II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO: "Venite e vedrete!"
La fede in Gesù Cristo si trasmette attraverso
testimoni autorevoli come Giovanni Battista:
- Capaci di indicarlo presente nel mondo;
- Capaci di presentarlo come “l’agnello di Dio”[1]
- Capace di perdere i “suoi” discepoli per lasciarli diventare discepoli del Cristo (non attira a sé, ma cerca di fargli incontrare Lui).
Ma richiede anche la disponibilità a seguire le
sue indicazioni.
La fede richiede insomma un incontro personale,
un’esperienza di vita spirituale: abbiamo mai fatto dei ritiri o pellegrinaggi,
magari in luoghi speciali come i santuari? Abbiamo speso del tempo per
ascoltare qualche testimone che ci parla di Gesù e della sua esperienza
personale? Abbiamo vissuto delle adorazioni prolungate, magari davanti a Gesù
Eucaristia o dei momenti di preghiera “speciali” in cui ci siamo lasciati
andare vincendo le resistenze interiori?
Spesso sono queste delle occasioni concrete per
incontrare personalmente il Cristo, per stare con Lui.
L’incontro cambia la vita: diventa talmente
importante da restarti in mente anche l’ora in cui è avvenuto (per i primi
discepoli erano le 16 del pomeriggio).
Io? Come tanti di voi sono cresciuto in ambienti
parrocchiali e non ricordo un momento speciale che ha cambiato la mia vita.
Ricordo tanti momenti, soprattutto in occasioni di ritiri e di campi estivi. Sono
legato a luoghi speciali come Assisi e Lourdes; devo molto a tanti uomini e
donne di Dio che – lo vedevi nei loro occhi e lo sentivi nelle loro parole – mi
hanno parlato di Gesù come di una persona viva, della loro esperienza con Lui
come di qualcosa che ha reso migliore la loro vita.
Noi rischiamo di fermarci alle cose che sappiamo
di Lui: parliamo (“per sentito dire”) di Lui più che parlare con Lui. E’
possibile parlare con Lui e la preghiera dovrebbe essere proprio un dialogo
intimo e personale con Lui: ascolto silenzioso della sua presenza e affidamento
filiale e fraterno. Non solo: incontrarlo personalmente (il che non esclude la
comunità che è un canale fondamentale per entrare in dialogo con Lui) cu rende
migliori: più forti, più buoni, più luminosi, più contenti.
La prima lettura ci ricorda inoltre che il primo
passo è di Dio: Lui chiama ciascuno di noi. Ci ha chiamati alla vita nel
momento della nascita e, da allora, ci chiama ad amare coloro che ci mette
accanto: la vocazione all’amore è la vocazione che tutti abbiamo. Amando
possiamo conoscere Dio che è Amore, che è la fonte dell’Amore.
Ma chiama anche personalmente: ciascuno per nome,
come ha fatto con il giovane Samuele. Ci chiama, ma spesso la sua voce non è
facilmente udibile, è sovrastata da voci più forti, da preoccupazioni,
passioni, interessi che ci distraggono. La sua voce non è “umana”: la sentiamo
dentro come un calore, un’intuizione, una luce interiore.
Samuele ha avuto bisogno delle istruzioni dell’anziano
Eli: abbiamo tutti bisogno di imparare da chi ne sa più di noi come riconoscere
la voce di Dio e come rispondergli: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti
ascolta”. E’ una “risposta” che assomiglia ad una parola d’ordine con cui lo
autorizziamo a parlarci: perché Dio è delicato, non si impone, è come se ci
chiedesse il permesso per stare con noi, rispetta i nostri tempi, anche i
nostri rifiuti. Per questo Gesù chiede spesso, come nel Vangelo di oggi: “che
cercate?”; o in altre occasioni: “che volete che io faccia per voi?”, “Cosa
desiderate veramente da me?”. Forse presi da tante altre cose, accecati da tante
altre luci abbaglianti (e artificiali), non chiediamo nulla a Dio e non ci
rivolgiamo veramente a Lui. Forse ci ricordiamo di Lui solo nei momenti più
difficili e allora lo preghiamo attendendoci che Lui faccia quello che vogliamo
noi. Ma Dio non ci salva dalla croce (Lui ci è morto), ma ci salva nella croce,
attraverso la sofferenza accolta e offerta. Forse non ci donerà la salute, ma
ci donerà sicuramente la forza per affrontare la malattia, ci dona un senso,
una prospettiva, una speranza che non viene meno. Ci dona fratelli che agiscono
per Lui e con Lui e attraverso i quali ci mostra la sua attenzione, la sua
cura, il suo amore.
