Il Papa (non solo) ai giovani: "Gridate!". Pubblicati anche i commenti della Via Crucis scritti dal gruppo di giovani


Nella bellissima omelia della domenica delle Palme Papa Francesco fa riferimento alle diverse grida che il Vangelo riporta: quelle osannanti del popolo toccato dalla grazia di Gesù, quelle manipolate dai potenti che lo vogliono crocifisso e il grido straziante d'amore di Gesù sulla Croce. Il Papa invita in particolare i giovani a far sentire la loro voce con forza, a non lasciarsi azzittire da chi è infastidito da grida di speranza.
Gesù entra in Gerusalemme. La liturgia ci ha invitato a intervenire e partecipare alla gioia e alla festa del popolo che è capace di gridare e lodare il suo Signore; gioia che si appanna e lascia un sapore amaro e doloroso dopo aver finito di ascoltare il racconto della Passione. In questa celebrazione sembrano incrociarsi storie di gioia e di sofferenza, di errori e di successi che fanno parte del nostro vivere quotidiano come discepoli, perché riesce a mettere a nudo sentimenti e contraddizioni che oggi appartengono spesso anche a noi, uomini e donne di questo tempo: capaci di amare molto… e anche di odiare – e molto –; capaci di sacrifici valorosi e anche di saper “lavarcene le mani” al momento opportuno; capaci di fedeltà ma anche di grandi abbandoni e tradimenti.
E si vede chiaramente in tutta la narrazione evangelica che la gioia suscitata da Gesù è per alcuni motivo di fastidio e di irritazione.
Gesù entra in città circondato dalla sua gente, circondato da canti e grida chiassose. Possiamo immaginare che è la voce del figlio perdonato, quella del lebbroso guarito, o il belare della pecora smarrita che risuonano forti in questo ingresso, tutti insieme. E’ il canto del pubblicano e dell’impuro; è il grido di quello che viveva ai margini della città. E’ il grido di uomini e donne che lo hanno seguito perché hanno sperimentato la sua compassione davanti al loro dolore e alla loro miseria… E’ il canto e la gioia spontanea di tanti emarginati che, toccati da Gesù, possono gridare: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». Come non acclamare Colui che aveva restituito loro la dignità e la speranza? E’ la gioia di tanti peccatori perdonati che hanno ritrovato fiducia e speranza. E questi gridano. Gioiscono. E’ la gioia.
Questa gioia osannante risulta scomoda e diventa assurda e scandalosa per quelli che si considerano giusti e “fedeli” alla legge e ai precetti rituali. Gioia insopportabile per quanti hanno bloccato la sensibilità davanti al dolore, alla sofferenza e alla miseria. Ma tanti di questi pensano: “Guarda che popolo maleducato!”. Gioia intollerabile per quanti hanno perso la memoria e si sono dimenticati di tante opportunità ricevute. Com’è difficile comprendere la gioia e la festa della misericordia di Dio per chi cerca di giustificare sé stesso e sistemarsi! Com’è difficile poter condividere questa gioia per coloro che confidano solo nelle proprie forze e si sentono superiori agli altri!
E così nasce il grido di colui a cui non trema la voce per urlare: “Crocifiggilo!”. Non è un grido spontaneo, ma il grido montato, costruito, che si forma con il disprezzo, con la calunnia, col provocare testimonianze false. E’ il grido che nasce nel passaggio dal fatto al resoconto, nasce dal resoconto. E’ la voce di chi manipola la realtà e crea una versione a proprio vantaggio e non ha problemi a “incastrare” altri per cavarsela. Questo è un [falso] resoconto. Il grido di chi non ha scrupoli a cercare i mezzi per rafforzare sé stesso e mettere a tacere le voci dissonanti. E’ il grido che nasce dal “truccare” la realtà e dipingerla in maniera tale che finisce per sfigurare il volto di Gesù e lo fa diventare un “malfattore”. E’ la voce di chi vuole difendere la propria posizione screditando specialmente chi non può difendersi. E’ il grido fabbricato dagli “intrighi” dell’autosufficienza, dell’orgoglio e della superbia che proclama senza problemi: “Crocifiggilo, crocifiggilo!”.
E così alla fine si fa tacere la festa del popolo, si demolisce la speranza, si uccidono i sogni, si sopprime la gioia; così alla fine si blinda il cuore, si raffredda la carità. E’ il grido del “salva te stesso” che vuole addormentare la solidarietà, spegnere gli ideali, rendere insensibile lo sguardo… Il grido che vuole cancellare la compassione, quel “patire con”, la compassione, che è la debolezza di Dio.
