriniana 2014.
[11] A. Grillo, Indissolubile? Contributo al dibattito sui divorziati risposati, Cittadella, 2014.
[12] Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”: 5-19.10.2014.
[14] Dal 17 dicembre 2014 al 18 novembre 2015.
[16] AL n.299
[17] Relatio Synodi 2014, n.28, cit. in AL, n.291
[18] Id, 26, cit in AL,, 308
[19] Relatio finalis 2015, n.51
[20] Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n.84.
[21] Papa Francesco, AL, n.299
[22] Benedetto XVI, Discorso al VII Incontro Mondiale delle Famiglie, Milano (2 giugno 2012), risposta 5.
[23] Papa Francesco, AL,, 301
[24] Papa Francesco, AL,, 300
[25] Idem
[26] Id., nota n.336
[27] Sembra andare in questa direzione anche la lettera “privata” inviata dal papa all’episcopato argentino che ha prodotto un documento per i loro sacerdoti per l'applicazione di "Amoris laetitia" sul punto cruciale della comunione ai divorziati risposati. Secondo papa Francesco tali indicazioni "spiegano esaurientemente il senso del capitolo VIII di 'Amoris laetitia'" e che "non ci sono altre interpretazioni" che tengano. Cfr. www.osservatoreromano.va/it/news/discernimento-e-carita-pastorale del 12.09.16
[28] Papa Francesco, Evangelii gaudium, 44.
[29] Id, 47 in AL 305
[30] Papa Francesco, AL, 300
[31] Relatio finalis 2015, 85
[32] Papa Francesco, AL, n.305
[33] Id, 308

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