Il prolifico fondatore della Comunità monastica di Bose, fr. Enzo Bianchi, è stato recentemente intervistato sulla preghiera dall'
. Il testo dell'articolo:
Un tempo pregare era come
respirare. Oggi che a livello spirituale l’ossigeno si va rarefacendo, chiamare
la preghiera «il respiro dell’anima», come ha fatto Papa Francesco (14 dicembre
2014), che senso ha e che sforzo richiede?
Le nuove generazioni forse non
saprebbero più usare questa espressione, anche se pregano lo stesso. La
preghiera oggi è percepita in modo molto diverso da un tempo; è un fermarsi, un
sostare, un mettersi a pensare contemplando, cercando soprattutto di ascoltare
la voce di Dio che parla al cuore. Certo la preghiera resta il respiro
dell’anima e della vita interiore; come potrebbe essere diversamente? Ma
l’antropologia è mutata, il mondo è disincantato, sono cambiati lo stile e la
forma della preghiera che esisteva prima di quest’età postmoderna.
Con il cambiare dei tempi, la
preghiera resta anche l’espressione innata del senso religioso della vita. «Non
so se credo o non credo: so che prego» diceva lo scrittore spagnolo Salvador de
Madariaga. Ma se così è, quale potrebbe essere l’ipotetica preghiera di un
ateo?
Oggi sono parecchi a dire: «Non so
neanche se credo in un Dio personale, però prego», nel senso che dedicano del
tempo alla contemplazione, alla meditazione, all’abitare con se stessi. È
tipico dell’uomo, in tutte le tradizioni culturali, spirituali e religiose,
interrogarsi, porsi le domande fondamentali cercando una risposta. Molti atei
mi confidano che nelle profondità di se stessi ascoltano la voce della propria
coscienza, meditano, leggono testi umanistici e poi con essi cercano di
rispondere alle domande brucianti dell’esistenza. Questa attività è certamente
simile alla preghiera, ma quella cristiana ha una sua particolarità, è
differente da tutte le altre.
Qual è, allora, lo specifico
cristiano della preghiera?
Lo specifico cristiano è che Dio ci
precede, ci cerca, ci parla. La preghiera cristiana nasce sempre come ascolto!
Questo vale sia nel giudaismo sia nel cristianesimo. Dio va innanzitutto
ascoltato! Lo straordinario della nostra fede è un Dio che ci parla (cfr. Deuteronomio
4, 32-33), quindi il primo passo della preghiera cristiana è
mettersi in ascolto. Dall’ascolto nasce la fede (cfr. Romani 1, 17),
nasce la conoscenza di Dio, nasce la relazione con Lui. Dall’ascolto nascono le
parole che possiamo ridire a Lui.
Perciò Papa Francesco dice:
«Pregare è parlare con Dio» (3 aprile 2014). In realtà l’uomo si è sempre
inginocchiato davanti a Qualcuno che lo trascende. Ma non è follia rivolgersi a
una Presenza non riscontrabile con i parametri umani?
Può esserlo, ma io più che con
discorsi teorici preferisco rispondere sulla base dell’esperienza personale. Da
piccolo, prima di andare a dormire, mia madre mi faceva inginocchiare in fondo
al letto e con parole semplici mi faceva pregare chiedendo al Signore la sua
benedizione, la salute dei nostri cari, l’invio dello Spirito santo, e poi mi
invitava a manifestargli riconoscenza e lode. Sono stato perciò abituato a
parlare con una Presenza invisibile. D’altronde, ci sono realtà invisibili alle
quali crediamo. Si pensi al vento: non ha volto, né lo si vede, eppure è una
presenza che tutti avvertiamo e alla quale crediamo. Nello spazio della fede
Dio è una presenza non discernibile, non visibile, eppure non solo possiamo
credere a lui, ma possiamo anche parlare a lui, abbandonarci a lui, attendere
il dono del suo Spirito.
Pregare non è, però, lo stesso in
tutte le religioni; le differenze sono anche a livello pratico. Per esempio,
nell’islam, il fedele è tenuto a pregare cinque volte al giorno, mentre nel
cristianesimo non esiste una struttura quotidiana così rigida. È un pregio o un
difetto?
È vero, però certi appuntamenti
occorre darseli. La preghiera del mattino e della sera (la Liturgia delle Ore)
dovrebbero essere praticate non solo dai monaci, ma da tutti. Basterebbe anche
un pensiero, visto che il cristianesimo predilige lo stare alla presenza di
Dio, il pensare davanti a Dio, l’ascoltare la Sua voce, l’esercitarsi a vedere
gli uomini, gli eventi, le cose, con gli occhi di Dio. Questa modalità di
preghiera, che si chiama contemplazione, possiamo adoperarla in ogni momento,
in tutte le situazioni. Si potrebbe dire con san Basilio che la preghiera
cristiana è «la percezione di Dio», ovvero l’avvertire che Dio è con noi, ci
guarda e costantemente riversa su di noi il suo amore. È questo l’essenziale
della preghiera cristiana, e di certo non ha bisogno di un orario!
