I Domenica di Quaresima Anno A
IL
DESERTO E LE TENTAZIONI (DEL NON AMARE)
Subito dopo il Battesimo, lo Spirito “sospinse” (Mc 1,12) Gesù nel deserto, luogo dell’essenzialità, delle privazioni, ma anche
dell’intimità col Signore. Il deserto
biblico è un luogo di crescita, di maturazione, di preparazione.
Richiama ovviamente il cammino che il popolo d’Israele ha dovuto compiere, in
mezzo a mille difficoltà, per uscire dalla schiavitù d’Egitto e giungere alla
libertà della Terra Promessa. Il
deserto è tempo di purificazione interiore, di prova, di maturazione
spirituale, di consapevolezza di sé, delle proprie risorse e dei
propri limiti.
Anche noi, ricevuto il battesimo, dal suo Spirito siamo spinti fuori
dall’Egitto e condotti per il deserto, in cammino verso la piena libertà dei
figli.
Il deserto è il luogo della libertà e della tentazione, della fedeltà
di Dio e del dubbio nostro, dell’amore e della contesa reciproca, del cammino e
della caduta. Cifra dell’esistenza umana, è ricco di tutti i doni di Dio e di
tutti i nostri tradimenti. Fatica di vivere col peso del nostro male – ma anche
gioia della nube che protegge, del fuoco che guida, della manna che nutre,
dell’acqua che disseta, della Parola che illumina e dà vita – il deserto è il
crogiolo in cui Dio forma l’uomo. Nella solitudine assoluta, senza distrazioni,
è costretto a scegliere tra la morte e la vita, tra la sfiducia e la sfiducia,
tra la propria ombra e la sua promessa[1].
Se Gesù stesso è stato tentato, possiamo noi pensare
di poter amare senza provare delle tentazioni? Noi siamo tentati di sentire Dio
come un concorrente, di pensare di poter bastare a noi stessi, di fare a meno
di Dio e degli altri, di poter trovare dei surrogati di affetto nelle cose, nel
denaro, negli idoli.
La tentazione comporta una scelta di campo in cui decidere da che parte stare, se
con Dio o con il diavolo, con il bene o con il male, con la vita o con la morte.
Fosse così semplice la scelta, così chiari i confini tra le due parti, sarebbe
semplice la decisione da prendere. Solo che il diavolo non si presenta con le
corna e con il mantello rosso, il male non si presenta con il suo carico di
falsità e di morte. Tutt'altro: il diavolo cerca di nascondersi, di camuffarsi,
di farci credere che non esiste. Il male viene presentato come bene (immediato,
di facile consumo, appetibile): la tentazione è subdola, ingannatrice, si
nasconde e striscia come un serpente.
Gesù, uomo come noi, non è esentato dalle
tentazioni, deve anche lui compiere delle scelte di fondo, lottare
spiritualmente. Il male si insinua nel nostro desiderio di onnipotenza, di
bastare a noi stessi, di fare a meno di Dio e dell’aiuto degli altri. Ma è una
lezione importante quella di accettare che non tutto è commestibile e
riducibile ai nostri appetiti; non tutto è lecito, perché abbiamo una fragilità
corporea che va rispettata (e che Dio, per primo, rispetta, senza lasciarsi
manovrare).
Gesù rifiuta i messianismi correnti della sua e di
ogni epoca. Sono i tre idoli che dominano l’uomo, proiezione dei suoi bisogni:
-
l’idolatria delle cose, con un messianismo economico
che trasforma in pane le pietre;
-
l’idolatria di Dio, che vuol disporre di Dio stesso;
-
l’idolatria del potere, con un messianismo politico
che vuol dominare tutti[2].
Commenta S. Ilario di Poitiers:
C’è
all’orizzonte un persecutore insidioso: un nemico che lusinga, non flagella la
schiena, ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni, ma ci fa ricchi;
non ci imprigiona spingendoci verso la libertà, ma ci onora nel palazzo
spingendoci alla schiavitù; non ci stringe i fianchi con catene, ma vuole il
possesso del nostro cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide
l’anima con il denaro, il potere, il successo, i primi posti nella società[3].
