Le dimissioni di Viganò e la presunta continuità tra i due Papi
La vicenda della lettera "mutilata" (e privata) di papa Benedetto XVI ha portato alle dimissioni di Viganò, il Direttore della Comunicazione di papa Francesco e non ha ancora spento le polemiche.
Tra le questioni in sospeso c'è il dubbio se la presunta continuità tra i due Papi sia reale o solo cercata, ma non presente. E poi, dal fronte dei "difensori" di papa Francesco, se sia stata non solo inopportuna la "macchinazione" di Viganò, ma lo stesso intervento di Benedetto XVI, colpevole, secondo loro, di "ingerenza" (al fronte di una promessa di ritirarsi nel silenzio). Insomma, colpa di Benedetto XVI?
Sulla questione della continuità vedi l'intervento di Cazzullo che, a risposta di diverse lettere ricevute, scrive sul Corriere:
Monsignor Viganò paga una scelta generosa ma maldestra: non tanto rendere pubblico un documento privato; quanto presentare come un segno di vicinanza tra Benedetto e Francesco una lettera che oggettivamente segna una distanza. In sintesi: il successore chiede una prefazione ai suoi studi di teologia; e il predecessore risponde che no, non può scrivere la prefazione ai «volumetti» per «impegni precedentemente assunti». Non esattamente un attestato di stima e affetto. Ovviamente si può sostenere il contrario, così come si può tentare di salire sugli specchi; prima o poi però si cade.Sullo stesso Corriere e dello stesso tenore anche la riflessione di Massimo Franco:
Non siamo nella mente di Ratzinger, e non guardiamo alle vicende vaticane dalle segrete stanze, ma da piazza San Pietro. Quel che pensi davvero il Papa tedesco del Papa latinoamericano non lo sappiamo. Una cosa però si può dire con chiarezza: la retorica della continuità tra i due pontificati suona sempre più falsa. Non è vero che tra Benedetto e Francesco ci siano solo differenze di temperamento e di stile. Al centro del pontificato del primo c’era la battaglia contro il relativismo etico; Ratzinger è stato un Papa teologo e intellettuale. Francesco è un Papa politico e sociale. Al centro del suo pontificato c’è la questione sociale che la globalizzazione non ha risolto ma sotto certi aspetti esasperato, allargando le forbici delle disuguaglianze tra chi — grazie alla finanziarizzazione dell’economia e alla rivoluzione digitale, quando non al traffico di droga, armi ed esseri umani — ha accumulato ricchezze incommensurabili e chi non ha nulla.
La settimana che doveva segnare l’apoteosi del quinquennio di Francesco sta segnando una delle crisi interne più acute del suo papato. E esplode proprio nel cuore di Casa Santa Marta, l’albergo dove vive dentro la Città del Vaticano: in quella cerchia ristrettissima di collaboratori che hanno plasmato il suo profilo e la sua grande popolarità. In pochi giorni, si è incrinata la coabitazione armoniosa che l’attuale Pontefice e il suo predecessore erano riusciti a stabilire; e proprio sul tema della dottrina, uno dei più delicati. Senza che né Jorge Mario Bergoglio né Joseph Ratzinger volessero, si sono trovati al centro di un pasticcio tale da farli apparire distanti, segnalando divergenze mai prima emerse. Non solo. Il modo maldestro col quale è stata usata la lettera di appoggio di Benedetto a Francesco su una collana di scritti teologici rischia di sgualcire la credibilità dell’intera macchina comunicativa del Vaticano.I due PapiPer un lungo periodo, sembrava che non esistessero «due Papi». Miracolosamente, è il caso di dirlo, nessun dualismo né divergenza erano affiorati: come se ognuno dei due sapesse quanto fosse importante la proiezione di una Chiesa unita; tanto più dopo le dimissioni traumatiche di Ratzinger nel febbraio del 2013, le prime dopo settecento anni. Sebbene ultimamente apparisse meno scontata, l’idea di una continuità tra i due pontificati sopravviveva come una sorta di «verità vaticana» da proteggere e diffondere allo scopo di rassicurare il mondo cattolico. Anche quando veniva strattonato dagli ambienti più conservatori e ostili a Francesco, Benedetto si era limitato a rinnovare la