I gesti amorosi. In amore è lecito tutto?

di Don ARISTIDE FUMAGALLI *

Ci fu un tempo in cui al giovane audace, che osava porre la fatidica domanda a proposito dei gesti amorosi: «ma si può o non si può?», seguita magari subito dall'altra che faceva sperare in qualche generosa concessione: «fin dove è lecito arrivare?», venivano subito presentati una minuziosa serie di segnali di pericolo e divieti d'accesso che regolavano ogni minima effusione amorosa. Ci fu poi un tempo, ed è il nostro, in cui i rari giovani che ancora pongono le medesime domande incontrano o il silenzio imbarazzato di chi non vuole sbilanciarsi o il discorso colto di chi delinea l'orizzonte entro cui comprendere le domande, senza però indicare anche qualche regola di condotta. Se dunque un tempo il rischio era che l'amore soffocasse tra una selva di regole, quello odierno è che si disperda, perché privo di riferimenti sufficientemente concreti.
La valutazione morale dei gesti amorosi esige che si evitino gli opposti scogli del legalismo, che detta le regole prescindendo dalla coscienza personale, e dell'arbitrio, che lascia alla sola coscienza di inventarle. Ciò deluderà le attese di chi immagina che la risposta alla domanda: «che cosa si può fare?» sia un elenco dei gesti permessi e vietati, come pure la pretesa di chi vorrebbe eliminare la domanda. Dietro l'una e l'altra posizione si nasconde, non di rado, la paura e la fatica della responsabilità personale. Il legalismo normativo solleva dal peso di decidere e valutare in prima persona il proprio comportamento sessuale; l'arbitrio individuale toglie l'ansia di rendere conto delle proprie scelte amorose.
Prima di tracciare la rotta di un'adeguata valutazione morale, è opportuno delimitare, almeno approssimativamente, a che cosa ci riferiamo parlando di «gesti amorosi». L'amorosità qui intesa è quella tra due giovani eterosessuali, l'uno/a innamorato dell'altro/a. I gesti sono quelli in cui tale innamoramento può "prendere corpo", incarnarsi, quali le carezze, gli abbracci, i baci, i rapporti sessuali. Partiremo rilevando le inevitabili implicazioni dei gesti amorosi (I); scopriremo poi il loro senso in riferimento al matrimonio cristiano (II); potremo quindi considerare i gesti amorosi in età giovanile (III), indicando, infine, il percorso, i criteri e le risorse che consentano ai giovani di imparare l'alfabeto dell'amore sessuale cristiano (IV). 

1. Le implicazioni dei testi amorosi

Nella molteplice varietà dei gesti amorosi si possono riconoscere due ricorrenti dinamismi che, pur variando di intensità, assegnano ai diversi gesti l'identità comune di gesti «amorosi». Il primo dinamismo è il piacere erotico, percepito dai sensi, che tali gesti inducono. Il secondo è l'emozione affettiva, i sentimenti, che pure essi veicolano. La distinzione tra i due dinamismi fa riferimento alle dimensioni fisica e psichica della persona, le quali, peraltro, non sono semplicemente giustapposte ma intessute l'una nell'altra. Il piacere del contatto fisico alimenta l'affetto sentimentale e l'affetto sentimentale accresce il piacere fisico.
Già a livello psico-fisico i gesti amorosi dischiudono un abbozzo di senso. Il piacere fisico e il sentimento psichico, infatti, accendono il desiderio di mantenere e approfondire il contatto con l'altro/a, invocano dunque un legame. In tal modo, i gesti amorosi trascendono la sola dimensione fisica e psichica della persona e ne interrogano la dimensione propriamente spirituale, quella per cui gli esseri umani ragionano e vogliono, sono cioè esseri liberi. Il desiderio indotto dal piacere sensibile e dall'emozione affettiva interpella la libertà personale.
Possiamo dare voce al senso invocato dai gesti amorosi, esplicitando la duplice domanda che sorge nella coscienza di chi li compie:
  1. Chi sono e chi divento io, compiendo questo gesto con te?
  2. Chi sei e chi diventi tu per me, compiendo questo gesto con me?
    La risposta a queste domande viene elaborata nello spazio delle relazioni sociali e del quadro culturale in cui i due sono inseriti, e tessuta lungo il tempo della loro vicenda. L'inevitabile implicazione socio-culturale e temporale dei gesti amorosi introduce due ulteriori domande, che possiamo così formulare:
  3. Chi siamo e diventiamo noi, compiendo questi gesti, rispetto alla società in cui viviamo e alla cultura a cui apparteniamo?
  4. Che storia è e diviene la nostra, compiendo questi gesti?
Le risposte a queste domande sul senso dei gesti amorosi possono essere tante quante sono le persone in essi coinvolte. Ma per quanto diverso possa essere il senso assegnato ai gesti amorosi, un senso viene comunque deciso. Non è possibile sottrarsi ai propri gesti divenendone solo spettatori. Per certi versi proprio questo è il miraggio oggi inseguito, nell'illusione che i gesti amorosi non comportino alcuna responsabilità, ma siano leggeri come quelli di un gioco che, una volta concluso, consente di riprendere la vita da dove la si era interrotta. I nostri gesti, tanto più quelli esplicitamente sessuali, per via della risonanza sin nelle profondità inconsce della struttura personale, ci obbligano alla responsabilità: possiamo approvarli o rinnegarli, ma non possiamo disfarli.