Di fronte a tutte queste voci urlate, il miglior antidoto è guardare la croce di Cristo e lasciarci interpellare dal suo ultimo grido. Cristo è morto gridando il suo amore per ognuno di noi: per giovani e anziani, santi e peccatori, amore per quelli del suo tempo e per quelli del nostro tempo. Sulla sua croce siamo stati salvati affinché nessuno spenga la gioia del vangelo; perché nessuno, nella situazione in cui si trova, resti lontano dallo sguardo misericordioso del Padre. Guardare la croce significa lasciarsi interpellare nelle nostre priorità, scelte e azioni. Significa lasciar porre in discussione la nostra sensibilità verso chi sta passando o vivendo un momento di difficoltà.
Fratelli e sorelle, che cosa vede il nostro cuore? Gesù continua a essere motivo di gioia e lode nel nostro cuore oppure ci vergogniamo delle sue priorità verso i peccatori, gli ultimi, e i dimenticati?
E a voi, cari giovani, la gioia che Gesù suscita in voi è per alcuni motivo di fastidio e anche di irritazione, perché un giovane gioioso è difficile da manipolare. Un giovane gioioso è difficile da manipolare!
Ma esiste in questo giorno la possibilità di un terzo grido: «Alcuni farisei tra la folla gli dissero: “Maestro, rimprovera i tuoi discepoli”; ed Egli rispose: “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre”» (Lc 19,39-40).Far tacere i giovani è una tentazione che è sempre esistita. Gli stessi farisei se la prendono con Gesù e gli chiedono di calmarli e farli stare zitti.
Ci sono molti modi per rendere i giovani silenziosi e invisibili. Molti modi di anestetizzarli e addormentarli perché non facciano “rumore”, perché non si facciano domande e non si mettano in discussione. “State zitti voi!”. Ci sono molti modi di farli stare tranquilli perché non si coinvolgano e i loro sogni perdano quota e diventino fantasticherie rasoterra, meschine, tristi.In questa Domenica delle Palme, celebrando la Giornata Mondiale della Gioventù, ci fa bene ascoltare la risposta di Gesù ai farisei di ieri e di tutti i tempi, anche quelli di oggi: «Se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40).
Cari giovani, sta a voi la decisione di gridare, sta a voi decidervi per l’Osanna della domenica così da non cadere nel “crocifiggilo!” del venerdì… E sta a voi non restare zitti. Se gli altri tacciono, se noi anziani e responsabili – tante volte corrotti – stiamo zitti, se il mondo tace e perde la gioia, vi domando: voi griderete?Per favore, decidetevi prima che gridino le pietre.
Avvenire ha pubblicato i commenti scritti da un gruppo di giovani sulle stazioni della Via Crucis del Colosseo:
Venerdì 30 marzo si svolgerà la Via Crucis al Colosseo, presieduta da papa Francesco. I testi delle meditazioni sulle 14 stazioni sono stati scritti da 15 giovani tra i 16 e i 27 anni.
Due, quindi, sono le principali novità di quest'anno: la prima riguarda l’età degli autori (nove sono studenti del liceo di Roma Pilo Albertelli); la seconda consiste nella dimensione “corale” di questo lavoro.
I giovani si sono riuniti intorno a un tavolo e, leggendo i testi della Passione di Cristo secondo i quattro Vangeli, si sono messi davanti alla scena della Via Crucis e l’hanno “vista”. Dopo la lettura ognuno dei ragazzi si è espresso dicendo quale particolare della scena lo avesse colpito. E così è stato più semplice assegnare le singole stazioni.
Tre verbi segnano lo sviluppo di questi testi: vedere, poi incontrare, infine pregare.
Quando si è giovani si vuole vedere il mondo, vedere tutto. La scena del Venerdì Santo è potente, anche nella sua atrocità: vederla può spingere alla repulsione oppure alla misericordia e, quindi, ad andare incontro. Proprio come fa Gesù nel Vangelo, che nell'ultimo giorno incontra Pilato, Erode, i sacerdoti, le guardie, sua madre, il Cireneo, le donne di Gerusalemme, i due ladroni suoi ultimi compagni di strada.
Quando si è giovani ogni giorno si ha l’occasione di incontrare qualcuno, e ogni incontro è nuovo, sorprendente. Si invecchia quando non si vuole più vedere nessuno, quando si ha paura di cambiare, perché incontrare vuol dire cambiare, essere pronti a rimettersi in cammino con occhi nuovi.
Vedere e incontrare spinge, infine, a pregare perché la vista e l’incontro generano la misericordia, anche in un mondo che sembra sprovvisto di pietà e in un giorno come questo, abbandonato all’ira insensata, alla viltà e alla pigrizia distratta degli uomini.