sua lealtà e ubbidienza al successore.Questa narrativa, adesso, promette di dovere essere ricalibrata. Benedetto ha parlato di «stolto pregiudizio» di quanti attaccano teologicamente Francesco; e di «continuità interiore», espressione così sottile da suonare lievemente criptica, tra lui e Bergoglio. Ma le sconcertanti omissioni sulle critiche di Ratzinger all’operazione editoriale, la divulgazione a tappe della sua missiva, e solo sotto la spinta di uno sconcerto crescente, hanno regalato sospetti di manipolazione, se non di censura. Il tentativo di puntellare le lodi di una serie di teologi nei confronti di Francesco con l’imprimatur del «teologo massimo» Benedetto, si è trasformato in un doloroso autogol: anche perché alla fine si è scoperto che tra i «lodatori» figurano un paio di studiosi riconosciuti da Ratzinger come detrattori ostinati sia del papato di Giovanni Paolo II, sia del suo.Sull'altra questione, la presunta "colpa" di Benedetto XVI, è Il Foglio, tra gli altri, a riferirne i retroscena:
Le dimissioni atipicheLa vicenda, almeno per ora, si conclude con una lettera di dimissioni formali quanto atipiche di monsignor Dario Viganò, l’uomo della comunicazione di Francesco. Si tratta di un gesto apprezzabile nella sua inevitabilità, che però può sollevare altre perplessità. L’atipicità sta nel fatto che Viganò, nella sua missiva a Francesco, non riconosce gli errori commessi. Non c’è un solo riferimento all’uso centellinato e pilotato delle parole di Benedetto. Si parla solo delle «molte polemiche circa il mio operato». Il prefetto motiva la volontà di «farmi in disparte» con l’esigenza di non «destabilizzare» le riforme della comunicazione affidategli da Francesco nel 2015. Fa un passo indietro per «imparare a rinascere dall’alto», scrive citando i testi sacri, e non offrire pretesti ai nemici. È una versione che vela qualunque responsabilità. Ma il problema ormai va al di là della sua persona. A colpire è la risposta di Francesco, dalla quale si desume una certa resistenza a accettare le dimissioni. Il Papa spende tali e tante lodi sull’«umiltà e il profondo sensus ecclesiae», lo «spirito di servizio» del monsignore, da rendere tutto un po’ singolare: anche perché a Viganò vengono attribuiti piglio decisionista e modi sbrigativi. Il fatto stesso che accogliendo «non senza qualche fatica» le dimissioni crei per il «Reverendissimo Monsignore» un nuovo incarico, quello di «assessore», e gli chieda di continuare in attesa del nuovo prefetto, acuisce la confusione.«Amoveautur ut conservatur»Perfino nella cerchia bergogliana si percepisce lo sconcerto. «Questo non è un caso di promoveatur ut amoveatur. Siamo all’amoveatur ut conservatur», scolpisce un cardinale. E cioè: Viganò rimosso perché prosegua più o meno come prima; o comunque perché questo sia il messaggio dentro le Sacre mura. Ufficialmente, per il momento prenderà il suo posto l’attuale segretario del dicastero, l’argentino Lucio Adrian Ruiz. Ma la procedura conferma la determinazione con la quale il Papa difende le scelte compiute e i suoi collaboratori: anche quando provocano reazioni controverse e farebbero credere a un ripensamento.La vicenda, tuttavia, non sembra archiviata. C’è chi sottolinea polemicamente la rapidità con la quale sono stati silurati riformatori designati da Francesco come il supervisore dei conti Libero Milone o il vicedirettore dello Ior, Giulio Mattietti. E la contrappone alla difesa del prefetto per la comunicazione: argomenti che gli avversari usano per accreditare l’affanno e le contraddizioni del papato. Di certo, l’idea che la gestione della lettera di Benedetto possa essere usata per accreditare un complotto contro le riforme, lascia perplessi; ma può favorirlo. E, sullo sfondo di quanto è accaduto, fa riflettere anche il convegno organizzato a fine gennaio in Vaticano contro le informazioni manipolate e le fake news. Senza saperlo, il Vaticano poneva un problema che in qualche misura si sta rivelando anche suo. E ripropone in modo imprevisto, per la prima volta, la questione dei «due Papi».
