Il Triduo Pasquale secondo Mons. Marco Busca (e il centro Aletti di Rupnik)



Mons. Marco Busca è il vescovo di Mantova e, fra l'altro, collabora con il centro Aletti di Rupnik che ci offre una serie di video in cui, in pochi minuti, Busca parla del Triduo Pasquale. 
A questi video aggiungo la lettera pasquale che il vescovo rivolge alla Diocesi: "Dove vuoi che celebriamo la Pasqua?". La preghiera al Padre per riparare le crepe causate dalla paura e dalla morte.





Dove vuoi che prepariamo per celebrare la Pasqua? 

Cari fratelli e sorelle,
abbiamo tanto desiderato, in queste settimane, di superare presto la crisi che affligge il mondo e speravamo che il compimento della Quaresima coincidesse con il termine della quarantena. È stato un tempo di assenza di riti, di chiese vuote, ma non è stato un tempo senza preghiera, senza fede, senza rapporti. Anzi, è cresciuto un desiderio di Eucaristia, di fraternità, di ritrovarci nelle nostre assemblee. Desideriamo “fare” la Pasqua. È il medesimo desiderio di Gesù, che ripete a noi le stesse parole rivolte ai discepoli: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi”. Quel giorno diede a Pietro e Giovanni l’incarico: “Andate a preparare per noi, perché possiamo mangiare la Pasqua”. Gli chiesero: “Dove vuoi che prepariamo?” (Lc 22, 7-13). Gesù indicò loro una sala, grande e arredata, in cui radunare la famiglia dei suoi discepoli per la Pasqua. Da quella sera, la Chiesa ha sempre fatto memoria di Gesù, anche se non sempre il luogo del “Cenacolo” sono state le chiese.

Sappiamo dalla testimonianza di Dionigi, vescovo di Alessandria intorno alla metà del terzo secolo, che sotto la persecuzione di Decio (249-251) i cristiani non poterono radunarsi nei luoghi di culto in occasione della Pasqua, ma non per questo rinunciarono a celebrarla. Ascoltiamo le sue parole:

Dapprima siamo stati esiliati e da tutti perseguitati e caricati a morte; tuttavia abbiamo celebrato anche allora la festa pasquale. Ogni luogo, dove si soffriva, fosse esso un campo, un deserto, una nave, una locanda, un carcere, diveniva come un tempio per le assemblee sacre; i martiri perfetti celebravano una festa più perfetta di tutte, partecipi del convito celeste (Eusebio, Storia ecclesiastica VII, 22, 4).

Quell’anno la Pasqua venne celebrata non in luoghi di culto, ma in ogni luogo dove si soffriva. La potenza pasquale di Gesù non passò attraverso i riti, ma direttamente agì nella carne tribolata degli uomini e delle donne che invocavano il suo nome. Penso ai tanti luoghi di tribolazione in cui quest’anno si celebra la Pasqua. Una grande croce collettiva abbraccia l’umanità da un capo all’altro della terra e tutti i sofferenti “fanno pasqua”, non solo chi crede in Cristo o comunque è religioso, perché “dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale” (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes n. 22).