I stazione - Gesù è condannato a morte
(redatta Valerio De Felice)

Ti vedo, Gesù, di fronte al Governatore, che per tre volte tenta di contrastare la volontà del popolo e infine sceglie di non scegliere, di fronte alla folla, che per tre volte viene interrogata e sempre decide contro di te. La folla, cioè tutti, cioè nessuno. Nascosto nella massa l’uomo smarrisce la propria personalità, è la voce di altre mille voci. Prima di rinnegare te, rinnega se stesso, disperdendo la propria responsabilità in quella fluttuante della moltitudine senza volto. Eppure è responsabile. Sviato dai sobillatori, dal Male che si propaga con voce subdola e assordante, è l’uomo a condannarti.Oggi noi inorridiamo di fronte a una tale ingiustizia, e vorremmo prenderne distanza. Ma così facendo dimentichiamo tutte le volte in cui noi per primi abbiamo scelto di salvare Barabba anziché te. Quando il nostro orecchio è stato sordo alla chiamata del Bene, quando abbiamo preferito non vedere l’ingiustizia davanti a noi.In quella piazza gremita, sarebbe stato sufficiente che un solo cuore dubitasse, che una sola voce si alzasse contro le mille voci del Male. Ogni volta che la vita ci porrà davanti a una scelta, ricordiamoci di quella piazza e di quell’errore. Concediamo ai nostri cuori di dubitare e imponiamo alla nostra voce di levarsi.

II stazione - Gesù è caricato della croce(Maria Tagliaferri e Margherita Di Marco)

Ti vedo, Gesù, coronato di spine, mentre accogli la tua croce. La accogli, come sempre hai accolto tutto e tutti. Ti caricano del legno, pesante, ruvido, ma tu non ti ribelli, non butti via quello strumento di tortura ingiusto e ignobile. Lo prendi su di te e cominci a camminare portandolo sulle spalle. Quante volte mi sono ribellata e arrabbiata contro gli incarichi che ho ricevuto, che ho avvertito come pesanti o ingiusti. Tu non fai così. Sei solo di qualche anno più grande di me, oggi si direbbe che sei ancora giovane, ma sei docile, e prendi sul serio quello che la vita ti offre, ogni occasione che ti si presenta, come se volessi andare fino in fondo alle cose e scoprire che c’è sempre qualcosa di più di quello che appare, un significato nascosto e sorprendente. Grazie a te comprendo che questa è croce di salvezza e di liberazione, croce di sostegno nell’inciampo, giogo leggero, fardello che non grava. Dallo scandalo della morte del Figlio di Dio, morte da peccatore, morte da malfattore, nasce la grazia di riscoprire nel dolore la resurrezione, nella sofferenza la tua gloria, nell’angoscia la tua salvezza. La stessa croce, simbolo per l’uomo di umiliazione e dolore, si rivela ora, per grazia del tuo sacrificio, come una promessa: da ogni morte risorgerà la vita e in ogni buio risplenderà la luce. E possiamo esclamare: “Ave o croce, unica speranza!”.

