Sugli immigrati: fake news e altre considerazioni
C'è stato Favino con un incisivo monologo su un immigrato che ha scaldato il Festival di San Remo e da pochi giorni c'è un interessante dossier della Caritas italiana che smonta 11 fake news create contro l'immigrazione (nel video TG2000 propone l’analisi di Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas Italiana). Così presenta l'iniziativa l'agenzia SIR:
“Gli immigrati sono troppi”, “hanno tutti il telefonino”, “sono tutti terroristi”, “ci rubano il lavoro”, “non pagano le tasse”, “basta salvataggi in mare”: sono alcune delle fake news smontate con dati, studi e argomentazioni dal sussidio “10 cose da sapere su migranti e immigrazioni” messo a disposizione on line da Caritas italiana, a cura dell’Ufficio politiche migratorie e protezione internazionale. Perché, come recita l’incipit: “Nella vita moderna niente è più efficace di un luogo comune: affratella il mondo intero” (Oscar Wilde). Su ogni voce vengono riportate le dicerie della gente e di alcune testate e politici italiani, presentando la realtà dei fatti e le cifre esatte, con uno schema sull’impegno della Chiesa italiana a proposito dei diversi temi. Lo slogan “Aiutiamoli a casa loro”, ad esempio, cavallo di battaglia di alcuni leader politici, viene smontato ricordando che “in una prima fase lo sviluppo fa aumentare la propensione ad emigrare, perché cresce il numero delle persone che dispongono delle risorse per partire” e “solo in un secondo tempo le migrazioni rallentano finché ad un certo punto il fenomeno s’inverte”. Inoltre, si “dimentica un aspetto di capitale importanza: il bisogno che le società sviluppate hanno del lavoro degli immigrati”. Sul fatto che la maggior parte dei migranti e rifugiati sia in possesso di un telefonino, invece, non si sa che nei Paesi poveri sono disponibili smartphone a buon mercato e che non sono un bene di lusso ma “un possibile salvavita in caso di pericolo”. Per cui alla domanda se è più importante il cibo o il telefonino “la quasi totalità dei richiedenti asilo in viaggio sceglierà il secondo”.Anche Saviano, la scorsa estate, ha smontato le 10 bufale più comuni sui migranti. Quanto ricevono davvero i migranti dallo Stato, cosa c'entra davvero la mafia con l'accoglienza, la verità sugli hotel di lusso, sui costi per le casse italiane, sulle malattie, sui crimini commessi dagli immigrati, come funziona davvero e cosa comporta il disegno legge sullo ius soli.
Lo psichiatra Andreoli è intervenuto più volte sull'argomento:
Nonostante il refrain contro i migranti sia sempre lo stesso: "Premesso che non sono razzista...", nelle società occidentali il razzismo sta uscendo allo scoperto e rischia di essere legittimato come una opinione. Secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli siamo in "una cornice di civiltà disastrosa", l'Italia e l'Occidente stanno "regredendo alle pulsioni istintive", al dominio della "cultura del nemico": "La superficialità porta l'identità a fondarsi sul nemico. Se uno non ha un nemico non riesce a caratterizzare se stesso".
Dall’America all’Europa all’Italia sembra uscire allo scoperto, fomentato da politici e media irresponsabili e amplificato dai pareri espressi sui social media, un clima aperto di razzismo e xenofobia, come se l’espressione di odio razziale nei confronti dei migranti o delle minoranze, anche con linguaggi e gesti violenti, non sia più un tabù ma una legittima opinione. L’episodio di Fermo, con l’uccisione del nigeriano le cui dinamiche chiarirà la magistratura, ha avuto uno strascico di posizioni opposte sui social. Molti difendono apertamente l’aggressore, come se la violenza, verbale e poi fisica, dell’insulto razziale sia legittima. Mentre il refrain contro i migranti è sempre lo stesso: “Premesso che non sono razzista…”. Cosa ci sta succedendo? Lo abbiamo chiesto allo psichiatra Vittorino Andreoli, ma la premessa che anticipa tutta la riflessione è semplice e sconfortante: “Questa società non mi piace”.
Cosa sta succedendo alle nostre società occidentali?
Sono stati consumati, se non distrutti, alcuni principi, che erano alla base della nostra civiltà, che nasce in Grecia, a cui si aggiunge il cristianesimo. Non c’è più rispetto per l’altro, la morte è diventata banale, tanto che uccidere è una modalità per risolvere un problema. Non c’è più il senso del mistero e del limite dell’uomo. L’episodio di Fermo va inserito in una cornice di civiltà disastrosa. Non esiste più l’applicazione dei principi morali della società e c’è un affastellarsi di leggi, come se le leggi possano sostituire i principi. Oggi domina la cultura del nemico: la superficialità porta l’identità a fondarsi sul nemico. Se uno non ha un nemico non riesce a caratterizzare se stesso. Questa è una regressione antropologica perché si va alle pulsioni. Tutto questo è favorito da partiti che sostengono l’odio, lo stesso agire sociale è fatto di nemici. Perfino nelle istituzioni religiose qualche volta si affaccia il nemico. In questo quadro tornano le questioni razziali.