La liturgia domestica della Pasqua 

Come i discepoli potremmo chiedere a Gesù: “Dove vuoi che prepariamo la Pasqua…se non abbiamo chiese, preghiere, canti, sacramenti, sacerdoti?”. Quello che ci manca per celebrare la Pasqua è evidente, però questa situazione che mette in crisi i modi abituali di vivere la nostra fede può rappresentare un’opportunità nella misura in cui ci aiuta a scoprire quello che abbiamo per celebrare la Pasqua e di cui spesso non siamo consapevoli. Abbiamo una chiesa, è la nostra casa. Le prime generazioni cristiane hanno applicato alla famiglia il versetto in cui Gesù dice: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Giovanni Crisostomo insegnava che “la casa è una piccola Chiesa” (Commento alla lettera agli Efesini 20,6). La famiglia abbraccia tipologie assai diverse: genitori e figli, ma penso agli anziani che pur avendo figli e nipoti non condivideranno con loro la Pasqua; penso alle famiglie che a motivo delle attuali circostanze sono impossibilitate a riunirsi, vivono una separazione a causa della quarantena, del ricovero di qualche membro o per motivi di emergenza lavorativa; più ampiamente, penso ai vedovi, a parenti che vivono insieme, alle comunità religiose. Anche chi vive da solo, e ha ritmi diversi rispetto a quelli di una famiglia, troverà aiuto nei testi per la preghiera personale, ma non si senta escluso da una rete di contatti che deve alimentare, cercando, ad esempio, di unirsi alla voce e al volto di un amico spirituale per recitare una preghiera e sentirsi così parte di una famiglia spirituale allargata.
Abbiamo dei sacerdoti in casa. Tutti i cristiani, in forza del Battesimo, sono rivestiti di quella dignità sacerdotale che li rende capaci di un rapporto con il Padre fatto di adorazione, lode, intercessione e offerta della vita come sacrificio vivente e spirituale (cf 1Pt 2,5).
Abbiamo in casa, la maggior parte delle volte, anche un altro “sacramento permanente” della Pasqua. Nella liturgia nuziale, infatti, si chiede al Signore che i novelli sposi siano “sacramento del tuo amore, perché la grazia di questo giorno si estenda a tutta la loro vita”. Anche in famiglie ferite o incomplete i membri possono essere gli uni per gli altri segni di benedizione.
Abbiamo pertanto anche la possibilità di una liturgia domestica, che non è un doppione di ciò che si fa in chiesa, ma un modo di celebrare il Signore con gesti, parole, preghiere che sono proprie della famiglia. Quest’anno la Pasqua la celebriamo soprattutto così. Le nostre voci che risuonano in casa riusciranno a riempire le nostre chiese, così da non lasciarle vuote e mute. Pregando nelle case creeremo dei ponti tra noi e le nostre comunità parrocchiali.
Certamente ci si potrà collegare alle celebrazioni di Papa Francesco, del vescovo Marco e dei nostri sacerdoti. Il consiglio, tuttavia, è di non “assistere” a una Pasqua mediatica e via social, quanto piuttosto di non lasciarvi “scappare la grazia” di celebrarla tra le mura di casa. Nessuna diretta streaming sarà tanto efficace quanto i momenti di preghiera in cui è la famiglia che prega, canta, legge il Vangelo, lo commenta. Già sento l’obiezione di qualcuno: ne saremo capaci? Ne sono certo, anzitutto perché il Signore è in mezzo a voi e vi guiderà Lui stesso. Il Sussidio che trovate sul sito della diocesi è un prezioso strumento per la liturgia domestica come pure il video Voi x Noi e Noi con Voi preparato dai nostri seminaristi.