Leggi anche quanto scrive Ermes Ronchi su Avvenire:
1- Dì che queste pietre diventino pane! Il pane è un bene, un valore indubitabile, ma Gesù non ha mai cercato il pane a suo vantaggio, si è fatto pane a vantaggio di tutti. E risponde giocando al rialzo, offrendo più vita: «Non di solo pane vivrà l'uomo». Il pane è buono, il pane dà vita ma più vita viene dalla bocca di Dio.
2- Seconda tentazione: Buttati, così potremo vedere uno stormo di angeli in volo... Un bel miracolo, la gente ama i miracoli, e ti verranno dietro. Il diavolo è seduttivo, si presenta come un amico, come chi vuole aiutare Gesù a fare meglio il Messia. E in più la tentazione è fatta con la Bibbia in mano (sta scritto...). Buttati, provoca un miracolo! La risposta: non tentare Dio, attraverso ciò che sembra il massimo della fiducia nella Provvidenza e invece ne è la caricatura, perché è solo ricerca del proprio vantaggio. Tu non ti fidi di Dio, vuoi solo sfruttarlo, vuoi un Dio a tuo servizio.
3- Nella terza tentazione il diavolo alza ancora la posta: adorami e ti darò tutto il potere del mondo. Adorami, cioè segui la mia logica, la mia politica. Prendi il potere, occupa i posti chiave, cambia le leggi. Così risolverai i problemi, e non con la croce; con rapporti di forza e d'inganno, non con l'amore. Vuoi avere gli uomini dalla tua parte? Assicuragli pane, miracoli e un leader e li avrai in mano. Ma Gesù non cerca uomini da dominare, vuole figli liberi e amanti, a servizio di tutti e senza padrone alcuno. Per Gesù ogni potere è idolatria.
«Ed ecco angeli si avvicinarono e lo servivano». Avvicinarsi e servire, verbi da angeli. Se in questa Quaresima io fossi capace di avvicinarmi e prendermi cura di qualcuno, regalando un po' di tempo e un po' di cuore, inventando una nuova carezza, per quel qualcuno sarei la scoperta che «le mani di chi ama terminano in angeli».
Benedetto XVI sulle Tentazioni di Gesù
La
terza tentazione di Gesù si rivela come quella fondamentale — concerne la
domanda su che cosa debba fare un salvatore del mondo. Essa pervade tutta la
vita di Gesù. In un decisivo punto di svolta del suo cammino essa emerge ancora
una volta apertamente. Pietro aveva pronunciato a nome dei discepoli la
confessione di fede in Gesù Messia-Cristo, il Figlio del Dio vivente, dando con
ciò espressione a quella fede che costruisce la Chiesa e inaugura la nuova
comunità di fede fondata su Cristo. Ma proprio in questo momento cruciale, in
cui a confronto con «l'opinione della gente» si manifesta la conoscenza
distintiva e decisiva di Gesù e comincia così a formarsi la sua nuova famiglia,
ecco farsi avanti il tentatore: il pericolo di volgere tutto al contrario. Il
Signore spiega subito che il concetto di Messia è da comprendere a partire dal
messaggio profetico nella sua interezza: non significa potere mondano, ma la
croce e la comunità completa-mente diversa che nasce attraverso la croce.
Pietro però non l'aveva inteso in questi termini: «Pietro lo trasse in disparte
e cominciò a protestare dicendo: "Dio te ne scampi, Signore; questo non ti
accadrà mai"». Solo se leggiamo queste parole sullo sfondo del racconto
delle tentazioni, come il loro ritorno nel momento decisivo, comprendiamo la
risposta in-credibilmente dura di Gesù: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di
scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,22s).
[…] Ma non continuiamo tutti a dire ininterrottamente a Gesù che il suo
messaggio porta a contraddire le opinioni predominanti e così rischia l'insuccesso,
la sofferenza, la persecuzione? L'impero cristiano o il papato mondano oggi non
costituiscono più una tentazione, ma interpretare il cristianesimo come una
ricetta per il progresso e riconoscere il comune benessere come il vero scopo
di ogni religione e così anche di quella cristiana, questa è la forma nuova
della medesima tentazione. Essa appare oggi sotto le vesti della domanda: “Ma
che cosa ha portato Gesù, se non ha fatto emergere un mondo migliore? Non deve
forse essere questo il contenuto della speranza messianica?”