III stazione -Gesù cade per la prima volta(Caterina Benincasa)

Ti vedo, Gesù, sofferente mentre percorri la via verso il Calvario, carico del nostro peccato. E ti vedo cadere, con le mani e le ginocchia a terra, dolorante. Con quanta umiltà sei caduto! Quanta umiliazione provi ora! La tua natura di vero uomo si vede chiaramente in questo frammento della tua vita. La croce che porti è pesante; avresti bisogno di aiuto, ma quando cadi a terra nessuno ti soccorre, anzi, gli uomini si prendono gioco di te, ridono di fronte all’immagine di un Dio che cade. Forse sono delusi, forse si sono fatti un’idea sbagliata di te. A volte pensiamo che avere fede in te significhi non cadere mai nella vita. Insieme a te cado anch’io, e con me le mie idee, quelle che avevo su di te: quanto erano fragili!
Ti vedo, Gesù, che stringi i denti e, completamente abbandonato all’amore del Padre, ti rialzi e riprendi il tuo cammino. Con questi primi passi verso la croce, così titubanti, Gesù, mi ricordi un bambino che muove i primi passi verso la vita e perde l’equilibrio e cade e piange, ma poi continua. Si affida alle mani dei genitori e non si ferma; ha paura ma va avanti, perché alla paura sopravviene la fiducia.
Con il tuo coraggio ci insegni che i fallimenti e le cadute non devono mai arrestare il nostro cammino e che abbiamo sempre una scelta: arrenderci o rialzarci con te.

IV stazione - Gesù incontra sua madre(Agnese Brunetti)

Ti vedo, Gesù, quando incontri tua madre. Maria è lì, cammina per la strada affollata, ci sono molte persone accanto a lei. L’unica cosa che la distingue dagli altri è il fatto che lei è lì per accompagnare suo figlio. Una situazione che si verifica quotidianamente: le mamme accompagnano i figli a scuola, o dal medico, o li portano con sé al lavoro. Maria però si distingue dalle altre mamme: lei sta accompagnando suo figlio a morire. Vedere il proprio figlio morire è la sorte peggiore che si possa augurare ad una persona, la più innaturale; ancora più atroce se il figlio, innocente, sta morendo per mano della giustizia. Che scena innaturale e ingiusta davanti ai miei occhi! Mia madre mi ha educato al senso della giustizia e ad avere fiducia nella vita, ma quello che oggi i miei occhi vedono non ha nulla di questo, è privo di senso, ed è pieno di dolore.
Ti vedo, Maria, mentre guardi il tuo povero ragazzo: ha i segni della flagellazione sulla schiena ed è costretto a sopportare il peso della croce, probabilmente presto cadrà sotto di essa per la fatica. Eppure sapevi che, prima o poi, sarebbe successo, ti era stato profetizzato, ma ora che è accaduto è tutto diverso; ed è sempre così, siamo sempre impreparati di fronte alla vita, alla sua crudezza. Maria, ora sei triste, come lo sarebbe qualunque donna al tuo posto, ma non sei disperata. I tuoi occhi non sono spenti, non guardano nel vuoto, tu non cammini a testa bassa. Sei splendente anche nella tua tristezza, perché hai speranza, sai che quello di tuo figlio non sarà un viaggio di sola andata e sai, lo senti, come solo le mamme lo sentono, che lo rivedrai presto.