Consigli pratici per la liturgia domestica 

Come a Natale predisponete in casa il luogo dei segni (il presepe, l’albero, le decorazioni) così preparate il luogo dei segni pasquali. Lo potete personalizzare in base ai gusti e alla storia di famiglia: mettete il Crocifisso, un’immagine sacra, la Bibbia aperta, un cero, del profumo, un fiore. Sarebbe importante poter mettere anche un segno religioso appartenuto ai vostri cari defunti (il rosario, la catenina…) insieme alle loro fotografie. Sarà l’“Angolo bello” della vostra casa che, durante i giorni della Settimana Santa, vi ricorderà che siete una “piccola chiesa”. Per celebrare abbiamo bisogno anche di “staccare” dalle azioni che compiamo per abitudine e escludere fonti di possibile disturbo come guardare il cellulare, tenere in sottofondo la musica e la TV. Ricordiamoci, anche, di interrompere in anticipo le altre attività per avere il tempo di prepararsi alla preghiera. L’attenzione non si improvvisa. Anche il corpo prega e le sue posture composte e raccolte aiutano la preghiera. Se seguiamo la celebrazione trasmessa in TV o in diretta streaming non possiamo farlo come fosse un qualunque altro programma: vestiti come capita, facendo contemporaneamente altre cose, commentando questo e quello. Vogliamo partecipare e non semplicemente guardare la Messa e questo comporta di rispondere ad alta voce alle preghiere, anche se si è soli, e unirsi ai canti e ai gesti liturgici.
Un rito familiare è fatto di parole (non troppe), di azioni (chiare) e di emozioni (profonde). È importante dare un ritmo al tempo della preghiera. Anche la scelta di un orario abituale per pregare in famiglia sarà di aiuto. Il sussidio propone che l’appuntamento quotidiano sia prima del pranzo, ogni famiglia sceglierà il momento migliore per riunirsi in preghiera. I genitori, come sacerdoti della casa, preparano e guidano la preghiera distribuendo in anticipo alcune parti ai figli perché siano coinvolti a leggere, ma anche possano intervenire spontaneamente, commentando i brani biblici attraverso disegni, poesie, drammatizzazioni, canti. I genitori introducono e concludono la preghiera, che ha il momento più forte nella benedizione dei figli. Nel sussidio trovate indicazioni su come compiere questo gesto che è veicolo di grazia, di protezione, di consolazione, di fortezza. Ciascun nucleo familiare troverà il modo per benedire i suoi membri presenti, ma anche quelli fisicamente distanti.

Ogni giorno della Settimana Santa celebra un aspetto dei “misteri” della nostra salvezza 

La domenica delle Palme ci è cara per il ramoscello di ulivo benedetto che portiamo a casa come segno di benedizione. Quest’anno non è possibile vivere insieme la processione con le palme e i rami d’ulivo benedetti, imitando le folle di Gerusalemme che accolsero Gesù e lo acclamarono Re e Signore. Tuttavia, è proprio nella nostra casa che vogliamo acclamare Cristo in questo giorno e accoglierlo come nostro Signore. Possiamo porre nell’Angolo bello un vaso con i rami d’ulivo, di palma o di altra pianta verde e chiedere al Padre di benedire il nostro desiderio di accogliere con fede il Salvatore e concederci di seguirlo fino alla croce. Questo giorno liturgico, in verità, ha due nomi: domenica delle Palme e della Passione del Signore. Quest’anno diamo risalto particolarmente al secondo nome della festa. Gesù è acclamato dagli Osanna della folla che da lì a poco grida a Pilato: “Sia crocifisso”. È il chiaroscuro della Pasqua in un intreccio di acclamazioni e di rifiuto, di festa e di lutto, tanto vicino ai giorni che stiamo vivendo tra mestizia e speranza.

Da lunedì a mercoledì santo possiamo chiedere al Signore la grazia di pentirci dei nostri peccati ed essere perdonati. “Quest’anno non ci confessiamo per Pasqua?”, mi ha detto più di una persona. Anche se non sarà possibile confessarsi è possibile essere perdonati. Non per una sorta di “auto-assoluzione”. Il perdono è sempre un dono che viene a noi dal Padre attraverso il ministero dei sacerdoti. Il male fa sentire il suo gusto amaro e ottiene la sua vittoria se riesce a trasformare il patire in rabbia, disperazione, depressione e ci convince a dubitare di Dio, della sua bontà e provvidenza. Per questo è importante pulire il cuore dai virus del male perché non si radichino nei nostri cuori provati. Può darsi anche che la convivenza in casa 24 ore al giorno abbia ingenerato tensioni, incomprensioni, stanchezze, rimproveri. Raccogliamoci intorno al Crocifisso e chiediamoci perdono l’un l’altro, riallacciamo le relazioni e promettiamoci di saperci comprendere e sopportare. E il perdono di Dio, come lo riceviamo? Prendiamo il Vangelo e leggiamo un brano che annuncia il perdono (ad esempio: Lc 15 1-7; Mt 18,21-22; Ef 4,31-32; Col 3,12-13); apriamo il cuore al Signore, confessiamo a lui i peccati nel segreto del nostro intimo, esprimiamo il desiderio di convertirci, recitiamo alcune preghiere che esprimono il pentimento (Confesso a Dio onnipotente, Signore pietà, Agnello di Dio, Salmo 50), facciamo il gesto di batterci il petto, decidiamo un atto di generosità o di riconciliazione che esprimerà anche agli altri il nostro rinnovamento. Il perdono dei peccati, anche gravi, viene donato con certezza e sarà confermato quando, terminata l’emergenza, potremo incontrare il sacerdote per celebrare con lui la confessione sacramentale.