2. Il senso cristiano dei gesti amorosi

Le diverse e talora contrastanti determinazioni del senso dei gesti amorosi implicano e dipendono da una antropologia sessuale di riferimento, e cioè da una concezione complessiva dell'identità differenziale dell'uomo e della donna e della loro relazione. A sua volta, ogni antropologia sessuale implica e dipende da una concezione complessiva dell'esistenza umana rispetto al tutto dell'essere, aprendosi dunque all'orizzonte metafisico e religioso. Nella pluralità, non di rado confusa e conflittuale, delle interpretazioni, la Chiesa annuncia il senso cristiano della gestualità amorosa. La Chiesa annuncia tale senso alla luce della Sacra Scrittura, della Tradizione e della testimonianza dei fedeli cristiani. In estrema sintesi l'annuncio è che il senso dei gesti amorosi trova la sua compiutezza nel matrimonio cristiano.
Il compendio migliore di ciò che si intende per «matrimonio in Cristo» è il passo della lettera agli Efesini in cui Paolo afferma: «L'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!» (5, 31-32). Il matrimonio cristiano è la comunione integrale tra un uomo e una donna, a immagine dell'amore di Cristo per i suoi. L'imitazione dell'amore di Cristo non è la riproduzione esteriore del suo esempio, ma la partecipazione intima alla sua vita. Questo innesto della relazione amorosa di un uomo e di una donna nella vita di Cristo consente al Suo amore di trasfondersi nell'amore dei due, abilitandoli ad amare come Lui. L'innesto dell'amore umano nell' amore di Cristo è ciò che fa del matrimonio cristiano un sacramento. Nel sacramento del matrimonio, all'uomo e alla donna è donata la capacità e richiesto il compito di scrivere, con la loro storia d'amore, una parabola vivente sul comandamento nuovo di Gesù: «come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (13, 34). La comunione integrale prospettata dal matrimonio in Cristo non sorge in un attimo, ma richiede una storia. Anzi, per meglio dire, la comunione amorosa, più che uno stato da raggiungere e mantenere, è essa stessa una storia che si snoda attraverso innumerevoli soglie e gradi.
Nella continuità storica di un amore è riconoscibile un momento decisivo, quello in cui la comunione con l'altro/a, in seguito all'essere stata intuita e desiderata come possibile, viene riconosciuta e scelta come il bene della propria vita. Questa decisione di impegnarsi integralmente nella comunione amorosa con l'altro/a è ciò da cui nasce il matrimonio e ciò che distingue la vita matrimoniale da ogni altra forma di relazione amorosa ad esso precedente. Colta in questa prospettiva, la celebrazione rituale del matrimonio non è la semplice formalità burocratica che ufficializza una relazione amorosa, inscrivendola al registro della Chiesa e/o del Comune, ma la reciproca scelta dei due di impegnarsi integralmente nella comunione amorosa, facendo proprie tutte le condizioni personali, sociali ed ecclesiali che essa comporta. Il giorno precedente al matrimonio non è uguale a quello che segue: tra l'uno e l'altro interviene la decisione, fino a quel momento non ancora effettiva, definitiva e pubblica, di essere una cosa sola con e per l'altro/a. La celebrazione sacramentale del matrimonio, poi, fa sì che la coppia goda da quel momento di una presenza speciale della grazia di Dio, a sostegno e alimento della loro libera scelta di impegnarsi integralmente nell'amore reciproco. Impegnarsi integralmente significa impegnare totalmente le dimensioni di spazio e di tempo che caratterizzano la vita personale e, dunque, tutto il proprio corpo e tutto il proprio tempo di vita. Affinché questo impegno esistenziale sia adeguatamente espresso occorre un gesto corporeo altrettanto integrale. Tale è il gesto dell'unione sessuale, in cui l'intero corpo, fin nella sua più profonda intimità, risulta coinvolto. Se così non fosse si creerebbe una dissociazione tra la comunione personale e la sua espressione corporea. Si potrebbe ancora definire integrale una comunione che non coinvolgesse integralmente il corpo?
Questa corrispondenza è la ragione in base alla quale la Chiesa ritiene che il matrimonio, e solo il matrimonio, sia la relazione adeguata per l'unione sessuale. La legge della corrispondenza tra comunione personale ed espressione corporea proviene dal fatto chela persona umana è una «totalità unificata» di spirito e corpo. Il corpo non è lo strumento materiale di cui lo spirito personale dispone a piacimento, ma il modo stesso di essere al mondo della persona. Come il linguaggio verbale, anche quello corporeo vale nella misura in cui corrisponde alla vera intenzione di chi lo parla: nel caso contrario la nasconde o la tradisce.

