Ravasi: riflessioni e interviste su questo tempo di pandemia
Il Cardinale Gianfranco Ravasi è il Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e una delle voci, all'interno del mondo ecclesiale e culturale, più influenti e autorevoli. In questi ultimi due mesi è stato più volte intervistato (ed è intervenuto lui stesso con degli articoli) per parlare di questo tempo segnato dal COVID-19.
- Dopo il trauma è il tempo della rinascita (intervista su La Repubblica, 18 aprile)
- Una Quaresima in quarantena (intervista su Il Giornale, 8 aprile)
- La passione nei giorni del coronavirus (articolo)
- Coronavirus, il cardinale Ravasi: «Il timore genera impegno, sapremo uscirne migliori» (intervista su Il Messaggero – 12 marzo 2020)
- A colloquio con Ravasi: "Il testacoda del simbolo dell'ulivo" (intervista su SanFrancesco)
Ripropongo qualche stralcio:
«Il Dio cristiano, a differenza delle antiche divinità, apatiche, arroccate sull’Olimpo, ha assunto la nostra carta d’identità che è fatta anche di limite, dolore e morte. Il racconto della passione, che riascoltiamo in questi giorni, è molto lungo, proprio per includere tutta la gamma delle sofferenze umane. Gesù ha paura: Padre, se possibile, allontana da me questo calice e sperimenta l’abbandono degli amici, i discepoli, la tortura fisica. Prova, soprattutto, il dubbio più grande, quello della fede, quando dice Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? e, infine, muore in croce, che significa per asfissia, proprio come i nostri malati di questo virus».
Bonhoeffer nel suo diario in carcere scriveva: «Dio in Cristo non ci salva in virtù della sua onnipotenza, ma in forza della sua impotenza». Sì, perché in quei momenti non si china su qualche malato per guarirlo, come aveva fatto durante la sua vita terrena, ma diventa lui stesso sofferente e mortale. Non ci libera dal male ma è con noi nel male fisico e interiore.
...sperimentando nella sua carne la nostra umanità misera, fragile e mortale (Gesù) ha deposto in essa per sempre un seme di eternità e di speranza destinato a sbocciare.
Nella Bibbia per 365 volte risuona questo saluto divino: «Non aver paura!». È quasi il «buongiorno» che Dio ripete a ogni alba. Lo ripete anche in questi giorni di terrore. E per chi ha perso la fede proporrei, invece, la confessione dello stesso scrittore García Márquez: «Sfortunatamente, Dio non ha uno spazio nella mia vita. Nutro la speranza, se esiste, d’avere io uno spazio nella sua».
Sotto il cumulo delle macerie c’è il bulbo della speranza. Sono convinto che dalla più grande crisi che stiamo vivendo a livello globale possa fiorire una nuova umanità. Un po’ più umana. Sarà come una scossa globale.
Così ha risposto il cardinal Ravasi
alla domanda “Eminenza,
cosa si può imparare da questo momento e da questa situazione assurda,
paradossale, strana?”[1]
Questo male che stiamo
vivendo ha insegnato sia a chi crede, sia a chi non crede. Prima di tutto, ha
svelato la grandezza della scienza, ma anche i suoi limiti. Noi eravamo
convinti che con la tecnologia, per esempio, si poteva risolvere quasi tutto.
Questa era la nostra grande fiducia. Secondo, il
coronavirus ha riscritto la scala dei valori, che non ha più al suo vertice il
denaro, il successo il potere. Terzo, ha insegnato lo stare in casa insieme a
padre e figlio, a giovani e anziani, e ha quindi fatto capire e riproposto le fatiche delle
relazioni, non solo virtuali, ma delle relazioni carne. Cioè il contatto pelle
con pelle. Quarto, ha semplificato il superfluo e ci ha insegnato
l'essenzialità. Quinto, direi, ci ha costretti a fissare negli occhi dei
nostri cari la stessa nostra morte. Ma soprattutto, e questo vorrei mettere a
suggello, ha rivelato un valore supremo: l'amore. L'amore al tempo del
coronavirus: questo potrebbe essere un titolo finale.