V stazione -Simone di Cirene aiuta Gesù a portare la croce
(Chiara Mancini)

Ti vedo, Gesù, schiacciato sotto il peso della croce. Vedo che non ce la fai da solo; proprio nel momento dello sforzo maggiore, sei rimasto solo, non ci sono quelli che si dicevano tuoi amici: Giuda ti ha tradito, Pietro ti ha rinnegato, gli altri abbandonato. Ma ecco un incontro improvviso, un tale, un uomo qualunque, che forse di te aveva sentito parlare eppure non ti aveva seguito, e invece ora è qui, al tuo fianco, spalla a spalla, a condividere il tuo giogo. Si chiama Simone ed è uno straniero che viene da lontano, da Cirene. Per lui oggi un imprevisto, che si rivela un incontro.
Sono infiniti gli incontri e gli scontri che viviamo ogni giorno, soprattutto noi ragazzi che entriamo continuamente in contatto con realtà nuove, nuove persone. Ed è nell’incontro inaspettato, nell’incidente, nella sorpresa spiazzante che è nascosta l’opportunità di amare, di riconoscere il meglio nel prossimo, anche quando ci sembra diverso.
Talvolta ci sentiamo come te, Gesù, abbandonati da quanti credevamo nostri amici, sotto un peso che ci schiaccia. Ma non dobbiamo dimenticare che c’è un Simone di Cirene pronto a prendere la nostra croce. Non dobbiamo dimenticare che non siamo soli, e da questa consapevolezza possiamo trarre la forza per farci carico della croce di chi abbiamo accanto.
Ti vedo, Gesù: ora sembra che provi un po’ di sollievo, riesci per un attimo a respirare, ora che non sei più solo. E vedo Simone: chissà se ha sperimentato che il tuo giogo è leggero, chissà se si rende conto di cosa significa quell’imprevisto nella sua vita.

VI stazione - Veronica asciuga il volto di Gesù
(Cecilia Nardini)

Ti vedo, Gesù, misero, quasi irriconoscibile, trattato come l’ultimo degli uomini. Cammini a stento verso la tua morte con il volto sanguinante e sfigurato, anche se come sempre mite ed umile, rivolto verso l’alto. Una donna si fa spazio tra la folla per scorgere da vicino quel tuo volto che, forse, tante volte aveva parlato alla sua anima e che lei aveva amato. Lo vede sofferente e lo vuole aiutare. Non la fanno passare, sono tanti, troppi, e armati. Ma a lei tutto questo non importa, è determinata a raggiungerti e riesce per un attimo a toccarti, accarezzarti con il suo velo. La sua è la forza della tenerezza. I vostri occhi si incrociano per un attimo, il volto nel volto dell’altro.
Quella donna, Veronica, di cui non sappiamo nulla, non ne conosciamo la storia, si guadagna il Paradiso con un semplice gesto di carità. Ti si avvicina, osserva il tuo volto straziato e lo ama ancor più di prima. Veronica non si ferma all’apparenza, oggi tanto importante nella nostra società delle immagini, ma ama incondizionatamente un volto brutto, non curato, non truccato e imperfetto. Quel volto, il tuo volto, Gesù, proprio nella sua imperfezione mostra la perfezione del tuo amore per noi.

VII stazione - Gesù cade per la seconda volta
(Francesco Porceddu)

Ti vedo, Gesù, cadere ancora davanti ai miei occhi. Cadendo ancora mi dimostri di essere un uomo, un vero uomo. E vedo che ti rialzi nuovamente, più deciso di prima. Non ti rialzi con superbia; non c’è orgoglio nel tuo sguardo, c’è amore. E nel proseguire il tuo cammino, rialzandoti dopo ogni caduta, annunci la tua Risurrezione, dimostri di essere pronto a caricare ancora una volta e per sempre, sulle tue spalle sanguinanti, il peso del peccato dell’uomo.
Cadendo ancora ci hai mandato un chiaro messaggio di umiltà, sei caduto a terra, su quell’humus da cui siamo nati noi “umani”. Siamo terra, siamo fango, siamo niente in confronto a te. Ma tu hai voluto diventare come noi, e ora ti mostri vicino a noi, con le stesse nostre fatiche, le stesse nostre debolezze, con lo stesso sudore della nostra fronte. Ora anche tu, in questo venerdì, come capita anche a noi, sei prostrato dal dolore. Ma tu hai la forza di andare avanti, non hai paura delle difficoltà che puoi incontrare, e sai che alla fine della fatica c’è il Paradiso; ti rialzi per dirigerti proprio lì, per aprirci le porte del tuo regno. Uno strano re sei, un re nella polvere.
Sento una vertigine: noi non siamo degni di paragonare le nostre fatiche e le nostre cadute alle tue. Le tue sono un sacrificio, il sacrificio più grande che i miei occhi e tutta la storia potrà mai vedere.

