Vito Mancuso: riflessioni sulla fede al tempo del coronavirus
Teologo "eterodosso", Vito Mancuso è un intellettuale che può non convincere e non piacere, ma che vale la pena leggere ed ascoltare. Nel suo sito ha pubblicato le interviste e gli articoli che ha scritto sul tema della fede al tempo del coronavirus.
Pandemia, dalla crisi al rilancio della coscienza morale
Che cosa ci ha portato in questa situazione? E dove ci porterà in futuro? In questo piccolo video, registrato per la trasmissione Atlantide (La7), il prof. Vito Mancuso riflette su cause e conseguenze della pandemia; dopo averne individuato quattro, (tutte vere e false al contempo), e aver rifiutato l’ipotesi di una sola all’origine dell'epidemia, conclude che è solo la riscoperta di una rinnovata coscienza morale, a livello individuale e collettivo, la prospettiva in grado di riformulare e garantire un futuro migliore per gli esseri umani ed il pianeta.Il pensiero e la preghiera
Repubblica 3 aprile 2020
I milioni di persone davanti alla tv per il Papa e per il rosario segnalano un bisogno di pregare che forse si riteneva superato. Ma cosa significa pregare? Nel 1916 Wittgenstein si trovava sul fronte orientale della Prima guerra mondiale mentre si scatenava il più grande attacco nemico, la cosiddetta Offensiva Brusilov. In mezzo a perdite altissime la sua azione ebbe un certo rilievo, visto che il 1° giugno venne promosso caporale e il 4 decorato. Pochi giorni dopo, l’11, colui che diventerà uno dei più grandi logici e filosofi del Novecento, annotava: “Il senso della vita, cioè il senso del mondo, possiamo chiamarlo Dio… Pregare è pensare al senso della vita”. Nelle trincee del fronte, tra il sangue e la sporcizia, Wittgenstein pregava pensando al senso della vita …
Ma pregare è veramente pensare al senso della vita? Pregare viene dal verbo latino precari da cui anche l’aggettivo “precario”. Ovvero: chi non ha problemi non prega, chi è nella precarietà prega. Le parole non mentono. A sua volta l’etimologia del verbo pensare viene da pesare: chi pensa pesa, soppesa, pondera, dà un peso alla realtà.
Che peso ha la realtà? Prendiamo la natura che in questi giorni ci mostra il suo volto terribile: che peso ha? Domandarselo significa fare della mente una bilancia che pondera i vari argomenti a favore del senso o del non-senso della natura, del suo essere madre o matrigna. Lo stesso vale per la vita, la morte, l’amore, la bellezza, il diritto, il divino e chissà che altro: che peso hanno tutte queste cose? E che peso dare loro nella nostra esistenza? Porsi queste domande significa pensare, pensare al senso della vita. Ma perché allora Wittgenstein scriveva che “pregare” è pensare al senso della vita?
Il rigore del pensiero esige che si valutino i singoli argomenti in modo obiettivo, senza sbilanciarsi a favore del bene o del male, ma piuttosto collocandosi “al di là del bene e del male”. Noi però non siamo solo freddo pensiero: siamo anche passione, desiderio, volontà. E quando in noi si afferma questa dimensione calda, il pensiero non è più puro ma diviene di parte, parteggia, si fa partigiano. Chi prega è un partigiano della realtà: del suo senso e della sua carica positiva. Se la mente di chi pensa è una bilancia che pesa in perfetto equilibrio, la mente di chi pensando prega è una bilancia sbilanciata a favore del bene rispetto al male, della vita rispetto alla morte, del senso rispetto all’assurdo.