E’ considerare l’altro inferiore perché ha quelle caratteristiche, per cui bisogna combatterlo. Se uno è diverso da te è un nemico e va combattuto. Si arriva alla legge del taglione. Si torna a fare la guerra perché il diverso è un nemico che porta via soldi, posti di lavoro, eccetera. Così come c’è una gerarchia dei potenti c’è anche una gerarchia di razze. Perché sono presi di mira solo alcuni.
Il razzismo e i pregiudizi sono però universalmente presenti nel cuore dell’uomo, a prescindere dalle nazioni. I fatti di questi giorni negli Usa ne sono un esempio.
E’ sicuramente un istinto presente nella nostra biologia, nella nostra natura, ossia la lotta per la sopravvivenza di cui parlava Darwin, la lotta per la difesa del territorio. Ma tipico dell’uomo non è solo la biologia ma la cultura. E la cultura dovrebbe essere quella condizione in cui rispettiamo gli altri e riusciamo a frenare un istinto. Il problema è: come mai la cultura che caratterizza l’uomo e consiste nel controllo delle pulsioni non c’è più? Tutta una cultura che si era costruita fino a epigoni che erano quelli dell’amore, della fratellanza, è completamente recitata ma non vissuta.
Gli episodi che osserviamo sono silenziosamente sostenuti da tante persone. Non dicono niente ma li approvano. Bisogna impedire che ci sia chi soffia sul fuoco. Nessuno parla del valore della conoscenza utile nell’avvicinare altre storie, altre culture. Tutto viene mostrato come negativo: gli immigrati fanno perdere posti di lavoro, c’è violenza e criminalità. Il problema è che all’origine c’è sempre una esclusione. E’ terribile, stiamo diventando un popolo incivile.
Nei dibattiti pubblici, soprattutto sui social, c’è sempre un “noi” contro “loro”: i migranti, più deboli, diventano il capro espiatorio di tutti i mali.
Certo, questo è il principio darwiniano. L’evoluzione si lega alla lotta per l’esistenza: “mors tua, vita mea”. Bisogna eliminare il nemico, deve vincere la mia tribù che deve prendere il tuo territorio. E’ una regressione spaventosa. Poi c’è la crisi che ha sottolineato la paura, le incertezze. E la paura genera sempre violenza. Ci rendiamo conto che, in un Paese che non legge, un giornale ha regalato il Mein Kampf di Hitler? Perché non hanno regalato “La pace perpetua” di Kant?
Marketing, ricerca di consenso e voti, incoscienza: quali sono, secondo lei, le vere ragioni dietro a scelte così pericolose? Come fare per arginarle?
Non è follia, è stupidità. Bisogna prendere una posizione molto decisa: non è più possibile fare finta. Questa è una società falsa, che recita. Andiamo incontro a situazioni che saranno di nuovo drammatiche.Ci vuole più coraggio anche nella Chiesa. Il Papa lo ha avuto nel suo schierarsi dalla parte dei migranti, ma ci sono quelli che non sono d’accordo. Bisogna cominciare a dire che questa nazione deve cercare di far emergere uomini e donne saggi, intelligenti. Stiamo scegliendo i peggiori. C’è una ignoranza spaventosa. Bisogna poter parlare, spiegare, capirsi. Occorrono persone credibili per parlare ai giovani, ma la via è sempre quella della cultura. Fare promozione, educazione, dimostrare quanta positività c’è in chi viene odiato, per stimolare al rispetto nei loro confronti.
Con i giovani è più facile perché sono come pagine bianche di un libro da scrivere. Ma con adulti già formati come si fa? E’ una battaglia già persa in partenza?
No, perché l’espressione esplicita dei pregiudizi nasce dal sentirsi sostenuti. Se nascondono ancora il loro pensiero sono recuperabili. Il problema emerge quando ci si sente in tanti a pensarlo. Bisogna far scoprire cosa c’è nell’altro, cosa significa una società diversa.
Purtroppo oggi sui social non si nasconde più il proprio pensiero: lo schermo del computer protegge dal confronto diretto, le affermazioni diventano più violente e l’espressione dei pregiudizi, anche in maniera razionale, serve solo a rafforzare l’ego…
E’ vero. Questo è più grave, perché se uno stava zitto e si esprimeva a casa, agiva male solo in famiglia. Adesso diventa un’azione diffusa, trasformandosi in vera e propria propaganda.