VIII stazione - Gesù incontra le donne di Gerusalemme
(Sofia Russo)

Ti vedo e ti ascolto, Gesù, mentre parli alle donne che incontri lungo la tua strada verso la morte. In tutte le tue giornate sei passato incontrando tante persone, sei andato incontro e hai parlato con tutti. Ora parli con le donne di Gerusalemme che ti vedono e piangono. Anch’io sono una di quelle donne. Ma tu, Gesù, nel tuo ammonimento usi parole che mi colpiscono, sono parole concrete e dirette; a primo impatto possono apparire dure e severe perché schiette. Oggi, infatti, siamo abituati ad un mondo fatto di giri di parole, una fredda ipocrisia vela e filtra ciò che vogliamo realmente dire; gli ammonimenti si evitano sempre di più, si preferisce lasciare l’altro al proprio destino, non curandosi di sollecitarlo per il suo bene.
Mentre tu, Gesù, parli alle donne come un padre, anche rimproverandole; le tue parole sono parole di verità e arrivano immediate con il solo scopo della correzione, non del giudizio. E’ un linguaggio diverso dal nostro, tu parli sempre con umiltà e arrivi dritto al cuore.
In questo incontro, l’ultimo prima della croce, emerge ancora una volta il tuo amore senza misura verso gli ultimi e gli emarginati; le donne infatti, a quel tempo, non erano considerate degne di essere interpellate, mentre tu, nella tua gentilezza, sei veramente rivoluzionario.

IX stazione - Gesù cade per la terza volta
(Chiara Bartolucci)

Ti vedo, Gesù, mentre cadi per la terza volta. Due volte già sei caduto e due volte ti sei rialzato. Non ci sono più limiti alla fatica e al dolore, ormai sembri definitivamente sconfitto, in questa terza e ultima caduta. Quante volte, nella vita di tutti i giorni, ci capita di cadere! Cadiamo così tante volte che perdiamo il conto, ma speriamo sempre che ogni caduta sia l’ultima, perché ci vuole il coraggio della speranza per affrontare la sofferenza. Quando uno cade tante volte, alla fine le forze crollano e le speranze svaniscono definitivamente.Mi immagino accanto a te, Gesù, nel percorso che ti sta conducendo alla morte. È difficile pensare che proprio tu sia il Figlio di Dio. Qualcuno ha già provato ad aiutarti ma ormai sei sfinito, sei fermo, paralizzato e sembra che non riuscirai più ad andare avanti. Ma ecco che improvvisamente vedo che ti rialzi, raddrizzi le gambe e la schiena, per quanto sia possibile con una croce sulle spalle, e riprendi a camminare, di nuovo. Sì, stai andando a morire, ma vuoi farlo fino in fondo. Forse questo è l’amore. Ciò che capisco è che non importa quante volte cadremo, ci sarà sempre l’ultima, forse la peggiore, la prova più terribile in cui siamo chiamati a trovare la forza per arrivare alla fine del percorso. Per Gesù la fine è la crocifissione, l’assurdo della morte, ma che rivela un significato più profondo, uno scopo più alto, quello di salvarci tutti.