Per questo la preghiera è al congiuntivo. Se fosse puro pensiero, essa sarebbe all’indicativo, come Emanuele Severino ritrascriveva il Padre nostro: “Padre nostro che sei nei cieli, è santificato il tuo nome, viene il tuo regno, è fatta la tua volontà”. Ma la preghiera di Gesù è al congiuntivo, un modo verbale che non si limita a indicare ma vuole congiungere, unire ciò che unito non è. Che cosa non lo è? La volontà di Dio e lo stato del mondo. Il mondo nella sua libertà spesso non rispecchia la volontà di Dio e per questo Gesù insegnò a pregare al congiuntivo: “Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”. L’indicativo è neutrale, il congiuntivo è partigiano.
Io penso che oggi, quando siamo così separati che non possiamo più neppure darci la mano, tutti abbiamo un grande bisogno di sentirci congiunti, di sperimentare la forza congiuntiva del pensiero che prega, cioè parteggi a favore del bene. Questi sono i giorni del congiuntivo.
La preghiera può essere rivolta a un Dio o a una Dea, a un santo o a un saggio, a una montagna o al mistero muto dietro le stelle. Può essere fatta di parole o di silenzi. Può essere religiosa o laica. In tutte le sue forme essa si manifesta come forza congiuntiva. E noi abbiamo un bisogno immenso di essere congiunti per far pendere il piatto del nostro amato Paese a favore della salute, dell’armonia, dell’unità. Perché la vera differenza, diceva Norberto Bobbio e ripeteva il cardinal Martini, non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa. Pregare significa pensare al senso della vita, perché venga, perché sia fatto, in qualunque modo ne siamo capaci. Come un secolo fa aveva intuito Wittgenstein.
Che peso ha la realtà? Prendiamo la natura che in questi giorni ci mostra il suo volto terribile: che peso ha? Domandarselo significa fare della mente una bilancia che pondera i vari argomenti a favore del senso o del non-senso della natura, del suo essere madre o matrigna. Lo stesso vale per la vita, la morte, l’amore, la bellezza, il diritto, il divino e chissà che altro: che peso hanno tutte queste cose? E che peso dare loro nella nostra esistenza? Porsi queste domande significa pensare, pensare al senso della vita. Ma perché allora Wittgenstein scriveva che “pregare” è pensare al senso della vita?
Il rigore del pensiero esige che si valutino i singoli argomenti in modo obiettivo, senza sbilanciarsi a favore del bene o del male, ma piuttosto collocandosi “al di là del bene e del male”. Noi però non siamo solo freddo pensiero: siamo anche passione, desiderio, volontà. E quando in noi si afferma questa dimensione calda, il pensiero non è più puro ma diviene di parte, parteggia, si fa partigiano. Chi prega è un partigiano della realtà: del suo senso e della sua carica positiva. Se la mente di chi pensa è una bilancia che pesa in perfetto equilibrio, la mente di chi pensando prega è una bilancia sbilanciata a favore del bene rispetto al male, della vita rispetto alla morte, del senso rispetto all’assurdo.
Per questo la preghiera è al congiuntivo. Se fosse puro pensiero, essa sarebbe all’indicativo, come Emanuele Severino ritrascriveva il Padre nostro: “Padre nostro che sei nei cieli, è santificato il tuo nome, viene il tuo regno, è fatta la tua volontà”. Ma la preghiera di Gesù è al congiuntivo, un modo verbale che non si limita a indicare ma vuole congiungere, unire ciò che unito non è. Che cosa non lo è? La volontà di Dio e lo stato del mondo. Il mondo nella sua libertà spesso non rispecchia la volontà di Dio e per questo Gesù insegnò a pregare al congiuntivo: “Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”. L’indicativo è neutrale, il congiuntivo è partigiano.
Io penso che oggi, quando siamo così separati che non possiamo più neppure darci la mano, tutti abbiamo un grande bisogno di sentirci congiunti, di sperimentare la forza congiuntiva del pensiero che prega, cioè parteggi a favore del bene. Questi sono i giorni del congiuntivo.