3. I gesti amorosi in età giovanile

Il patto matrimoniale, sancito in un preciso momento, permette di distinguere una storia d'amore in due principali tempi: il tempo in cui i due scoprono la possibilità e creano le condizioni reali in vista della comunione amorosa, e il tempo in cui si impegnano a viverla integralmente. Detto in termini più tradizionali: il tempo del fidanzamento e il tempo del matrimonio.
La comunione amorosa, che solo col patto matrimoniale diviene integrale, non è assente al tempo del fidanzamento, ma proprio lì comincia ad essere apprezzata come possibile alleanza per l'intera vita. Se è vero, infatti, che il patto matrimoniale sancisce un passaggio decisivo nella qualità della comunione amorosa, nondimeno essa, già prima, può cominciare ad essere apprezzata e, seppur parzialmente, vissuta. In qualche modo, anzi, lo deve essere, poiché solo così l'alleanza matrimoniale potrà essere liberamente e responsabilmente scelta.
Il tempo precedente al patto matrimoniale è dunque il tempo in cui la comunione amorosa, pur già cominciata, non è ancora integrale. Per la legge della corrispondenza tra comunione personale ed espressione corporea, dato il grado ancora parziale della comunione amorosa, anche l'espressione corporea non dovrà essere integrale, giungere cioè all'unione sessuale. Si potrebbe ancora definire autentica l'unione sessuale cui non corrispondesse la decisione esistenziale di una comunione integrale? A questa discordanza fa riferimento la Chiesa, quando insegna, secondo la sua costante dottrina, l'illegittimità morale dei rapporti prematrimoniali.
Lungo il tempo del fidanzamento è immaginabile, e sperabile, che la comunione amorosa, pur non avendo tutte le condizioni per essere integrale, non resti costantemente uniforme, ma cresca gradualmente. Il grado, pur sempre parziale, di comunione personale raggiunta dai fidanzati costituisce il criterio essenziale per la valutazione dei loro gesti amorosi. A un grado più impegnato di relazione corrisponderà un gesto amoroso di maggior espressività e prossimità. Detto in termini più immediati: più l'intenzione di sposarsi è seria e più la gestualità amorosa potrà essere intensa; meno il matrimonio sarà all'orizzonte e meno coinvolgenti dovranno essere le effusioni corporee. In termini più corporei: più il matrimonio è voluto e più i gesti potranno assumere rilievo sessuale.
Come abbiamo visto, il senso di un gesto amoroso, e dunque il suo rilievo sessuale, dipende da diverse variabili. Sarebbe pertanto ingenuo, oltre che impossibile, pretendere di determinare il rilievo sessuale di un gesto prescindendo da coloro che lo compiono, dal contesto in cui si trovano e dalla storia che vivono. Da ciò deriva il limite di una certa concezione morale del passato, che stabiliva il confine tra il lecito e l'illecito dei gesti in base alle parti del corpo interessate. Per questo, le semplici domande: «Che cosa si può fare? Fin dove si può arrivare?» sono troppo generiche e non possono avere una risposta immediata, al di là dell'indicazione che, per le ragioni sopra addotte, esclude i rapporti sessuali prematrimoniali.
