IV Domenica di Quaresima, Anno B


In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio (...)».

Letture

Laetare: superata la metà della Quaresima, siamo invitati a guardare con gioia alla meta del nostro percorso: la Pasqua. L’invito alla gioia è espresso in particolare dall’antifona di ingresso, ma anche dai motivi di gioia espressi nelle letture:
La 1° ci parla della fine dell’esilio: se l’infedeltà del popolo d’Israele l’aveva portato a sperimentare il dolore e l’amarezza dell’esilio, la fedeltà del Signore è tale da liberarlo e richiamare il popolo nella Terra Promessa: Dio utilizza Ciro, il re persiano pagano, perché diventi suo strumento di liberazione. L’ultima parola di Dio non è la morte, ma la vita. Dio non abbandona il suo popolo, anche se infedele!
Nella 2° lettura San Paolo si rivolge agli Efesini perché guardino a Dio “ricco di misericordia” il quale “per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per il peccato, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete stati salvati”, cioè gratuitamente, come dono, senza meriti (“perché nessuno possa vantarsene”), “mediante la fede”.
Ed eccoci al Vangelo. E’ un brano che non è facile commentare, anche perché non succede nulla, è un monologo di Gesù che ha come ascoltatore Nicodemo, il maestro della legge che viene ad interrogarlo di notte, affascinato da Gesù, ma timoroso di mostrare questo interesse, di prendere posizione.
NICODEMO è un ammiratore, ma non ancora un discepolo: non vuole compromettersi, presume di sapere, è un’autorità nel Sinedrio, un maestro della legge. La sua è un’ammirazione non profonda, non convinta, non matura, che ha bisogno di un cammino di formazione. Alla fine ce la farà: lo ritroveremo nel sepolcro di Gesù, a portargli 30 Kg di mirra ed aloe: una quantità esorbitante che solo i re ricevevano.
La domanda che aveva posto a Gesù era: “come si nasce dall’alto?”, affermazione fatta da Gesù per spiegargli come avere una vita piena, autentica.
“Come Mosè innalzò il serpente nel deserto”: siamo nell’Esodo, nel deserto e il popolo liberato dalla schiavitù d’Egitto ancora una volta si lamenta mormorando contro Dio e contro Mosè: questo lamento è un veleno che uccise un gran numero di israeliti (il racconto procede come se fossero le vipere a colpire!). Solo di fronte al pericolo e alla morte (come spesso avviene, ma non è una cosa negativa!) il popolo si ravvede e chiede perdono: è questo il vero antidoto che Dio offre sotto forma di un serpente di bronzo, innalzato in un’asta che, guardato, risanava gli avvelenati.
Dio trasforma, anche simbolicamente, il male in un bene: l’allusione è alla morte di croce, a Gesù che verrà innalzato sul legno della croce. Guardando alla sua morte, troviamo vita, l’antidoto al peccato che ci conduce alla morte: guardando a come Dio ci ha amati, al punto da dare il Figlio unigenito, troviamo motivo per vivere in pienezza, in comunione per sempre.
Il POTERE del MALE, che è evidente, trova in Dio un avversario più potente: Dio che ha il potere dell’amore (puoi vincere il male solo con il bene, con l’amore: e non c’è amore più grande di chi vive ed è disposto a morire per gli altri, di chi fa della propria vita un dono).
Guardando al crocifisso possiamo comprendere che il male non viene da Dio (lui lo combatte), che Dio non rimane impassibile di fronte al nostro male. Ed è questa la GLORIA di Dio, la sua presenza e manifestazione: quella di amarci talmente da lasciarsi crocifiggere e dare la vita.
La CROCE era la punizione riservata ai peggiori malfattori e Gesù si lascia crocifiggere come un malfattore perché neanche il peggiore malfattore possa sentirsi maledetto, scacciato, rinnegato da Dio. Da qui il VALORE di ogni persona umana, a qualunque condizione appartenga e qualsiasi atto abbia compiuto.