La preghiera può essere rivolta a un Dio o a una Dea, a un santo o a un saggio, a una montagna o al mistero muto dietro le stelle. Può essere fatta di parole o di silenzi. Può essere religiosa o laica. In tutte le sue forme essa si manifesta come forza congiuntiva. E noi abbiamo un bisogno immenso di essere congiunti per far pendere il piatto del nostro amato Paese a favore della salute, dell’armonia, dell’unità. Perché la vera differenza, diceva Norberto Bobbio e ripeteva il cardinal Martini, non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa. Pregare significa pensare al senso della vita, perché venga, perché sia fatto, in qualunque modo ne siamo capaci. Come un secolo fa aveva intuito Wittgenstein.
«È piccolo, ma sconosciuto: sembra più grande di noi, ma può essere un’occasione per conoscere se stessi e diventare migliori. Se riusciamo a interpretare i segnali della paura possiamo imparare a diventare liberi».
Intervista di Elvis Zoppolato per Il Fatto Quotidiano 5 Aprile 2020
Uno dei fenomeni che inevitabilmente ha accompagnato queste settimane di epidemia è stato quello della paura. Una paura gigante, che ha contagiato quasi ogni angolo della Terra e che ha atrofizzato la vita di milioni di persone. “Siamo al cospetto di qualcosa di molto più grande di noi” dice a il fatto quotidiano.it Vito Mancuso, teologo milanese, estimatore ricambiato del cardinale Carlo Maria Martini, autore di molti libri di successo sulla religione e in senso più ampio sulla spiritualità. “Se riusciamo però a interpretare i segnali della paura – continua Mancuso – possiamo imparare a diventare liberi”.
La paura è una cosa negativa, ma molto spesso ne siamo affascinati. Penso ai film horror, ai luoghi abbandonati, alle esperienze estreme. Perché?
Penso che sia per una legge fisica, la legge dell’attrazione gravitazionale, quella in base alla quale una massa maggiore attrae una massa minore. Perché abbiamo paura? Perché è qualcosa più grande di noi. Il virus è piccolo ma moltiplicandosi diventa enorme e attrae la nostra massa minore …
Stando a casa, riscopriamo le cose che contano
Intervista al prof. Vito Mancuso di Romina Vinci, 29 Marzo 2020
Limitazione degli spostamenti, radicale cambiamento dello stile di vita quotidiano, gestione degli spazi domestici, organizzazione del tempo libero… Cosa stiamo imparando dalla condizione in cui siamo costretti a vivere in questo periodo in cui siamo tutti impegnati a contenere il contagio da Coronavirus? Come sta cambiando la nostra percezione della realtà? Lo abbiamo chiesto a Vito Mancuso, teologo e filosofo, uno dei massimi pensatori contemporanei con cui abbiamo cercato di rileggere i valori che si stanno mettendo in campo alla luce di quanto accade oggi.
l Vescovo di Milano in diretta streaming dalle guglie del Duomo riceve migliaia di visualizzazioni. Su WhatsApp si organizzano gruppi di preghiera e rosari collettivi. In alcuni paesi i parroci hanno esposto la statua del Santo Protettore come segno di speranza. Professor Mancuso, si può dire che, una grande fetta dell’Italia, in questi giorni stia riscoprendo la fede?
Non lo so se si tratti di una grande fetta o meno, il discorso è che, in questi giorni, tutti abbiamo bisogno di attingere alle nostre sorgenti di forza morale, per generare coraggio. I credenti, le persone che si richiamano alla visione cristiana del mondo, o anche ad altre spiri-tualità, trovano la loro sorgente interiore nella fede. Per questo non mi stupisco che ci siano persone che sentano l’esigenza di ascoltare parole di conforto spirituale, come quelle del vescovo di Milano. Allo stesso modo, non mi stupisce l’uso improprio di questo bisogno di spiritualità …
Custodire il bene comune può salvarci dalla pandemia?
Il teologo e filosofo Vito Mancuso risponde alle nostre domande sul significato della parola del momento e ci offre un “vaccino” per l’anima.