I limiti della valutazione morale del passato non escludono che essa contenesse delle giuste istanze. Il corpo, infatti, non è un'unità indifferenziata e, dal punto di vista specificamente sessuale, le diverse membra hanno un diverso rilievo. L'esperienza più comune, studiata dalla sessuologia, individua, per esempio, le cosiddette «zone erogene», ovvero quelle parti del corpo più idonee a raccogliere e ad esprimere l'eccitamento sessuale. La diversa sensibilità e potenzialità erotica delle parti del corpo è un elemento, certo non l'unico, che entra nella determinazione del senso di un gesto amoroso e nella sua valutazione morale. In termini generali, una carezza sul volto non ha lo stesso rilievo sessuale di un bacio sulle labbra; tenersi per mano non ha lo stesso rilievo che stringersi in un abbraccio; sfiorare il seno non è la stessa cosa che toccare gli organi sessuali. Andrebbe peraltro considerato la notevole differenza del corpo maschile e femminile, sia per la diversa localizzazione delle zone erogene (nel maschio più concentrata nella sfera genitale, nella femmina più diffusa in tutto il corpo), sia per la diversa sensibilità erotica (più immediatamente intensa nel maschio, più diffusamente prolungata nella femmina).
Considerando ancora i gesti amorosi a livello del dinamismo psico-fisico che inducono, andrà osservato che solo fino a un certo punto esso resta libero. Passata una certa soglia di eccitazione risulta quanto mai improbabile rinunciare all'unione sessuale completa, se non a prezzo di insane tensioni. I gesti amorosi godono solo fino a un certo punto di relativa autonomia, divenendo poi preliminari del rapporto completo. Il gesto non è solo ciò che la persona decide di fare, ma anche ciò che porta la persona a fare, e spesso in ambito sessuale, a fare anche ciò che non pensava o voleva fare. Non si dovrà nemmeno ignorare la dinamica fondamentale dei comportamenti umani, soprattutto sessuali che, se divengono abitudinari, finiscono per sottrarsi alla volontà libera e scadono al livello dei comportamenti condizionati.
La forte incidenza del costume sociale sul vissuto di coppia, dovuta alla (pre)potente azione dei mass-media a servizio dell'economia dei consumi, ha pressoché censurato l'alfabeto dei gesti amorosi, limitandolo a quello del rapporto sessuale. Abbagliata dalla consumazione immediata delle emozioni, la vita di coppia stenta a trovare e ad assaporare la varietà e la gradualità della gestualità amorosa. L'amore giovanile è oggi fortemente tentato di essere subito sessuale, ma solo sessuale, e quindi troppo povero per alimentare la comunione amorosa. Il riscontro è offerto in significativa percentuale daifallimenti della vita matrimoniale, dovuti in larga parte non ad una vita sessuale carente, ma alla carenza di compatibilità e di comunicazione agli altri livelli della relazione interpersonale. Mai assaporati prima del matrimonio, o presto e lungamente imbavagliati dalle emozioni di una precoce vita sessuale, gli innumerevoli altri gesti dell'amore sono sconosciuti proprio quando, nella vita matrimoniale, potrebbero riaccendere ed alimentare il desiderio di un'intimità sessuale divenuta inespressiva e routinaria. Mai come oggi sembra necessario una nuova creatività amorosa per imparare a parlare l'amore, piuttosto che a consumarlo.