X stazione - Gesù è spogliato delle vesti
(Greta Giglio)

Ti vedo, Gesù, nudo, come non ti ho mai visto. Ti hanno privato delle vesti, Gesù, e se le stanno giocando a dadi. Agli occhi di questi uomini hai perso l’unico brandello di dignità che ti era rimasto, l’unico oggetto che possedevi in questo tuo cammino di sofferenza. All’inizio dei tempi, tuo Padre aveva cucito degli abiti per gli uomini, per rivestirli di dignità; ora, degli uomini te li strappano di dosso. Ti vedo, Gesù, e vedo un giovane migrante, corpo distrutto che arriva in una terra troppo spesso crudele, pronta a togliergli la veste, unico suo bene, e a venderla; a lasciarlo così con la sua sola croce, come la tua, con la sua sola pelle martoriata, come la tua, con i suoi soli occhi grandi di dolore, come i tuoi.
Ma c’è qualcosa che gli uomini spesso dimenticano riguardo alla dignità: essa si trova sotto la tua pelle, è parte di te e sarà sempre con te, e ancor di più in questo momento, in questa nudità.
La stessa nudità con cui veniamo alla luce è quella con cui la terra ci accoglie alla sera della vita. Da una madre all’altra. E ora qui, su questa collina, c’è anche tua madre, che ti vede di nuovo nudo.
Ti vedo e comprendo la grandezza e lo splendore della tua dignità, della dignità di ogni uomo, che nessuno potrà mai cancellare.

XI stazione - Gesù è inchiodato alla croce
(Greta Sandri)

Ti vedo, Gesù, spogliato di tutto. Hanno voluto punire te, innocente, inchiodandoti al legno della croce. Che cosa avrei fatto io al posto loro, avrei avuto il coraggio di riconoscere la tua, la mia verità? Tu hai avuto la forza di sopportare il peso di una croce, di non essere creduto, di essere condannato per le tue parole scomode. Oggi non riusciamo a digerire una critica, come se ogni parola fosse pronunciata per ferirci.
Tu non ti sei fermato neanche di fronte alla morte, hai creduto profondamente nella tua missione e ti sei fidato di tuo Padre. Oggi, nel mondo di Internet, siamo così condizionati da tutto ciò che circola in rete che a volte dubito anche delle mie parole. Ma le tue parole sono diverse, sono forti nella tua debolezza. Tu ci hai perdonato, non hai portato rancore, hai insegnato a porgere l’altra guancia e sei andato oltre, fino al sacrificio totale della tua persona.
Mi guardo intorno e vedo occhi fissi sullo schermo del telefono, impegnati sui social network ad inchiodare ogni errore degli altri senza possibilità di perdono. Uomini che, in preda all’ira, urlano di odiarsi per i motivi più futili.
Guardo le tue ferite e sono consapevole, ora, che io non avrei avuto la tua forza. Ma sono seduta qui ai tuoi piedi, e mi spoglio anch’io di ogni esitazione, mi alzo da terra per poter essere più vicina a te, anche solo di qualche centimetro.

XII stazione - Gesù muore in croce
(Dante Monda)

Ti vedo, Gesù, e questa volta non ti vorrei vedere. Stai morendo. Eri bello da guardare quando parlavi alle folle, ma ora tutto è finito. E io non voglio vedere la fine; troppe volte ho girato lo sguardo dall’altra parte, mi sono quasi abituato a fuggire il dolore e la morte, mi sono anestetizzato.
Il tuo grido sulla croce è forte, straziante: non eravamo pronti a tanto tormento, non lo siamo, non lo saremo mai. Fuggiamo d’istinto, in preda al panico, di fronte alla morte e alla sofferenza, le rifiutiamo, preferiamo guardare altrove o chiudere gli occhi. Invece tu resti lì in croce, ci aspetti a braccia aperte, aprendoci gli occhi.
È un mistero grande, Gesù: ci ami morendo, essendo abbandonato, donando il tuo spirito, compiendo la volontà del Padre, ritirandoti. Tu resti in croce, e basta. Non provi a spiegare il mistero della morte, del consumarsi di tutte le cose, fai di più: lo attraversi con tutto il tuo corpo e il tuo spirito. Un mistero grande, che continua ad interrogarci e ad inquietarci; ci sfida, ci invita ad aprire gli occhi, a saper vedere il tuo amore anche nella morte, anzi a partire proprio dalla morte. È lì che ci hai amati: nella nostra più vera condizione, ineliminabile e inevitabile. È lì che cogliamo, seppure ancora in modo imperfetto, la tua presenza viva, autentica. Di questo, sempre, avremo sete: della tua vicinanza, del tuo essere Dio con noi.