Il Giovedì Santo ricordiamo i segni che Gesù ci ha lasciato in sua memoria 
Gesù consegna sé stesso per noi e consegna a noi i segni del suo donarsi chiedendoci di “fare memoria”. Non si tratta del ricordo del passato, nemmeno della ripetizione di ciò che Gesù ha fatto l’ultima cena e sulla Croce. È, invece, il memoriale che ci rende contemporanei alla Pasqua di Gesù. Un canto dice: “C’eri tu alla Croce di Gesù?”. La risposta è: sì, c’ero. Non quel giorno, ma ogni volta che celebriamo la Messa noi annunciamo e riviviamo la Pasqua di Gesù. I segni che Gesù ci ha consegnato per mantenere viva la sua memoria sono più di uno; anzitutto i segni del pane e del vino eucaristici che, tuttavia, sono inseparabili dal segno della lavanda dei piedi. Il sussidio e il video propongono un modo semplice per riprendere nella liturgia domestica i gesti del pane spezzato e della lavanda; ad essi sarà bello aggiungere un segno concreto di fraternità facendo una “colletta familiare” per i bisognosi. Questo tempo ci sta educando a vivere per intero il mistero dell’Eucaristia: il sacramento dell’altare è inseparabile dal sacramento del fratello.
Legato all’Eucaristia è il sacerdozio che riguarda il popolo sacerdotale nel suo insieme e, in un modo singolare, alcuni fratelli che sono il segno della presenza viva di Gesù nella sua qualità di unico mediatore che mette in comunione gli uomini con il Padre, ci guida come Pastore, ci istruisce come Maestro. In questo giorno tutti avremo un ricordo speciale per i sacerdoti delle nostre comunità, con una preghiera e possibilmente con un saluto personale.

Il Venerdì Santo è il giorno della Croce 
Il segno della Croce è il distintivo dei cristiani. Gesù Crocifisso ha gli occhi aperti, è vivo. La Croce è il trono regale di Gesù. Sulla Croce l’amore vince perché è più forte della morte. Gesù non ci ha salvato con il dolore, ma con la sua fiducia assoluta nel Padre a cui ha affidato i modi e i tempi della sua risurrezione. Dio non fabbrica le croci, le condivide con noi e trasforma la maledizione in benedizione. Questa fede è espressa nel bacio che oggi i cristiani danno a Gesù in croce. Penso al contenuto di fede e di speranza che questo bacio riesce a comunicare a quanti stringeranno il Crocifisso per trovare conforto e ritrovare in quell’abbraccio i loro morti che sono vivi in Dio.
Il Venerdì Santo è giorno dedicato anche alla compassione per tutti i crocifissi della storia e i tribolati per i quali vogliamo offrire la nostra preghiera di intercessione. Il segno della nostra identificazione con il dolore del mondo lo esprimiamo con il digiuno: anzitutto osservando una certa sobrietà del cibo (almeno per i giovani e gli adulti), ma anche con il “digiuno delle parole” scegliendo di tacere per un tempo abbastanza lungo prima delle tre del pomeriggio quando ricorderemo l’ora in cui Gesù muore consegnandosi al Padre.