4. L'alfabetizzazione dell'amore giovanile


a) La castità giovanile
In vista di una rinnovata alfabetizzazione della gestualità amorosa, la proposta apparentemente anacronistica della castità mostra tutta la sua inattesa attualità. Per dissotterrare il prezioso talento della castità, si può partire dall'etimologia latina, secondo la quale il termine castus, da cui casto, castità, ha come contrario il termine incastus, da cui incestuoso, incesto. L'etimologia può essere arricchita accennando al significato che in ambito psicoanalitico viene attribuito all'incesto: incestuosa sarebbe la relazione fusionale che il bambino, nei primissimi stadi di vita, vive con la madre. Affinché il bambino scopra la sua identità soggettiva, è necessario che rinunci alla fusione con la madre. Espressione di tale necessità è il divieto di incesto, universalmente diffuso in tutte le società umane. Vietando le relazioni sessuali con i genitori e, più in generale, tra persone che hanno legami di parentela, il divieto di incesto trattiene il soggetto dalla regressione allo stadio fusionale e indifferenziato della prima infanzia. La rinuncia alla (con)fusione originaria è, in positivo, la possibilità di instaurare relazioni sessuali che salvaguardino l'identità personale e la differenza dell 'altro/a. Questa possibilità è ciò che la castità esprime e promuove
La fusione simbiotica riguarda, pur in modalità diverse, altre fasi della vita umana ed in modo particolare l'esperienza dell'innamoramento. «"Noi siamo tutt'uno" pensano gli innamorati. [...] Nessuna differenza, nessuna separazione, soprattutto. Dobbiamo ritrovarci incessantemente, toccarci, accarezzarci, unirci, aggrovigliarci. Restare lì nella dolcezza del bozzolo, avviluppati per sempre nell'identico, senza nessuna mancanza né lacerazione». Affinché la seduzione fusionale dell'innamoramento si trasformi nella libertà dell'amore, i due devono praticare la castità, differendo l'unione sessuale sino a che maturi l'identità personale dello/a sposo/a. Allora, nel matrimonio, la fusione erotica e sentimentale vissuta nell'unione sessuale, sarà arricchita di tutta la densità personale guadagnata vivendo la castità prematrimoniale. La castità è la capacità di prendere distanza dal piacere erotico e dall'emozione sentimentale per entrare con esse in dialogo libero. Affinché l'amore sia libero, è necessario che l'emozione e il sentimento non soffochino o trascinino la scelta personale. Non devono, cioè, essere solo subite, ma agite. La castità è l'arte di inscrivere la libertà personale nei dinamismi erotici e sentimentali del gesto amoroso; l'arte di personalizzare la gestualità amorosa.
Così definita, la castità non è conformabile ad una sola fase della vita amorosa, ma la informa lungo tutto il suo corso. Snodandosi in una storia, la castità assume però diversa fisionomia. Al di fuori del matrimonio, la castità ha i tratti della continenza, dell'astensione cioè dai rapporti sessuali. Nella logica di quanto detto sopra, contenere il desiderio sessuale non è censurarlo, ma consentire che cresca. La continenza non è la castrazione del desiderio sessuale, ma la legge della sua maturazione.
La tradizione cristiana considera la castità una «virtù morale» e, nel contempo, «un frutto dello Spirito», una capacità, dunque, che sorge dalla collaborazione della libertà umana e della grazia divina. Alla libertà umana è richiesto un lungo apprendimento ed un continuo esercizio, affinché la castità non sia l'impegno di qualche momento, ma una disposizione stabile: tale è la virtù. Il conseguimento della virtù della castità non è, però, il risultato di uno sforzo autonomo del soggetto, ma una «grazia» donata dallo Spirito. Infondendosi nei dinamismi della sessualità umana, lo Spirito abilita il soggetto a renderla espressiva di quel modo d'amare che fu di Cristo, modo di amare cui i primi cristiani diedero il nome di agape, caritas. La castità può allora essere intesa come l'incarnarsi della carità nella sessualità amorosa.
In quanto virtù cristiana, la castità giovanile non può essere ridotta a una legge inventata e dettata dalla Chiesa. Essa è la scelta personale, propiziata e sostenuta dalla grazia dello Spirito, di vivere la sessualità rendendola parola dell'amore di Cristo. Solo se personalmente scelta come dinamismo dell'amore la castità può essere vissuta. Se lo fosse come semplice osservanza di una legge imposta dalla Chiesa, finirebbe per apparire un peso di cui, presto o tardi, ci si sbarazza. Rischierebbe anzi di indurre l'atteggiamento farisaico di chi, pur osservando la lettera della legge, ne tradisce il senso. Sembra questo il caso di chi, per esempio, pur astenendosi dai rapporti sessuali completi, mirasse ad ottenere la soddisfazione erotica attraverso il surrogato della reciproca masturbazione (petting). La castità giovanile non è rispettata perché si osserva la legge della Chiesa che vieta i rapporti prematrimoniali. La legge della Chiesa può solo risvegliare e richiamare la coscienza dei giovani alla scelta, consapevole e libera, di un amore casto.

