L'intervista risale a metà dicembre scorso, ma credo che sia interessante leggerla. L'autore dell'intervista è don Mauro Leonardi che collabora, in questo caso, con Novella 2000, rivista non propriamente ecclesiale. L'intervistato è Gialuigi Nuzzi, giornalista e scrittore di fortunate inchieste sugli scandali nella Chiesa, come l'ultimo suo libro, "Peccato originale" (2017, Chiare Lettere).
Gianluigi Nuzzi, lei ha scritto libri di grandissimo successo nei quali si parla di peccati, soprattutto da parte di uomini di Chiesa: come l’ultimo Peccato Originale per Chiarelettere. C’è chi la vorrebbe scomunicare, c’è chi avverte la sua fede e la sua fiducia in Papa Francesco. Ha mai pensato: “qui ho esagerato, lì era meglio se tacevo perché ho coinvolto persone innocenti?”
“Per quanto riguarda i libri sul Vaticano, no. Perché ho sempre lavorato con estrema prudenza, essendo argomenti molto delicati. Uno perché coinvolgono le persone nella fede, che è un patrimonio preziosissimo di ciascuno; due, perché i miei sono argomenti nuovi per la gente. Non siamo abituati a parlare degli aspetti finanziari, economici o di potere di quel mondo, in genere infatti ci concentriamo sugli indirizzi pastorali del Pontefice o anche sul bene che la Chiesa fa, per fortuna, spesso e soprattutto. Quindi io ho sempre avuto una misura. Non sono mai andato oltre quello che si evinceva dai documenti, dalle testimonianze, che ho raccolto in questi ultimi dieci anni. Su questo, devo dire, sono veramente tranquillo.”
Su altro invece?
“Be’, ho fatto anche qualche errore significativo. Una volta ho scritto all’interno di un lunghissimo articolo che l’architetto che aveva realizzato un certo edificio, era morto: ma non era vero. Oppure, più di recente, ho parlato in televisione di “Giulianova Marche” al posto di Giulianova: e il sindaco di Giulianova si è risentito perché il suo paese è in Abruzzo e non nelle Marche. In entrambi i casi ho riconosciuto pubblicamente l’errore e mi sono detto disponibile a rimediare. Insomma io credo che se una persona fa degli errori non dovrebbero esserci problemi ad ammettere di avere sbagliato.”
Si tratta comunque di sviste. Lei ha l’aspetto e la fama da duro. Le è mai capitato di trattare male i suoi collaboratori, o pressarli a ritmi di lavoro troppo intensi?
“Dovrebbe chiederlo a chi lavora con me. È vero che scelgo persone che dentro vivono “il sacro fuoco dell’amore per la notizia” e chi ha questa passione fa spontaneamente delle rinunce, dei sacrifici. Io non amo i giornalisti con le tessere in tasca, non importa di quale tipo: può essere una loggia massonica, un partito politico, un gruppo di riferimento.”
Sposato, con due figli: non ha nulla da rimproverarsi come padre? Non pensa a volte di dedicare troppo poco tempo ai suoi cari?
“Sono figlio di genitori separati. Quando ero giovane, dire di avere i genitori separati era come dire di avere una colpa: lo si diceva con grande pudore perché la separazione era un’anomalia rispetto al tessuto sociale comune. Ecco, lei mi chiede se provo sensi di colpa e sì, ho un senso di colpa: rispetto alla separazione dei miei genitori io mi sono troppo crogiolato, ho fatto troppo la vittima. A scuola studiavo meno perché “poverino, ho i genitori separati”: poi mi sono accorto che me ne approfittavo e, devo dire, mi sono fatto anche un po’ schifo per questo. Quindi può accadere di non avere dei genitori perfetti però credo sia sbagliato che i figli pretendano questa perfezione. Ci sono due cose nella vita che dobbiamo imparare da soli: a camminare e ad educare i nostri figli. Siamo bombardati di informazioni in gran parte superflue ma su qualcosa che è davvero importante, e cioè come camminare ed educare chi viene dopo di noi, nessuno c’insegna. Quindi, tornando alla sua domanda, per me è difficile capire se sono o no un buon genitore. Io do ma do le cose giuste? C’è una educazione da dare, ci sono dei valori, ma vorrei dare sempre di più. E quando sto via non torno con un regalo gigantesco. Serve solo a te per non sentirsi in colpa del fatto che non c’eri. Le racconto un fatto vero. Io credo di essere stato il primo giornalista a parlare con la vedova del prefetto Parisi. La casa era tappezzata delle foto del marito e lei viveva nel ricordo del marito. Mi disse: mio marito non c’era quasi mai, ma quando c’era si dedicava completamente a noi. Ecco: io vorrei riuscire ad essere così.”
Lei da ragazzo ha visto la morte in faccia: che rapporto ha con la morte?
“Io sono credente, sempre che il Signore mi voglia nella sua casa. Io ho visto la morte in faccia più volte, non solo da ragazzo. Da giovane, la morte è un evento improbabile, a quarant’anni diventa una realtà brutale: ti muore un amico che lascia dei bimbi e tu rimani traumatizzato ma ancora non ti riguarda. Poi, a cinquanta sessant’anni comincia a fare capolino il pensiero e diventa una voce del tuo personalissimo bilancio. Dovremmo arrivare a guardare la morte con serenità. Dovremmo essere persone così risolte da accogliere la morte con un sorriso perché nella vita abbiamo dato e ricevuto il massimo.
Si dice uomo di fede, ma i suoi libri indagano senza sconti nel mondo ecclesiastico, da molti sono visti come un attacco alla Chiesa.
“La Chiesa è formata “anche” da santi ma per lo più è formata da uomini. E credo che in un mondo normale, un cronista che scopre le cose che non vanno, che le segnala, debba essere visto come un aiuto dato per accelerare certi cambiamenti. Buttare via il bambino con l’acqua sporca sarebbe miope, stupido. Questo credo fermamente, ed è ciò che arriva ai miei lettori, dandomi grande soddisfazione. Loro sanno che io non faccio libri anticlericali. Il successo che hanno i miei libri deriva proprio dal fatto che non sono “a tesi”, io non sono “un militante”. Io non sono contro la Chiesa: è contro la Chiesa chi fa le cose che io racconto e magari le fa in nome del Vangelo.”