Tutto questo purché pregando non
sprechiamo parole «come fanno i pagani» (cfr. Matteo 6, 7), ci avverte Gesù!
È vero, esiste il rischio di
scivolare nella preghiera pagana, che Lucrezio chiamava con molta ironia
«l’affaticamento degli dèi a forza di parole»! Però questo rischio lo corrono
anche i cristiani che pensano di convincere Dio secondo i propri desideri, di
piegarlo alle proprie volontà, moltiplicando parole. Addirittura c’è il rischio
che certe preghiere diventino pettegolezzo spirituale davanti a Dio. No! Il
primato della preghiera va all’ascolto. Bastano poche parole dette con
discrezione, come ci ha insegnato Gesù nel Padre Nostro. Poche domande, quelle
essenziali: pane e misericordia. Di nient’altro abbiamo bisogno!
Purtroppo è facile sprecare parole
nell’epoca della digitalizzazione. Oggi con i social media si prega, si recita
il rosario, si legge il breviario, si condividono beni spirituali. A quali
condizioni l’intesa tra l’elettronica e la preghiera può funzionare?
I media non vanno demonizzati,
possono servire anche alla preghiera. Io stesso in certi momenti di solitudine,
o nella malattia, mi sono accorto che poter usufruire, ad esempio, del rosario
è d’aiuto. Però poi la preghiera deve sgorgare dalla vita; non devono essere i
media a dettarci la preghiera, ma la nostra vita di fede, la nostra vita
quotidiana.
Usiamo i media, purché siamo
attenti a non vivere di parole, di sensazioni, a non pretendere che la
preghiera diventi uno spettacolo. La preghiera che raccomanda Gesù è quella
silenziosa: «Prega nel segreto e il Padre che è nel segreto, ti risponderà»
(cfr. Matteo 6, 6).
Papa Francesco dice pure: «La
preghiera è la batteria del cristiano» (7 giugno 2016). In che senso va presa
questa metafora?
Nel senso che la preghiera è fonte
di energia, di forza, scende in profondità, scava dentro, ed è l’arma migliore
che abbiamo per affrontare la vita, le tentazioni, le prove. Non può esserci
vita cristiana senza preghiera! Attenzione, però, a non fare della preghiera
una forza magica: essa resta sempre un dono gratuito che ci fa lo Spirito
santo. È la grazia di Dio che rinnova la nostra preghiera, non noi che con la
preghiera suscitiamo la grazia di Dio.
Per questo il Papa mette in
guardia: «La preghiera non è una bacchetta magica» (25 maggio 2016). Però, se
dalla preghiera non bisogna aspettarsi il miracolo, è lecito lamentarsi della
mancanza del riscontro positivo?
Il fatto è che sovente i nostri
desideri non coincidono con quello che il Signore vuole per il nostro bene. Dio
rispetta la libertà dell’essere umano e non forza la sua situazione di creatura
che vive in questo mondo. Ma Gesù ci ha detto che Dio risponde mandandoci
sempre il suo Spirito, se glielo chiediamo (cfr. Luca 11, 13).
Può allora accadere di sentirci prostrati non essendo esauditi, e nondimeno Dio
realizza le sue promesse.
Infine che dire della liturgia, che
il concilio Vaticano II chiama «Culmine verso cui tende l’azione della Chiesa
e, insieme, fonte da cui promana tutta la sua virtù»? Cosa manca ancora alla
sua riforma?
La liturgia è il grembo in cui si è
iniziati alla preghiera; senza liturgia, la preghiera personale tende a essere
magica e non rispondente alla fede cristiana. Proprio perché la liturgia chiama
all’ascolto della Parola di Dio e poi al dono del Corpo e Sangue del Signore, è
veramente il seno in cui la preghiera individuale può crescere. Allo stesso
tempo la liturgia è anche il culmine della preghiera, la quale dovrebbe
tendere, nel corso della settimana, all’Eucaristia domenicale, che è la
preghiera delle preghiere. Certo, come non mancano le difficoltà nella
preghiera personale, così ce ne sono anche nella liturgia. C’è stata una
Riforma dopo il concilio Vaticano II e ci sono ancora delle resistenze a questa
Riforma. Ma diciamo la verità: ormai sono passati più di cinquant’anni, il
mondo è cambiato tantissimo, siamo all’interno di una nuova antropologia, il
linguaggio è completamente differente e stiamo ancora a chiederci se non sia il
caso di arrivare — con tutta la prudenza possibile — a un cambio dei linguaggi,
perché le nuove generazioni sono completamente estranee a quelli tradizionali?
Senza la Riforma la liturgia rischia di essere il luogo dove la Chiesa più
deperisce, perché le nuove generazioni, non attratte dalle formule e dai riti,
partecipano sempre meno alla liturgia, che invece è assolutamente necessaria.