b) Criteri di valutazione dei gesti amorosi
Un aiuto a vivere responsabilmente la castità giovanile può giungere dall'indicazione di qualche criterio per la valutazione morale della gestualità amorosa. Ne suggeriamo tre.
Il primo criterio consisterà nel verificare se e quanto la coscienza personale percepisce il senso implicato nei gesti amorosi ed è in grado di viverlo. Questa prima fase risulta oggi quanto mai decisiva. La responsabilità morale, infatti, non può che essere misurata sul grado di percezione del senso implicato nei gesti amorosi e di capacità di scegliere in proposito. Sono consapevoli i giovani di ciò che fanno? Mancano forse essi di percepire qualcuna delle implicazioni dei loro gesti? Quali ostacoli si frappongono alla percezione adeguata del senso della loro gestualità amorosa? Quali condizionamenti impediscono loro di accordare le loro scelte al senso percepito? Quanto essi sono responsabilmente coscienti del legame che sussiste tra i gesti del corpo e la comunione personale? La coscienza personale, prima ancora che rispondere di ciò che decide, deve rispondere della sua formazione. La costante dottrina della Chiesa, che certo riconosce alla coscienza personale l'ultima parola sugli atti compiuti, vale nella misura in cui si faccia tutto il possibile per la sua miglior formazione. Come già accennato, questo rimanda al dialogo sincero e costante della persona con lo Spirito di Dio, il maestro interiore della coscienza, dialogo che avviene in modo speciale ascoltando la Parola di Dio, celebrando i sacramenti, condividendo la vita cristiana di una comunità.
Il secondo criterio per la valutazione di gesti amorosi riguarda il grado della comunione raggiunta. Corrisponde il gesto che compio al grado di comunione amorosa realmente vissuto? Il grado raggiunto della comunione amorosa riguarda, nello stesso tempo, il «già» e il «non ancora» della comunione amorosa. In riferimento al «già» della comunione vissuta ci si potrebbe chiedere: con quale intenzione compio un gesto amoroso? È riconoscibile in esso la qualità cristiana dell'amore, esprime cioè un amore che assomiglia, pur da lontano, a quello del comandamento nuovo di Gesù? Rispetto al «non ancora» della comunione integrale, ci si potrebbe domandare: come i gesti che compio esprimono il grado parziale della mia comunione con l'altro/a? Non presuppongo, forse, una comunione personale che ancora non viviamo? Il fatto, per esempio, che la potenziale fecondità implicita in un rapporto sessuale venga sistematicamente esclusa ricorrendo alla contraccezione, o addirittura rinnegata mediante le varie tecniche abortive ('pillola del giorno dopo', RU 486, aborto chirurgico), non segnala la sproporzione di un gesto delle cui possibili implicazioni non si può e non si vuole farsi carico?
Queste domande inducono al passaggio al terzo criterio della valutazione morale dei gesti corporei, riguardante il dinamismo che essi imprimono alla relazione amorosa. La valutazione morale non può arrestarsi al giudizio di «che cosa si fa», ma deve proseguire fino a chiedersi «dove si va». Verso quale direzione ci spingono i gesti amorosi? Quanto inducono a vagabondare nell'amore e quanto, invece, a camminare verso il matrimonio?

