Sull'inferno (e su Scalfari)

L'ultima polemica è quella scaturita dall'articolo di Scalfari il quale riferisce di un ennesimo colloquio avuto con papa Francesco e sulle "rivelazioni" teologiche che ne avrebbe ricevuto.



In particolare c’era stata una risposta attribuita a papa Francesco che ha fatto molto discutere: quella sull’inesistenza dell’inferno.
Domanda: Santità, nel nostro precedente incontro lei mi disse che la nostra specie ad un certo punto scomparirà e Dio sempre dal suo seme creativo creerà altre specie. Lei non mi ha mai parlato di anime che sono morte nel peccato e vanno all’inferno per scontarlo in eterno. Lei mi ha parlato invece di anime buone e ammesse alla contemplazione di Dio. Ma le anime cattive? Dove vengono punite?
Risposta: Non vengono punite, quelle che si pentono ottengono il perdono di Dio e vanno tra le fila delle anime che lo contemplano, ma quelle che non si pentono e non possono quindi essere perdonate scompaiono. Non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici
Il Vaticano ha subito smentito tali rivelazioni: 
Papa Francesco “ha ricevuto recentemente il fondatore del quotidiano La Repubblica in un incontro privato in occasione della Pasqua, senza però rilasciargli alcuna intervista”.
Vatican Insider elenca le occasioni in cui papa Francesco ha parlato dell'inferno e del demonio.

C'è chi ha dato a Scalfari del "buffone", chi lo ha definito un menzognero; chi si appella alla sua età per fargli smettere di scrivere articoli giornalistici. Molti altri si sono prodigati a ribadire la dottrina cattolica sull'inferno. Così anche Vatican News ("L'inferno è una scelta: quella di essere lontani da Dio"), Antonio Socci e La Nuova Bussola Quotidiana:

Approfittiamo per questo “incidente” massmediatico per ripassare cosa dice la dottrina cattolica sull’Inferno. L’esistenza dell’inferno e il fatto che non sia vuoto è provato dalla ragione e dalla Sacra Scrittura. Per questo motivo è dogma della Chiesa che deve essere creduto con certezza e fermamente da ogni credente.
MASSIMO RIFIUTO, MASSIMA PENA
La pena dell’inferno è uno «stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1033). Se l’anima peccatrice scomparisse dopo la morte non avrebbe senso di parlare di “stato di autoesclusione da Dio” e dunque il Catechismo cadrebbe in errore. Dobbiamo però provare come si arriva a questa condizione, ossia dobbiamo provare l’esistenza dell’Inferno. In altri termini: perché l’uomo potrebbe meritare una simile pena? Tommaso D’Aquino risponde innanzitutto ricordando che la pena perché sia giusta deve rispettare un principio di proporzionalità, ossia deve essere adeguata alla gravità del peccato commesso: al peccato grave, radicale, assoluto e definitivo deve corrispondere una pena altrettanto grave, radicale, assoluta e definitiva. E dunque al rifiuto del sommo bene che è Dio deve corrispondere la pena massima, cioè la più dolorosa – e non c’è pena più dolorosa che essere separati da Dio -  e la più estesa in senso temporale: una pena che mai dovrà finire. Più semplicemente, potremmo dire che ad una colpa infinita per gravità deve corrispondere una pena infinita nelle sue dimensioni di intensità (perdita di Dio) e durata (eternità) (cfr. Summa Theologiae, Supp. q. 99, a. 1 c).
PARADISO: UNA LIBERA SCELTA
In secondo luogo Tommaso sottolinea che «l’equità naturale esige che ognuno sia privato di quel bene contro il quale agisce: perché con questo egli si rende indegno di tale bene» (Contra Gentiles, l. III, cap. 144, n. 3). Se una persona si è mostrata nemica di Dio dovrà dunque essere privata del bene-Dio. In terzo luogo l’Aquinate richiama la bipartizione tra peccato mortale e peccato veniale. In merito alla prima tipologia di peccato egli scrive che «si può peccare […] in modo da distogliere del tutto l’intenzione dell’anima dall’ordine verso Dio, che è il fine ultimo di tutti i buoni. […] Ora, se la diversità delle pene deve essere secondo la diversità dei peccati è logico che colui che pecca mortalmente deve essere punito con la perdita del fine proprio dell’essere umano [Dio]» (Ib., cap. 143, n. 1). Tommaso sta dicendo che sarebbe contraddittorio far partecipare per l’eternità al fine ultimo che è Dio colui che ha scelto in vita di escludere il fine ultimo dalla sua esistenza. Dio non può costringere nessuno ad entrare in Paradiso: deve essere una scelta libera. Chi non ha voluto Dio in terra, non potrà essere obbligato a volerlo nell’aldilà.
GESU' NE PARLA PIU' VOLTE...
Le riflessioni di ordine razionale prima articolate vengono suffragate anche dalla Sacra Scrittura che rivela l’esistenza di una condizione esistenziale dopo la morte contrassegnata da pene eterne. L’esistenza dell’Inferno dal punto di vista teologico è evidente: altrimenti Cristo sarebbe morto e risorto per salvarci da cosa? Non avrebbe nemmeno più senso parlare di salvezza.
Molti sono i passi del Vangelo che testimoniano con certezza l’esistenza dell’Inferno. Qui ne ricordiamo solo qualcuno: «Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. […] E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» (Mt 25, 41.46); «egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori» (Lc 13, 27-28); «chi gli [al fratello] dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna» (Mt 5, 22);
«Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te:conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna» (Mt 5, 29-30); «Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 13, 41-42); «temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna» (Mt 10,28); «Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. […] Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità» (Mt 7, 19.23); «Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui» (Lc 16, 22-23); «Gesù gli domandò: “Qual è il tuo nome?”. Rispose: “Legione”, perché molti demòni erano entrati in lui. E lo supplicavano che non ordinasse loro di andarsene nell'abisso» (Lc 8, 30-31);
«Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna» (1 Gv 3,15); «Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza» (2 Ts 1,9); «E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli» (Ap. 20,10). Anche nel Vecchio Testamento sono molteplici i passi che testimoniano l’esistenza dell’Inferno tra cui ricordiamo solo Isaia: «Uscendo, vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me; poiché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti». (Is 66,24); e Daniele: «Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna» (Dn 12,2). Questi passi provano l’esistenza dell’Inferno, ma anche se l’Inferno corrispondesse all’inesistenza dell’anima peccatrice, non si spiegherebbe perché Gesù non lo avesse esplicitato e non si spiegherebbe perché per descrivere l’Inferno si fa riferimento a condizioni esistenziali in cui si provano tormenti e pene. Se l’anima scomparisse non soffrirebbe un bel niente.
...E ANCHE LA CHIESA
I rimandi alla Sacra Scrittura inoltre sono il primo fondamento su cui poggia il dogma, per la Chiesa cattolica, dell’esistenza dell’Inferno confermato in diversi concili, sinodi e documenti anche di carattere dogmatico. Pensiamo al sinodo di Costantinopoli (543), al IV Concilio del Laterano (1215), al II Concilio di Lione (1274), al Concilio di Firenze (1441), al Concilio di Trento (1545-1563), alla Costituzione dogmatica “Benedictus Deus” (1336) di Benedetto XII, alla Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei (n. 11) emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (1998).
E' VUOTO?
Un’obiezione a quanto sin qui esposto potrebbe essere la seguente: l’Inferno è certo che esista, ma è vuoto perché non è altrettanto certo che sono esistite o esisteranno delle persone che rifiutino Dio in modo così radicale e definitivo da meritarsi una pena infinita. All’obiezione possiamo rispondere nel modo seguente prima appellandoci alla sola ragione, poi alla ragione illuminata dai testi sacri. In primo luogo come non si può escludere che nessuno abbia mai peccato mortalmente, così – applicando il medesimo criterio logico ma rovesciato – non si può escludere che qualcuno abbia peccato mortalmente e quindi si meriti un castigo eterno. In secondo luogo se si ammette l’esistenza dell’Inferno si deve ammettere almeno la presenza di un’anima dannata. Infatti l’Inferno non è un luogo, ma uno stato di dannazione sperimentata dalla persona. Provare, come abbiamo provato, che l’Inferno esiste significa contemporaneamente provare che almeno una persona vive quella condizione, proprio perché c’è piena identità tra il concetto di “Inferno” e il concetto di “esistenza nello stato di eterna separazione da Dio”. In altri termini non si può dare l’esistenza dell’Inferno senza dare l’esistenza almeno di una persona che vive la condizione di dannato. In terzo luogo la Sacra Scrittura afferma che all’Inferno ci sono gli angeli ribelli e in grande moltitudine (cfr. Ap. 12, 4.9) e dunque non è vuoto.
Se l’Inferno non esistesse perché le anime peccatrici scomparirebbero, come spiegare l’esistenza all’Inferno dei demoni? Non dovrebbero scomparire anche loro? In quarto luogo se l’Inferno è già abitato dai demoni che hanno rifiutato Dio non si comprende per quale ragione non potrebbe essere abitato anche da quegli uomini che, al pari degli angeli, hanno rifiutato Dio. E dunque all’Inferno sarebbero presenti delle anime.  In quinto luogo è lo stesso Vangelo a dar prova non solo che l’Inferno non è vuoto, ma che in esso sono presenti molte anime dannate: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. […] Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità» (Mt 7, 13.22-23).
LE ANIME ESISTERANNO ANCHE NELL'INFERNO?
Un’ultima obiezione potrebbe però suonare così: la pena giusta per i peccatori che hanno rifiutato Dio è l’annichilimento, ossia la perdita della stessa esistenza. Questa obiezione fu confutata da Tommaso D’Aquino nella Summa Theologiae. Vediamo cosa scrisse: “sebbene per il fatto che uno pecca contro Dio, autore dell'essere, meriti di perdere la stessa esistenza, tuttavia, considerato il disordine intrinseco dell'atto, non è giusto che perda l'esistenza: perché l'esistenza è il presupposto sia del merito che del demerito, e d'altra parte essa non viene distrutta o compromessa dal disordine del peccato. Perciò la privazione dell'esistenza non può essere la pena dovuta a una colpa” (Supp., q. 99, a. 1, ad 6). Tommaso ci sta dicendo che se è giusto e doveroso punire Tizio che ha peccato e non si è convertito, occorre che Tizio esista, altrimenti non si potrebbe comminare la pena. L’esistenza è quindi condizione necessaria per infliggere la pena. Inoltre la gravità del peccato non riesce a compromettere o  addirittura ad annullare l’esistenza di un’anima peccatrice.