Nell'Antico Testamento si sovrappongono ancora indistinte due linee di
speranza: l'attesa di un mondo sano, in cui il lupo giace accanto all'agnello
(cfr. Is 11,6), in cui i popoli del mondo si mettono in cammino verso il monte
Sion e per il quale vale la profezia: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le
loro lance in falci» (Is 2,4; Mic 4,1-3). Accanto a questa c'è però la
prospettiva del servo di Dio sofferente, di un Messia, che salva attraverso il
disprezzo e la sofferenza. Durante tutto il suo cammino e di nuovo nelle
conversazioni dopo la Pasqua, Gesù dovette mostrare ai suoi discepoli che Mosè
e i Profeti parlavano di Lui, l'esteriormente privo di potere, il sofferente,
il crocifisso, il risorto; dovette mostrare che le promesse si compivano
proprio così. «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!»
(Le 24,25), disse il Signore ai discepoli di Emmaus, e la stessa cosa deve
ripetere continuamente anche a noi, nel corso di tutti i secoli, perché anche
noi pensiamo sempre che se voleva essere il Messia avrebbe dovuto portare l'età
dell'oro.
Ma anche a noi Gesù dice quello che ha obiettato a Satana e quello che ha detto
a Pietro e che ha spiegato di nuovo ai discepoli di Emmaus: nessun regno di
questo mondo è il regno di Dio, la condizione di salvezza dell'umanità in
assoluto. Il regno umano resta regno umano e chi sostiene di poter edificare il
mondo salvato asseconda l'inganno di Satana, fa cadere il mondo nelle sue mani.
Qui sorge però la grande domanda che ci accompagnerà per tutto questo libro: ma
che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il
benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato? La risposta è
molto semplice: Dio. Ha portato Dio. Quel Dio, il cui volto si era prima
manifestato a poco a poco da Abramo fino alla letteratura sapienziale, passando
per Mosè e i Profeti — quel Dio che solo in Israele aveva mostrato il suo volto
e che, pur sotto molteplici ombre, era stato onorato nel mondo delle genti —
questo Dio, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio vero Egli ha
portato ai popoli della terra. Ha portato Dio: ora noi conosciamo il suo volto,
ora noi possiamo invocarlo. Ora conosciamo la strada che, come uomini, dobbiamo
prendere in questo mondo. Gesù ha portato Dio e con Lui la verità sul nostro
de-stino e la nostra provenienza; la fede, la speranza e l'amore. Solo la
nostra durezza di cuore ci fa ritenere che ciò sia poco. Si, il potere di Dio
nel mondo è silenzioso, ma è il potere vero, duraturo. La causa di Dio sembra
trovarsi continuamente come in agonia. Ma si dimostra sempre come ciò che
veramente permane e salva. I regni del mondo, che Satana poté allora mostrare
al Signore, nel frattempo sono tutti crollati. La loro gloria, la loro dóxa, si
è dimostrata apparenza. Ma la gloria di Cristo, la gloria umile e disposta a
soffrire, la gloria del suo amore non è tramontata e non tramonta.
Dalla lotta contro Satana Gesù esce vincitore: alla divinizzazione menzognera
del potere e del benessere, alla promessa menzognera di un futuro che
garantisce tutto a tutti mediante il potere e l'economia, Egli ha contrapposto
la natura divina di Dio, Dio quale vero bene dell'uomo. All'invito ad adorare
il potere, il Signore oppone con le parole del Deuteronomio, lo stesso libro
che aveva citato anche il diavolo: «Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi
culto» (Mt 4,10; cfr. Dt 6,13). Il comandamento fondamentale di Israele è anche
il comandamento fondamentale dei cristiani: si deve adorare solo Dio. Vedremo
più avanti, quando rifletteremo sul Discorso della montagna, che proprio questo
sì incondizionato alla prima tavola del Decalogo include anche il sì alla
seconda tavola: il rispetto dell'uomo, l'amore per il prossimo. Come Marco,
anche Matteo conclude il racconto della tentazione con le parole: «Ed ecco
angeli gli si accostarono e lo servi-vano» (Mt 4,11; Mc 1,13). Ora si compie il
Salmo 91,11: gli angeli lo servono. Egli si è rivelato come Figlio e perciò il
cielo è aperto sopra di Lui, il nuovo Giacobbe, capostipite di un Israele
divenuto universale (cfr. Gv 1,51; Gn 28,12).
(Benedetto
XVI, Gesù di Nazaret )