c) Il difficile cammino della castità
Dopo aver rispolverato il senso della castità giovanile ed indicato i criteri per valutarla, occorre ancora, prima di concludere, dire una parola sul difficile cammino della castità.
Ammettendo pure che quanto finora detto possa risultare «bello», nondimeno esso potrebbe sembrare «impossibile». «Bello e impossibile»: tale sarebbe l'amore cristiano proposto a due giovani innamorati. Una serie di elementi, non certo irrilevanti, concorrono a rendere improbabile la castità amorosa in età giovanile, o tutt'al più, una sfida eccessiva. Primo fra questi elementi è la stessa natura della sessualità umana, che si presenta come «un divenire fatto di progressioni, fissazioni, regressioni». A causa della sua storia, composta di molteplici stadi e spesso tumultuosa, l'organizzazione psico-sessuale di una persona permane relativamente labile. L'equilibrio delicato a livello psicosessuale risente in modo consistente dei condizionamenti culturali: da questo punto di vista, la cultura secolarizzata del mondo occidentale, sembra sempre più allontanarsi dai canoni dell'amore cristiano. Il principio in base al quale i giovani fanno le loro scelte è quello della «reversibilità», il che trattiene le relazioni amorose dall'impegno serio e duraturo. La maturazione delle relazioni amorose verso la comunione matrimoniale trova oggi non pochi ostacoli: l'aumento degli anni di studio, l'incertezza del mercato del lavoro, l'onerosità delle spese non favoriscono la celebrazione delle nozze, dilatando sine die il tempo del fidanzamento. In questo complesso di problemi, inoltre, anche la Chiesa stenta a trovare un linguaggio in grado di comunicare alle nuove generazioni l'esigente bellezza dell'amore sessuale cristiano.
Il solo accenno alle difficoltà che l'amore giovanile incontra sulla strada della sua maturazione matrimoniale sembrerebbe giustificare l'esercizio anche completo della sessualità al di fuori del matrimonio. Se anche non si volesse arrivare a tanto, sembrerebbe quanto mai difficile far corrispondere la gestualità amorosa al grado parziale di comunione vissuta. E poi, anche per i più convinti, non è immaginabile che, percorrendo una strada così accidentata, si rischi di cadere? Non si pretende troppo dai giovani d'oggi? La saggezza della fede cristiana non manca certo di realismo e conosce, fin dalle sue radici bibliche, la difficoltà della vita cristiana: «Come potrà un giovane tener pura la sua via?» (Sai 119, 9). Non fa nemmeno mistero sul fatto che la difficoltà comporti lunghi tempi, prevedibili cadute e una permanente incompiutezza. Infatti, il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che «la castità conosce leggi di crescita, la quale passa attraverso tappe segnate dall'imperfezione e assai spesso dal peccato» (n. 2343) e, inoltre, che «il dominio di sé è un'opera di lungo respiro. Non lo si potrà mai ritenere acquisito una volta per tutte. Suppone un impegno da ricominciare ad ogni età della vita (cf. Tt 2, 1-6)» (n. 2342). La risorsa che impedisce al realismo cristiano di scivolare verso il pessimismo si chiama perdono. La morale cristiana non accetta compromessi con il peccato, ma insieme conosce l'instancabile dinamica del perdono. Ciò che essa maggiormente teme non è il peccato, ma la presunzione di chi pensa di poter fare a meno del perdono di Dio, o perché non vuole riconoscere il suo peccato, o perché ritiene di non poter essere perdonato.

Conclusione
Rimasto con i soli Dodici al seguito, Gesù osò voltarsi verso di loro quasi sfidandoli: «Forse anche voi volete andarvene?» (Gv 6, 67). Tale sembra oggi la domanda rivolta ai giovani che, in numero ridotto, ancora s'incamminano sul difficile cammino della castità amorosa. A Gesù rispose quel giorno Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6, 68). Ancora oggi, più che ogni disquisizione sulle regole, sarà il contatto vivo con la Parola di Dio, celebrata e praticata, ad attirare i giovani sui sentieri che consentono di vivere ed apprezzare la bellezza esigente dell'amore cristiano.
(* Don Aristide Fumagalli è docente di teologia morale presso il Seminario di Venegono)

IL LIBRO PER APPROFONDIRE
Aristide Fumagalli
L'AMORE AL TEMPO DEL FIDANZAMENTO
Nuove prospettive sull'etica prematrimoniale
Edizioni San Paolo – 2003

Aristide Fumagalli:
L'amore al tempo del fidanzamento

Inquadrando le osservazioni sull'etica all'interno della più ampia dimensione personale, relazionale e temporale della sessualità, il volume si stacca da una visione rigidamente normativa della morale sessuale, senza per questo rimanere nell'indeterminatezza e senza scaricare sulla sola «libertà di coscienza» la responsabilità delle scelte dei fidanzati.
Chiarisce con fermezza alcuni concetti relativi all'etica prematrimoniale e suggerisce alcuni atteggiamenti che i sacerdoti, gli operatori pastorali, le famiglie e i fidanzati, possono assumere per una corretta evangelizzazione dell'eros e dell'amore di coppia a partire dal momento del fidanzamento.

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