Intervista di Rosy Matrangolo per Crescita Personale 20.3.2020
Sappiamo tutto sul coronavirus: come e quando si è originata l’epidemia, con che tempi si espande, come si manifesta e come limitare il suo propagarsi. Abbiamo familiarizzato con gli andamenti statistici e le cifre di quest’emergenza sanitaria. Ma Covid-19 è solo l’ultima delle calamità che da sempre spaventano l’anima: la paura morde gli uomini e quando non incute rispetto, minaccia terrore. Ne abbiamo parlato con Vito Mancuso, teologo e filosofo già docente all’Università degli Studi di Padova e all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, oggi scrittore di successo.
Siamo abituati a pensare a calamità ed epidemie come espressioni di una volontà superiore. Perché?
Fin dall'antichità gli esseri umani hanno avuto consapevolezza di essere al cospetto di potenze più grandi delle loro forze e questo è il motivo che ha portato i popoli di tutti i tempi a parlare di divinità cui compete la responsabilità di quello che sfugge al controllo dell'uomo, nel bene e nel male. Nella tradizione classica le malattie o i venti contrari che non facevano partire le navi erano considerate avversità originate dagli dei secondo diverse letture: erano castighi inviati dall’alto, ma potevano anche essere considerati come segnali, avvertimenti per gli uomini. Nel libro “Il dolore innocente. L’handicap, la natura e Dio” ho sondato le spiegazioni delle diverse dottrine di fronte alle malattie genetiche, “epidemie” nate nel ventre materno: Cicerone ricordava come questi infanti venissero chiamati mostri proprio perché in loro era mostrato quale fosse il volere divino.
Il Cristianesimo non si distingue dall’ipotesi classica: anche qui le epidemie erano viste come punizioni, segnali, o ancora come prove per rafforzare o purificare la fede. Nel ’53 Don Gnocchi scrisse “La pedagogia del dolore innocente” a rimarcare l’aspetto dell’insegnamento che dalla calamità si può trarre. Questo aspetto è presente nelle religioni semitiche e abramitiche. Ho letto, proprio a riguardo del Coronavirus, di un Imam iraniano che avrebbe giustificato come questo virus si sia diffuso in Cina perché Paese che discrimina la religione musulmana e pare che adesso proprio questo Imam sia stato colpito dalla stessa malattia. La mente ha bisogno di trovare una spiegazione. In questi giorni mi sono imbattuto in teorie secondo cui questa pandemia sarebbe frutto della ribellione della Terra contro l'imperversare dell'antropocentrismo, contro gli esseri umani che sono troppi, vivono male e inquinano. E’ una versione riveduta della teoria del castigo da parte della “religione” dei nostri giorni: in questo caso la potenza più grande che infligge il castigo è Gaia, la Terra. Ed ecco che si è ottenuta una spiegazione …
Il Cristianesimo non si distingue dall’ipotesi classica: anche qui le epidemie erano viste come punizioni, segnali, o ancora come prove per rafforzare o purificare la fede. Nel ’53 Don Gnocchi scrisse “La pedagogia del dolore innocente” a rimarcare l’aspetto dell’insegnamento che dalla calamità si può trarre. Questo aspetto è presente nelle religioni semitiche e abramitiche. Ho letto, proprio a riguardo del Coronavirus, di un Imam iraniano che avrebbe giustificato come questo virus si sia diffuso in Cina perché Paese che discrimina la religione musulmana e pare che adesso proprio questo Imam sia stato colpito dalla stessa malattia. La mente ha bisogno di trovare una spiegazione. In questi giorni mi sono imbattuto in teorie secondo cui questa pandemia sarebbe frutto della ribellione della Terra contro l'imperversare dell'antropocentrismo, contro gli esseri umani che sono troppi, vivono male e inquinano. E’ una versione riveduta della teoria del castigo da parte della “religione” dei nostri giorni: in questo caso la potenza più grande che infligge il castigo è Gaia, la Terra. Ed ecco che si è ottenuta una spiegazione …