Gesù si è fatto solidale con chi vive la sofferenza più atroce e ingiusta. Neanche la sofferenza ingiusta, violenta può separarci dall’amore di Cristo, perché Lui l’ha vissuta, l’ha sperimentata, l’ha trasformata in uno strumento di redenzione. Ci è vicino nelle nostre sofferenze, non è indifferente al nostro dolore.
Dio ha tanto amato il mondo da dare… L’amore di Dio è dono, è dare…la vita eterna, cioè tutto! Ma c’è una condizione!
Perché chiunque CREDE in lui abbia la vita eterna
Occorre CREDERE per avere la vita eterna, cioè per entrare nella vita di Dio, nella comunione, nella luce divina. Occorre accogliere l’amore di Dio. È la lieta notizia da ripeterci ad ogni risveglio, ad ogni difficoltà, ad ogni sfiducia. Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama.
La FEDE cristiana non è una dottrina particolare a cui aderire, tanto meno una morale da adottare o una ascesi, uno sforzo umano fatto da una serie di pratiche da svolgere: la fede cristiana è credere nell’amore immeritato e illimitato che Dio ha per l’uomo, ha per me, credere alla passione di Dio per l’uomo.
Non basta credere nell’esistenza di Dio: anche il diavolo crede che Dio esista, e con lui i satanisti (che cercano di appropriarsi dell’eucaristia perché sanno che ha un potere grande che vorrebbero rivolgere al male). Dobbiamo credere che Dio ci ami, che Dio sia amore, che Dio ci voglia parte di questo progetto di amore.
All’opposto, credere che l’egoismo, l’odio, la violenza sia inevitabile, preferibile (ovvero più vantaggioso, più piacevole, e che ci renda più forti), questa “fede” ci porta alla morte, ci avvelena e ci uccide. L’amore è il pane che sfama l’uomo, che gli permette di vivere, senza il quale l’uomo si abbrutisce e muore. Se uno non si sente amato, non si sa amato, non può amarsi e non può amare. E così si condanna da solo ad una vita inumana per sé e per gli altri. Preferirà le TENEBRE alla LUCE perché solo nelle tenebre potrà continuare a fare il male rimanendo impunito e indisturbato.
Domenica scorsa (pochi versetti prima nel Vangelo ascoltato oggi) Gesù, nel Tempio, ci ha insegnato con vigore che Dio non è uno con cui si può mercanteggiare. Ora ci chiarisce il perché: l’amore non si può pretendere, né tantomeno acquistare o vendere. L’amore divino è gratuito, è un dare senza pretendere di ricevere, è un donarsi per il bene di chi ama. E’ volere il bene dell’altro prima del proprio bene, piuttosto a discapito del proprio immediato bene.
Così Dio non è un giudice che condanna, ma colui che finisce in Croce per noi, che si lascia condannare. Siamo noi che ci autocondanniamo rifiutando l’amore di Dio, chiudendoci in noi stessi e preferendo il male al bene.
Dio ha tanto amato il mondo… E la parola “mondo” è utilizzata dall’evangelista sempre con una connotazione negativa, come realtà che, a causa del peccato, si contrappone a Dio. Eppure Dio ama il mondo con tutte le sue contraddizioni. Ama ogni uomo come suo figlio: Dio non vuole condannare il mondo, ma SALVARLO per mezzo di Gesù.
Salvarlo da cosa? Dalla morte per inserirlo nella vita eterna. E la vita eterna è vivere da fratelli, è amarci come lui ci ha amati. Questa è già vita eterna. E la vita eterna la viviamo o la rifiutiamo oggi: scegliendo tra la luce e le tenebre, tra l’amore e l’indifferenza, tra la vita e la morte. Sta a noi la scelta, oggi, ogni giorno, in base alle scelte concrete che facciamo nei confronti di Dio e delle persone che abbiamo accanto. Sta a noi credere nell’amore che Dio ha per noi. Fermiamoci qualche istante a contemplare il crocifisso: possa aprire i nostri occhi e il nostro cuore mostrandoci come Dio ci ama. E invitandoci a contraccambiare in qualche modo a questo amore.

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