Il Sabato Santo è il giorno in cui Gesù riposa nel sepolcro e la Chiesa tace 
Il silenzio è parte essenziale della nostra vita di credenti, non solo perché ci fa essere più riflessivi, più attenti, più profondi, ma anzitutto perché fa tacere in noi l’uomo carnale che vuole salvare la sua vita seguendo le logiche dell’avere, del potere, dell’apparire piuttosto che lasciarsi salvare da Cristo. Come ha detto papa Francesco in Piazza San Pietro nella benedizione Urbi et Orbi: “Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è” (27 marzo 2020). Gesù agisce profondamente negli inferi della terra, scende a liberare Adamo ed Eva dal potere della morte. Anche noi dobbiamo lasciare entrare Gesù nei sepolcri interiori che ci rendono prigionieri e lasciarlo agire misteriosamente nelle profondità del cuore per salvarci. Alcuni segni accompagnano questo Sabato di silenzio, come velare la croce, tenere la candela spenta e la Scrittura chiusa.

Veglia Pasquale nella notte santa 
Con il tramonto del sabato si entra nel “terzo giorno” del Triduo. Pasqua significa che il Signore passa nelle nostre vite. È la risurrezione della Chiesa che si unisce a quella del suo Signore. Ogni casa attende il suo passaggio. Il sussidio ci suggerisce i modi per ascoltare il racconto biblico della storia della salvezza e compiere il segno del lucernario e il gesto battesimale di bagnare gli occhi con l’acqua. Accendendo la luce pasquale possiamo pronunciare il nome delle persone che si vorrebbero raggiungere per consegnare loro la stessa luce. La nostra liturgia domestica, però, resterà “aperta” perché il gesto tipicamente pasquale dell’abbracciarci gli uni gli altri e scambiarci il gesto di pace è rinviato e tiene viva la speranza e l’attesa del giorno in cui potremo di nuovo radunarci gioiosamente in assemblea. Accogliere il passaggio di Dio nella nostra vita significa la venuta del Regno il cui simbolo è il banchetto. Finiamo la veglia con i segni conviviali della festa: un brindisi, un dolce, un gesto di tenerezza. Anche i nostri sensi, provati dal dolore e dalle fatiche di questo tempo, possano gustare e vedere come è buono il Signore.

Domenica di Pasqua 
La tomba è vuota e il Risorto ci precede in Galilea. Dopo i grandi eventi consumati nella città santa di Gerusalemme, Gesù, il Vivente, ci dà appuntamento in Galilea, nella regione in cui si vive la vita quotidiana. Scoprirlo presente è questione di vista spirituale. Gli occhi bagnati e puliti dalle lacrime del dolore e dall’acqua del Battesimo sanno scorgerlo. Non manchi la gioia pasquale nelle case, vestendosi a festa, profumando la casa, benedicendo la mensa con il canto dell’Alleluia, contattando per telefono o con i social media parenti e amici per annunciare che il Signore è veramente risorto.

Cari fratelli e sorelle, la Pasqua non è una cosa da fare, è una persona: “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo, dunque, la festa” (1Cor 5,7-8). Il Cristo pasquale, infatti, è ovunque si soffre, si crede, si prega, si invoca il suo Nome. “Signore, dove vuoi che facciamo la Pasqua?”. Quest’anno, più di altre volte, è vera per noi la parola di Gesù: “Devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5). Prego per tutti, in modo particolare per le case che più hanno subito i colpi del male. Possa il Padre riparare le crepe causate dalla paura, dalla sofferenza e dalla morte versandovi l’oro dello Spirito che Gesù ha donato morendo per noi.

Vi abbraccio nel Signore e vi benedico
vostro vescovo Marco



Venerdì Santo: "Re(g)ale abbandono" (Briciole 49)

Sabato Santo: "Grande silenzio" (Briciole 50)

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