Una presentazione meno "ortodossa" è anche quella pubblicata su AGI.

Un articolo extra è quello pubblicato su Avvenire il 3 aprile. La firma è di don Mauro Leonardi: "Il Papa e Scalfari: dialogo che sorprende. Perché un'amicizia non è un'intervista":
Le polemiche che divampano regolarmente dopo la pubblicazione di ogni “intervista” di Eugenio Scalfari a papa Francesco – l’ultima è sull’inferno “che non c’è” – non tengono conto che, quanto il fondatore di 'Repubblica' racconta di Bergoglio, è qualcosa che riguarda solo loro due: la loro amicizia.
«Lui ha detto che è mio amico», ho sentito dire una volta, di persona, da Scalfari. E ho visto come raccontava di quando gli ha aperto la portiera dell’auto o ha portato in mano, lui, il Papa, dei libri che gli stava regalando – «visto che sono pesanti», aggiungeva.
Dico “ho visto” perché vedevo che Scalfari si commuoveva. Aveva gli occhi inumiditi, intendo dire. Anzi, poiché per qualcuno la parola amicizia ha poco peso, dirò che Scalfari è innamorato di papa Francesco. Non temo di usare questa espressione perché Francesco sa bene che il segreto di tutto è innamorarci reciprocamente delle nostre vite con il desiderio di farci conoscere e sa che, agli innamorati, pare sempre di capire che quanto hanno nel cuore è l’esatto ricalco di quanto hanno nel cuore coloro che hanno dinanzi.
Quindi, se la parola “amicizia” va stretta, figurarsi cosa accade se si parla di “intervista”. Parlando dei colloqui tra Scalfari e il Papa dovremmo soffermarci di più sul fatto che il Papa, con Scalfari, ci parla. Ci parla come fa lo Spirito Santo: il Papa parla e l’amico, Scalfari, lo comprende “nella propria lingua”, con i suoi codici. E al Papa va bene così, non lo corregge. Se Eugenio crede che Jorge Mario pensi come lui che l’inferno non esiste, a Jorge Mario va bene, non lo corregge. Perché essere amici non è fare proselitismo ma trovare spazi comuni, senza temere quelle distorsioni e contaminazioni che sempre ci sono in ogni amicizia. Perché quando si cerca unità, si trova Dio sempre e comunque, anche se questa unità può essere mal interpretata. Il fatto è che l’amicizia fa paura. Il nostro occhio malvagio cerca sempre di vedere nelle relazioni il doppio gioco, un movente diverso dal semplice frequentarsi e volersi bene: ma esiste, invece, un’amicizia libera, gratuita, senza secondi fini che ci turba proprio per la libertà che sottintende.
E questa è la vera ragione dello scandalo di alcuni personaggi catholically correct. L’amicizia tra Scalfari e il Papa solleva critiche e turbamenti perché non è di parte, visto che non è di nessuna parte. Non è laica e non è cattolica. È amicizia e basta. Un’amicizia che non può essere ingabbiata in alcun scopo istituzionale o vantaggio personale. Il Papa con Scalfari non si comporta da Francesco ma da Jorge Mario. E a noi rimane da sperare che anche Scalfari svesta i panni dell’ideologo antitutto, della voce sempre fuori dal coro, per essere solo e soltanto Eugenio. Uno che impara a godere di un rapporto “solo loro” che per questo non andrebbe ogni volta abbassato al rango della banale intervista. Perché una relazione così libera e alta è ciò cui troppe volte noi rinunciamo per codardia preferendo le pastoie della convenienza, dell’ideologia, dell’ipocrisia, della schiavitù.

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