XIII stazione - Gesù è deposto dalla croce
(Flavia De Angelis)

Ti vedo, Gesù, ancora lì, sulla croce. Un uomo in carne ed ossa, con le sue fragilità, con le sue paure. Quanto hai sofferto! E’ una scena insostenibile, forse proprio perché è intrisa di umanità: è questa la parola chiave, la cifra del tuo cammino, costellato di sofferenza e di fatica. Proprio quell’umanità che spesso dimentichiamo di riconoscere in te e di ricercare in noi stessi e negli altri, troppo presi da una vita che spinge sull’acceleratore, ciechi e sordi di fronte alle difficoltà e al dolore altrui.
Ti vedo, Gesù: ora non sei più lì, sulla croce; sei tornato da dove sei venuto, adagiato sul grembo della terra, sul grembo di tua madre. Ora la sofferenza è passata, svanita. Questa è l’ora della pietà. Nel tuo corpo senza vita riecheggia la forza con cui hai affrontato la sofferenza; il senso che sei riuscito a darle si riflette negli occhi di chi è ancora lì e ti è rimasto accanto e sempre rimarrà al tuo fianco nell’amore, donato e ricevuto. Si apre per te, per noi, una nuova vita, quella celeste, all’insegna di ciò che resiste e non viene spezzato dalla morte: l’amore. Tu sei qui, con noi, in ogni istante, in ogni passo, in ogni incertezza, in ogni ombra. Mentre l’ombra del sepolcro si allunga sul tuo corpo disteso tra le braccia di tua madre, io ti vedo e ho paura ma non dispero, ho fiducia che la luce, la tua luce, tornerà a risplendere.

XIV stazione - Gesù è collocato nel sepolcro
(Marta Croppo)

Non ti vedo più, Gesù, ora è buio. Cadono ombre lunghe dalle colline, e le lanterne dello Shabbat brulicano in Gerusalemme, fuori dalle case e nelle stanze. Battono contro le porte del cielo, chiuso e inespugnabile: per chi è tanta solitudine? Chi in una notte tale può dormire? Risuona la città dei pianti dei bambini, dei canti delle madri, delle ronde dei soldati: muore questo giorno, e solo tu ti sei addormentato. Dormi? E su quale giaciglio? Quale coperta ti nasconde al mondo?
Da lontano Giuseppe di Arimatea ha seguito i tuoi passi, e ora in punta di piedi ti accompagna nel sonno, ti sottrae agli sguardi degli indignati e dei malvagi. Un lenzuolo avvolge il tuo freddo, asciuga il sangue e il sudore e il pianto. Dalla croce precipiti, ma con leggerezza. Giuseppe ti issa sulle spalle, ma lieve tu sei: non porti il peso della morte, non dell’odio, né del rancore. Dormi come quando nella paglia tiepida eri avvolto e un altro Giuseppe ti teneva in braccio. Come allora non c’era posto per te, non hai adesso dove posare il capo: ma sul Calvario, sulla dura cervice del mondo, lì cresce un giardino dove ancora nessuno è stato mai sepolto.
Dove te ne sei andato, Gesù? Dove sei sceso, se non nel profondo? Dove, se non nel luogo ancora inviolato, nella cella più angusta? Nei nostri stessi lacci sei preso, nella nostra stessa tristezza sei imprigionato: come noi hai camminato sulla terra, e ora al di sotto della terra come noi ti fai spazio.
Vorrei correre lontano, ma dentro di me tu sei; non devo uscire a cercarti, perché alla mia porta tu bussi.

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