Forse però può arrivare anche per noi il momento
per chiedergli: “Dove abiti?”, ovvero: dove e come possiamo incontrarti? E
sentirci rispondere: “Venite e vedrete”, cioè: fidatevi e seguitemi, vi
indicherò la strada, vi offrirò le occasioni per farmi conoscere e stare con
voi, in voi.
Faremo così finalmente anche noi un’esperienza
illuminante ed entusiasmante di Gesù, vivremo insieme con Lui esperienze
intense di vita e diventeremo a nostra volta suoi mediatori capaci di
coinvolgere e convincere altri nostri fratelli per condividere anche con loro
un’esperienza capace di cambiarti in bene la vita.
P. Stefano Liberti
[1] Giovanni Battista ci offre una definizione/indicazione per noi strana
(l'AGNELLO di Dio), ma ricca di allusioni bibliche:
- come "AGNELLO MANSUETO" (cf. Isaia):
l'agnello, nella Bibbia, è il simbolo della non violenza, della mansuetudine,
dell'innocenza. In Gesù Dio si mostra
come un Dio umile e mite, che non incute paura, piuttosto TENEREZZA (come il
bambinello contemplato a Natale), che non può fare mai del male, piuttosto chiede
accoglienza.
Mentre il mondo crede nella forza della violenza per affermare se stessi e
le proprie idee, Gesù incarna e insegna la forza della mitezza, l'unica che
alla fine risulta davvero vittoriosa ("Io ho vinto il mondo!").
- come "AGNELLO SACRIFICALE": con Gesù scompare il
rito dell'offrire sacrifici (animali e, ahime, umani) di comunione e/o di
riconciliazione.
Davanti a Dio non si andava a mani vuote, si offriva un dono che esprimeva
il desiderio di riconciliazione e di comunione con Dio. E l'agnello era
l'animale più comune da sacrificare:
quello che rimandava alla CENA PASQUALE, all’evento di LIBERAZIONE dalla
schiavitù d’Egitto preceduto dall’evento di SALVEZZA espresso dal SANGUE
dell’agnello asperso negli architravi e stipiti delle porte: salvezza dalla
morte portata dall’angelo distruttore.
> Gesù è l’agnello il cui sangue ci libera dalla morte del peccato e ci
apre il cammino verso la terra promessa, verso il Regno di Dio, verso la beatitudine
da lui promessa e concessa.
> Gesù è l’unico sacrificio gradito a Dio: il Signore non chiede più
sacrifici all'uomo, ma sacrifica se stesso; non pretende la tua vita, offre la
sua; non spezza nessuno, spezza se stesso; non prende niente, dona tutto.
> Gesù, ci dice Giovanni, è sacrificato nel giorno della Parasceve,
quello in cui venivano macellati gli agnellini destinati alla cena pasquale;
sacrificato senza che fosse spezzato osso: integro, come doveva essere
l’agnello.
> Gesù è il sacrificio (lett.: fatto sacro, azione sacra) che toglie il
PECCATO DEL MONDO: non al plurale, ad indicare i nostri sbagli frutti di
fragilità e limiti umani che possono essere sostenuti, ma non eliminati e
continueranno a ferire e a ferirci. E’ al singolare, ad indicare il peccato per
eccellenza, ovvero il rifiuto di Dio che è amore, il bestemmiare lo Spirito che
è comunione, opponendosi a Lui: Gesù è venuto a donare amore a chi era senza
amore e si era chiuso, incattivito, a chi non crede nell’amore.
> Gesù è l’agnello TRIONFANTE descritto nell’Apocalisse, colui che ci
manda come “agnelli in mezzo ai lupi”, che ci invita ad estirpare il male con
la mitezza.
Noi, i discepoli, siamo coloro che seguono l'agnello (Ap 14,4). Se questo
seguire lo intendiamo in un'ottica sacrificale, il cristianesimo diventa
immolazione, diminuzione, sofferenza. Ma se capiamo che la vera imitazione di
Gesù è amare quelli che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare
ciò che lui rifiutava, toccare quelli che lui toccava e come lui li toccava,
con la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza, e non avere paura, e non
fare paura, e liberare dalla paura, allora sì lo seguiamo davvero, impegnati
con lui a togliere via il peccato del mondo, a togliere respiro e terreno al
male, ad opporci alla logica sbagliata del mondo, a guarirlo dal disamore che
lo intristisce.