Ravasi: l'economia alternativa del PERDONO
Gianfranco Ravasi venerdì 6 marzo 2015
Se volessimo ricorrere alla simbolica numerica potremmo delineare una
specie di «matematica» della giustizia, dell’amore e del perdono. È ovvio che
l’equazione è l’1 a 1: «occhio per occhio...», così come quella della violenza
cieca e distruttiva è il 7 a 77, sulla scia del grido di Lamek: «Sette volte
sarà vendicato Caino, ma Lameck settantasette» (Gen 4, 24).
In antitesi a
essa si pone l’equazione del perdono così come è formulata da Gesù che – per
contrasto – la illustrerà poi con la parabola del servo spietato (Mt 18,
23-35). Essa presuppone un 7 a 70 x 7: «Pietro domandò: 'Signore, se il mio
fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a
sette volte?'. Gesù gli rispose: «Non dico fino a sette volte, ma fino a
settanta volte sette » (18, 21-22). Già per l’illimitata ampiezza del perdono
divino rispetto al confine circoscritto della giustizia si era visto che
l’equazione era 7 a 1.000 (Es 34, 7).
Il perdonare fa parte di quella
particolare «economia» dell’amore che non calcola ma dona, e proprio così
moltiplica i suoi effetti. Essa è descritta nella mini-parabola che Luca
incastona nell’episodio della peccatrice che incontra Gesù nella casa di Simone
il fariseo: «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva 500 denari, l’altro
50. Non avendo essi di che restituire, condonò a entrambi il debito. Chi dunque
lo amerà di più? E Simone rispose: 'Suppongo colui al quale ha condonato di
più!'. E Gesù: 'Hai giudicato bene'» (Lc 7, 41-43).
Il perdono spezza la catena
rigida del dare-avere e introduce la logica della donazione libera e generosa.
Si crea un nuovo regime nei rapporti umani, meno vincolato al calcolo che alla
fine rende tese e fredde le relazioni: nella parabola ciò che hai in cambio al
condono-perdono è l’amore, che è molto di più dei 500 o 50 denari.
È
questa una logica che applichiamo spontaneamente (ed egoisticamente) a noi
stessi, come ammoniva in una delle morali delle sue favole Jean de La Fontaine:
«Perdoniamo tutto a noi stessi e nulla agli altri». Ammiccando alla celebre
immagine evangelica della trave e della pagliuzza (Mt 7, 3-5), san Francesco di
Sales concludeva: «Di solito coloro che perdonano troppo a se stessi sono più
rigorosi con gli altri». Si dovrebbe invece essere coerenti e adottare per
tutti l’identica «economia» di perdono.
E proprio perché tutti appartengono
alla stessa creaturità adamica e alla relativa finitudine e fragilità, è
necessario che si ribadisca la legge della reciprocità. Essa brilla nel
Padre nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai
nostri debitori». Un’invocazione, questa, che è accompagnata da un commento di
probabile genesi redazionale matteana: «Se infatti perdonerete agli altri le
loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche voi, ma se voi non
perdonerete gli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt
6, 12.14-15).
Questa legge, che è anche alla base della citata parabola
del servo spietato, è ribadita a più riprese nell’epistolario paolino: «Siate
benevoli gli uni verso gli altro, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come
Dio ha perdonato a voi in Cristo» (Ef 4, 32); «Sopportatevi a vicenda,
perdonandovi gli uni gli altri [...] Come il Signore vi ha perdonato, così fate
anche voi» (Col 3, 13). Perdonàti da Dio e dagli altri, perdoniamoci a vicenda:
è questo l’impegno morale cristiano che ha, però, ancora una sua radice
naturale, profondamente umana. Alla spirale della violenza che infetta la
società si può e si deve opporre la spirale del perdono, come è attestato –
tanto per proporre un esempio concreto contemporaneo – da uno scambio di
corrispondenza tra un ex terrorista delle Brigate Rosse italiane e il gesuita
padre Adolfo Bachelet, fratello di una delle vittime. Ecco un brano della
testimonianza epistolare di quel carcerato: «Mi sono accorto che, una volta
innescata la spirale del perdono, dell’amore, del bene gratuito, nessuno la
ferma più: diventa un contagio, una luce che si comunica da uno sguardo
all’altro, una reazione a catena. Questo è il miracolo, di cui oggi sono
testimone, in carcere. Io ho questa coscienza nuova: se riuscirò a trasformare
la mia vita, questa diventerà un segnale per gli altri e, quando loro faranno
altrettanto, questo segnale si propagherà e raggiungerà altri ancora». Si
tratta, dunque, di elaborare una vera e propria educazione al perdono che, pur
non elidendo le esigenze della giustizia, le invera e le supera dando origine a
una civiltà diversa che vede in azione non solo le regole dell’«economia »
parallelistica del diritto, ma anche quella «eccedente» del perdono. È
sorprendente scoprire come questo anelito, che è trascendente ma anche insito
in ogni creatura, sia esaltato pure dalla più nobile tradizione musulmana, come
appare in questo apologo del sufismo che poniamo a suggello della nostra
ridotta e semplificata grammatica teologica del perdono. «Un viandante fu
superato da un uomo su un cavallo in corsa: aveva lo sguardo cattivo e le mani
insanguinate. Poco dopo spuntò un drappello di cavalieri che gli chiesero se
avesse visto un uomo macchiato di sangue a cavallo. Il viandante chiese: 'State
inseguendo quel malfattore per consegnarlo alla giustizia?'. 'No – risposero –
lo inseguiamo per mostrargli la retta vi del pentimento e del perdono'».
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Forse il perdono contraddice la matematica, perché la misericordia è piuttosto una grammatica... “Grammatica del perdono” si intitola infatti il prezioso libretto che il cardinale Gianfranco Ravasi licenzia per Edb (pagine 40, euro 6,00) e del quale riprendiamo una parte in questa pagina. Il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura esamina dapprima «Il perdono tra natura e soprannatura», quindi delinea «Una teologia del perdono» e conclude con «Un’etica simbolica del perdono» cui concorrono la memoria, la psicologia, la terapia e appunto l’economia. «La consapevolezza che il perdono sia una realtà complessa e delicata – nota Ravasi – appare già in un curioso dato statistico: nell’ebraico biblico, che è una lingua fatta solo di 5.750 vocaboli, sono ben 8 i verbi per coprire semanticamente il significato di perdono».
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