Teologi e storici più papisti del Papa attaccano Joseph Ratzinger per la sua replica a mons. Viganò e tirano in ballo le prefazioni firmate dal Pontefice emerito ai libri dei cardinali Sarah e Müller
Nella brutta storia della lettera di Benedetto XVI censurata da parte della Segreteria per le comunicazioni ora priva del suo numero uno, si è in qualche modo passati alla fase-2, che vede il Papa emerito in mezzo a un campo di battaglia, strattonato tra i cosiddetti antibergogliani pronti a farne un vessillo da esibire e i cosiddetti ultrà bergogliani, più papisti del Papa che spesso usano Francesco come bandiera per teorizzare rivoluzioni che il più delle volte il vescovo di Roma non ha neppure ipotizzato. Se i primi, in qualche caso, partendo dal caso-Viganò sono arrivati a puntare più in alto, dipingendo scenari catastrofici che vedrebbero un Pontefice regnante furibondo per l’accaduto e indispettito per la replica ratzingeriana (quando è facilmente ipotizzabile che a Francesco degli undici volumetti teologici interessasse ben poco, avendo questioni più urgenti e rilevanti di cui occuparsi), i secondi hanno subito messo sul banco degli imputati Benedetto XVI. Naturalmente per la risposta che ha dato a mons. Viganò in una lettera “riservata e personale”, cioè non destinata alla pubblicazione ma privata. Da leggere e riporre nel cassetto. A farsi portatore della linea che imputa proprio a Ratzinger il pasticcio è il professor Alberto Melloni, storico del Cristianesimo e capofila della Scuola di Bologna, che su Repubblica ricorda come Benedetto XVI un anno fa avesse scritto “una prefazione al libro del cardinale Robert Sarah (peraltro pubblicata dal Foglio), prefetto di curia che si è schierato contro Francesco in materia liturgica” e “poi aveva firmato la prefazione al volume in onore del cardinale Gerhard Ludwig Müller, campione del contrasto a Francesco”.
Quindi, il sottile j’accuse: “In quelle pagine – scrive Melloni – c’erano tesi note di Ratzinger: ma esse erano delicate perché volevano dimostrare che Benedetto XVI ha ancora un qualche diritto di governare. Tant’è che un po’ governa dando copertura a coloro a cui si sente vicino”. Insomma, il Papa emerito guiderebbe o quantomeno controllerebbe un moto cospirativo nei confronti del successore, ammiccando ai nemici di Francesco e dando loro protezione. Scrive ancora lo storico: “Sembrava che il Papa emerito desse un voto (buono, per fortuna) al Papa regnante. E poneva l’interrogativo di cosa sarebbe accaduto se il voto fosse stato cattivo”. Poi il problema: “Peter Hünermann, teologo di Tubinga col quale Ratzinger ha ingaggiato dispute che non ha mai dimenticato”. Ricorda ancora Melloni che “trent’anni fa, la risposta della teologia tedesca e dei grandi teologi ecclesiastici come Karl Lehmann e Walter Kasper impedì a Ratzinger unilateralismi pericolosi. Dopo trent’anni Benedetto suggeriva a un prefetto di curia come Viganò che quella teologia o almeno Hünermann, venisse punita col silenzio. Cosa che detta da un teologo è un’opinione; detta dal Papa emerito è un atto di governo. Questione delicatissima, potenzialmente eversiva”.
Durissimo è il commento del teologo Andrea Grillo, professore ordinario di Teologia sacramentaria al Pontificio ateneo Sant’Anselmo, che ha lodato Hünermann, ricordando come quest’ultimo “ha continuato a parlare anche quando il magistero voleva dai teologi solo silenzio o applausi. Egli non è stato disposto a fare lo zerbino o il capo-claque e questo è stato il suo merito indiscusso, anche se viene presentato ora quasi come un crimine di lesa maestà. Curioso paradosso: chi ha promesso solennemente di tacere, ha parlato senza prudenza. Chi invece per mestiere e ministero doveva parlare, e ha parlato chiaro, perché mai dovrebbe tacere?”. Prima si era domandato: “Forse che Ratzinger ha un diritto di veto sui teologi che parlano (bene) di Francesco?”.
Repliche che dimenticano la questione centrale: è stata la Segreteria per le comunicazioni, nella persona di mons. Dario Edoardo Viganò a inviare a Benedetto XVI una lettera in cui gli si chiedeva di scrivere una “breve e densa pagina teologica” agli undici libri editi dalla LEV sulla teologia di Francesco. Ratzinger non ha preso carta e penna per diffondere urbi et orbi una reprimenda all’iniziativa. A domanda ha risposto con un messaggio – è bene ricordarlo – privato. In cui spiegava di non poter elogiare un testo firmato da uno dei più feroci oppositori del pontificato suo e di Giovanni Paolo II. Cosa avrebbero detto gli accusatori se il teologo professor Joseph Ratzinger avesse letto e stroncato la pubblicazione di Hünermann sulla teologia del Papa regnante? L’errore è stato a monte: in primo luogo chiedere a un Pontefice emerito di recensire il successore. E poi di aver domandato al rigoroso Ratzinger di scrivere una paginetta Word su un firmatario della “Dichiarazione di Colonia” che metteva all’indice il suo ruolo di prefetto della congregazione per la Dottrina della fede.Vedi anche: