V domenica di Quaresima: IO SONO LA RESURREZIONE E LA VITA
Siamo all'ultima tappa del cammino
quaresimale (domenica prossima è la domenica delle palme, quella che apre la
settimana santa), quella che allude e anticipa la meta: la morte e resurrezione
di Gesù.
Chi
è LAZZARO? Il
Vangelo ci dice poco, ma ci dice l’essenziale: il nome significa “aiuto/amico è
Dio”, ha due sorelle, Marta e Maria. Sono amici di Gesù che si ferma a casa
loro dove si sente accolto, fra amici speciali.
Lazzaro è “colui che Gesù ama”, come
ciascuno di noi (ma ognuno in maniera personale e particolare).
Gesù
viene chiamato in aiuto:
Lazzaro rischia di morire. Il messaggio delle sorelle è una preghiera di
intercessione che sembra non trovare risposta: non sempre Dio agisce come e
quando noi ci aspettiamo. Una storiella molto nota può aiutare a capire:
Storiella del naufragoUn uomo è seduto sul tetto della casa sepolta sotto l’acqua a causa di un’inondazione. L’acqua lambiva il tetto quando arrivarono i soccorsi su una barca. Raggiunsero l’uomo a fatica e urlarono: “Buttati nella barca!”. “No”, rispose, “Dio mi salverà”. L’acqua continuava a salire, costringendolo ad arrampicarsi sempre più alto. Nonostante l’impeto della corrente, arrivò un’altra barca. Di nuovo venne scongiurato di saltare dal tetto e di nuovo rispose: “No, Dio mi salverà, sto pregando e Dio mi salverà”. L’acqua continuò a salire e si ritrovò immerso fino al collo. Arrivò un elicottero. Si fermò sopra di lui per issarlo a bordo. L’uomo rifiutò ancora: “Dio mi salverà”. L’acqua continuò a salire e l’uomo annegò. Arrivato in paradiso si lamentò con Dio: “Perché non mi hai salvato?”. “L’ho fatto”, rispose Dio; “ti ho mandato due barche e un elicottero”.
Noi abbiamo un’idea di salvezza e di
giustizia e ci meravigliamo che Dio la pensi e agisca diversamente, come nel Vangelo
in questione.
Così sia Marta che Maria
rimproverano Gesù quando questi arriva in ritardo: “Signore, se tu fossi
stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Un rimprovero che è anche quello
nostro, quando la morte afferra una persona cara: “Perché Signore? Perché proprio
lui/lei?...”. Ma Marta ha anche fede: “Ma anche ora so che qualunque cosa tu
chiederai a Dio, te la concederà”. E’ convinta che dove c’è Gesù non possa
regnare la morte, che Lazzaro sia morto perché lui era lontano.
Marta
è chiamata a fare
un percorso di fede: crede nella resurrezione finale, ma è ancora una fede
vaga. Gesù si presenta come “la resurrezione e la vita: chi crede in me, anche
se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. Marta si
fida: “Si, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui
che viene nel mondo”.
Maria esprime con le lacrime il dolore
per la perdita del fratello. Ama Gesù e crede in lui: si inginocchia davanti a
lui, ma non dà segni di una fede che possa vincere la sua sofferenza. E’
bloccata da un inconsolabile dolore. Il suo pianto è condiviso dalla gente e
dallo stesso Gesù che “scoppia in pianto”, “commosso profondamente”. Ha
sentimenti umanissimi che non lo lasciano indifferente al nostro dolore.
Arrivato alla tomba di Lazzaro,
chiede prima che sia tolta la pietra che chiude il sepolcro e poi, a
resurrezione avvenuta, che gli si tolgano le bende che lo bloccano. Il
linguaggio simbolico ci fa pensare al “CUORE DI PIETRA”, alla morte interiore e
spirituale, alla pietre che ci bloccano come morti, pietre che sono le paure, i
peccati, le abitudini nocive.
Abbiamo bisogno che Gesù
- ci faccia uscire dalle nostre
prigioni (“vieni fuori”). Pasqua = uscita
- trovi qualcuno che ci liberi da ciò
che ci blocca (“liberatelo”)
- e ci rimetta in cammino (“…e
lasciatelo andare”).
La vita è tale solo se siamo liberi
e in cammino. E’ una morte se siamo schiavi e fermi.
Vorrei che potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno: Pasqua è la festa dei macigni rotolati. Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all'imboccatura dell'anima che non lascia filtrare l'ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l'altro.E' il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell'odio, della disperazione del peccato. Siamo tombe alienate. Ognuno con il suo sigillo di morte. (don Tonino Bello)
Gesù è resurrezione e vita e non,
come potremo pensare, vita e resurrezione: per vivere in pieno (oggi e sempre),
abbiamo bisogno di chi ci rialzi da una vita spenta, che si è arresa.
Coraggio, fratelli che siete avviliti, stanchi, sottomessi ai potenti che abusano di voi. Coraggio, disoccupati. Coraggio, giovani senza prospettive, amici che la vita ha costretto ad accorciare sogni a lungo cullati. Coraggio, gente solitaria, turba dolente e senza volto. Coraggio, fratelli che il peccato ha intristito, che la debolezza ha infangato, che la povertà morale ha avvilito.Il Signore è Risorto proprio per dirvi che, di fronte a chi decide di "amare", non c'è morte che tenga, non c'è tomba che chiuda, non c'è macigno sepolcrale che non rotoli via. (don Tonino Bello)
Il
Signore Risorto ci liberi dall’idea che la morte sia la fine di una persona, la
fine di una relazione: l’amore è più forte della morte e la vita in Dio non ha
mai fine.
***
Scrive A. Grun:
***
Scrive A. Grun:
L'affermazione di Gesù «Io sono la risurrezione» ha acquistato per me un nuovo significato grazie al romanzo Delitto e castigodel russo Dostoevskij. Dostoevskij ha posto il testo biblico della risurrezione di Lazzaro come motto all'inizio del suo romanzo. Sonja, che è diventata prostituta a causa della sua povertà, legge il racconto della risurrezione di Lazzaro all'assassino Raskolnikov. Nel romanzo Sonja stessa diventa Gesù, che chiama Lazzaro e Io invita a uscire dalla tomba. Con il suo amore, Sonja scioglie il cuore di pietra dell'assassino e risveglia in lui sentimenti dimenticati. Trasforma il prigioniero isolato, pri\ o di rapporti con gli altri, che tratta i suoi compagni di prigionia in modo burbero, poco affabile, in un uomo affettuoso, pieno d'amore. Trovo coraggioso il fatto di aver scelto Sonja, una donna, per incarnare la figura di Gesù. Sonja, la prostituta, vive nella sua vita il mistero di Gesù risurrezione. Di Raskolnikov scrive Dostoevskij: «Egli era risuscitato e lo sapeva, lo sentiva in tutto e per tutto con il suo nuovo essere, lei però — lei sì — viveva soltanto in lui». Quando l'amore di una donna risveglia alla vita un uomo o, viceversa, l'amore di un uomo risveglia alla vita una donna, si ha la risurrezione; in quel momento, diventa evidente cosa intende Gesù quando dice «Io sono la risurrezione». Gesù è la sorgente dell'amore di Sonja, un amore che non si è lasciato intimorire dalla durezza e dal rifiuto, durato anni interi, dell'assassino. Sonja ha percepito nell'amore di Gesù la forza della risurrezione, tanto da riuscire a risvegliare alla vita e all'amore l'uomo chiuso in se stesso, ostile a qualsiasi rapporto con gli altri.
Osserva la tua vita: in qual misura puoi parlare di vita autentica e in quale misura di vuoto e routine? Che cosa rende la tua vita degna di essere vissuta? Quando nella tua vita hai fatto esperienza della risurrezione? Che cosa ti ha fatto uscire dal tuo torpore, risvegliandoti alla vita? Che cosa ti ha fatto uscire dalla tomba della tua paura e della tua rassegnazione? Quando sei risuscitato dalla tua mancanza di rapporti umani? È probabile che in tutte queste esperienze di risurrezione tu non abbia mai pensato a Gesù. Tuttavia - ce lo dice il vangelo di Giovanni - quando risuscitiamo dalla morte alla vita, incontriamo Gesù, anche se non lo vediamo, anche se non pensiamo a lui. Quando nella tua vita si ha la risurrezione, Gesù è in te, Gesù risuscita dentro di te.(Nuovi volti di Gesù, pp. 114-116)
Icona di Teofane il Greco (1546) – Monastero Stavronikita, Monte Athos - Grecia
La resurrezione di Lazzaro, riferita solo dall'Evangelo di San Giovanni (11,1-45), è letta nell'eucarestia della V Domenica di Quaresima. L'episodio che preannuncia il Cristo che risorgerà, è simbolo, inoltre, della Creazione nuova che sta per sorgere dal sepolcro glorioso del Cristo: tutto si avvererà allorché dal sepolcro si eleverà il Cristo, e con lui e per lui tutti i viventi saranno portati a risorgere. Come nell'evangelo il racconto di questo prodigio arriva alla sua pratica conclusione senza cercare minimamente di soddisfare inutili curiosità su dettagli accidentali così anche nell'icona tutto rimane immortalato nella solennità, come di solito accade nei vangeli. La scena è attentamente riprodotta, ben equilibrata, aderente all'essenziale; ciò che caratterizza questa icona è la densità della composizione e la forza del movimento. Tutto avviene in primo piano: il gruppo dei discepoli stretti l'uno accanto all'altro con Cristo e il gruppo dei farisei; ai piedi del Signore, Maria e Marta toccano il limite anteriore della scena così come l'uomo che a destra che solleva la pietra. Vicinissimo al primo piano si trova Lazzaro ancora nella tomba. I personaggi, longilinei, hanno spiccato carattere individuale: è accentuato lo stupore dei giudei che avanzano lasciandosi alle spalle la muraglia fortificata mentre l'inquinamento dell'aria che fuoriesce dal sepolcro appena aperto può individuarsi da taluni loro gesti di disgusto; gli apostoli che seguono Gesù, al contrario, sono atteggiati nel compiacimento per il prodigio operato dal Maestro; Marta e Maria, nonostante il viso ancora dolente, si prostrano in adorazione; gli operai (uno o due a seconda del tipo di icona) svolgono impassibili l'incombenza loro assegnata di rimuovere la pietra tombale e sciogliere le bende del resuscitato. La pena di Gesù per l'amico defunto è improntata a forza sovrumana: il braccio è teso nel gesto di comando e di benedizione1, mentre la mano sinistra regge un rotolo pergamenaceo2. Il colore della veste di Gesù è rosso sangue (cremisi) che secondo la tradizione è il colore delle vesti del Messia che annienta i suoi nemici (cfr. Is 63,1-3); così come il mantello che mettono sulle spalle di Gesù durante la passione (cfr. Mt 27,28), perché significa la vita che il Salvatore porta agli uomini con l'effusione del suo sangue (Una parte delle vesti dei martiri è ugualmente rossa, simbolo del sacrifìcio della loro vita).
Lazzaro, ancora compresso dalle bende torna alla vita; il capo emergente dalla fasciatura esprime nella fissità dello sguardo un misto di angoscia per la morte subita e di riconoscenza per l'Amico liberatore. L'icona manifesta la venerazione tributata a Lazzaro, dalla tradizione orientale, nel presentarlo unico, tra i personaggi dell'icona, insieme con Gesù con il capo nimbato. La nota dominante di questa scena è il movimento delle rocce: il monte con due cime, dietro le quali si trova una fortezza appena visibile, contrasta persino con la quiete della rappresentazione. Le masse di pietra si innalzano con leggerezza per volgere le loro cime in una curva in forma di «S»verso lo spettatore. Si ha così l'impressione che giungano in primo piano, come i personaggi. Le forme strane delle rocce e gli altri elementi accennati nella descrizione generale dell'icona (cfr. ad es. tutti i personaggi in primo piano, mancanza di profondità, mancanza di proporzioni, ecc.) ci dicono che tutto è dovuto alla prospettiva inversa. Il principio della prospettiva inversa è semplice: le linee di questa prospettiva non si incontrano in un punto di fuga situato dietro il quadro (come per la prospettiva lineare), ma situato davanti davanti ad esso. In realtà non si può parlare di un sistema con un solo punto di fuga situato nello spettatore, perché nelle icone vi è raramente un solo punto di convergenza e sovente ogni oggetto rappresentato ha una sua propria prospettiva. Analogamente non vi si trova la scala delle altezze che, nella prospettiva lineare, ha la funzione di rappresentare l'estensione dello spazio. Sovente gli oggetti non sono posti in ordine di distanza e dì dimensioni, ma sono posti secondo un principio di composizione e secondo il significato di tali oggetti nella scena rappresentata. Pertanto non vi è profondità all'interno della rappresentazione: lo spazio è ridotto, si estende verso lo spettatore. In tal modo le linee di forza sono invertite: vengono avanti dall'interno dell'immagine verso lo spettatore. In tal senso l'icona è il contrario di una pittura del Rinascimento: non è una finestra attraverso la quale lo spirito umano deve penetrare nel mondo rappresentato, ma è un luogo di presenza. Nell'icona il mondo rappresentato irradia verso colui che si apre a riceverlo: nella prospettiva inversa è attivo lo spazio, non colui che guarda.
1 -Il gesto della mano benedicente racchiude al tempo stesso l'insegnamento della verità eterna del Dio in tre persone e indica la misericordia divina incarnatasi nel verbo.
Così insegna a rappresentare la mano di Cristo il Manuale di pittura del Monte Athos: «Allorché raffigurate la mano benedicente, non unite insieme le dita, ma piegate il pollice verso il quarto dito, di modo che il dito indice resti diritto e il terzo, il medio un pòcurvatoaformareilnomediG esù (IC).
Infatti il 2° dito indica una I (iota) e il terzo forma una C (sigma). Il pollice verrà incrociato con il quarto dito, e il quinto sarà a sua volta un pò curvo a formare il nome di Cristo(XC); infatti l'incrocio del pollice e del 4°ditoforma laX(chi),e il mignolo una C(sigma).
Così, perla divina Provvidenza del Creatore, le dita della mano dell'uomo, di varia lunghezza, sono disposte in modo da poter rappresentare il nome del Cristo».
2 -L'Ermeneutica della pittura così prescrive: «Cristo, in piedi di fronte (a Lazzaro), con una mano lo benedice e con l'altra tiene un rotolo sul quale è scritto: "Lazzaro, vieni fuori"».
La resurrezione di Lazzaro, riferita solo dall'Evangelo di San Giovanni (11,1-45), è letta nell'eucarestia della V Domenica di Quaresima. L'episodio che preannuncia il Cristo che risorgerà, è simbolo, inoltre, della Creazione nuova che sta per sorgere dal sepolcro glorioso del Cristo: tutto si avvererà allorché dal sepolcro si eleverà il Cristo, e con lui e per lui tutti i viventi saranno portati a risorgere. Come nell'evangelo il racconto di questo prodigio arriva alla sua pratica conclusione senza cercare minimamente di soddisfare inutili curiosità su dettagli accidentali così anche nell'icona tutto rimane immortalato nella solennità, come di solito accade nei vangeli. La scena è attentamente riprodotta, ben equilibrata, aderente all'essenziale; ciò che caratterizza questa icona è la densità della composizione e la forza del movimento. Tutto avviene in primo piano: il gruppo dei discepoli stretti l'uno accanto all'altro con Cristo e il gruppo dei farisei; ai piedi del Signore, Maria e Marta toccano il limite anteriore della scena così come l'uomo che a destra che solleva la pietra. Vicinissimo al primo piano si trova Lazzaro ancora nella tomba. I personaggi, longilinei, hanno spiccato carattere individuale: è accentuato lo stupore dei giudei che avanzano lasciandosi alle spalle la muraglia fortificata mentre l'inquinamento dell'aria che fuoriesce dal sepolcro appena aperto può individuarsi da taluni loro gesti di disgusto; gli apostoli che seguono Gesù, al contrario, sono atteggiati nel compiacimento per il prodigio operato dal Maestro; Marta e Maria, nonostante il viso ancora dolente, si prostrano in adorazione; gli operai (uno o due a seconda del tipo di icona) svolgono impassibili l'incombenza loro assegnata di rimuovere la pietra tombale e sciogliere le bende del resuscitato. La pena di Gesù per l'amico defunto è improntata a forza sovrumana: il braccio è teso nel gesto di comando e di benedizione1, mentre la mano sinistra regge un rotolo pergamenaceo2. Il colore della veste di Gesù è rosso sangue (cremisi) che secondo la tradizione è il colore delle vesti del Messia che annienta i suoi nemici (cfr. Is 63,1-3); così come il mantello che mettono sulle spalle di Gesù durante la passione (cfr. Mt 27,28), perché significa la vita che il Salvatore porta agli uomini con l'effusione del suo sangue (Una parte delle vesti dei martiri è ugualmente rossa, simbolo del sacrifìcio della loro vita).
Lazzaro, ancora compresso dalle bende torna alla vita; il capo emergente dalla fasciatura esprime nella fissità dello sguardo un misto di angoscia per la morte subita e di riconoscenza per l'Amico liberatore. L'icona manifesta la venerazione tributata a Lazzaro, dalla tradizione orientale, nel presentarlo unico, tra i personaggi dell'icona, insieme con Gesù con il capo nimbato. La nota dominante di questa scena è il movimento delle rocce: il monte con due cime, dietro le quali si trova una fortezza appena visibile, contrasta persino con la quiete della rappresentazione. Le masse di pietra si innalzano con leggerezza per volgere le loro cime in una curva in forma di «S»verso lo spettatore. Si ha così l'impressione che giungano in primo piano, come i personaggi. Le forme strane delle rocce e gli altri elementi accennati nella descrizione generale dell'icona (cfr. ad es. tutti i personaggi in primo piano, mancanza di profondità, mancanza di proporzioni, ecc.) ci dicono che tutto è dovuto alla prospettiva inversa. Il principio della prospettiva inversa è semplice: le linee di questa prospettiva non si incontrano in un punto di fuga situato dietro il quadro (come per la prospettiva lineare), ma situato davanti davanti ad esso. In realtà non si può parlare di un sistema con un solo punto di fuga situato nello spettatore, perché nelle icone vi è raramente un solo punto di convergenza e sovente ogni oggetto rappresentato ha una sua propria prospettiva. Analogamente non vi si trova la scala delle altezze che, nella prospettiva lineare, ha la funzione di rappresentare l'estensione dello spazio. Sovente gli oggetti non sono posti in ordine di distanza e dì dimensioni, ma sono posti secondo un principio di composizione e secondo il significato di tali oggetti nella scena rappresentata. Pertanto non vi è profondità all'interno della rappresentazione: lo spazio è ridotto, si estende verso lo spettatore. In tal modo le linee di forza sono invertite: vengono avanti dall'interno dell'immagine verso lo spettatore. In tal senso l'icona è il contrario di una pittura del Rinascimento: non è una finestra attraverso la quale lo spirito umano deve penetrare nel mondo rappresentato, ma è un luogo di presenza. Nell'icona il mondo rappresentato irradia verso colui che si apre a riceverlo: nella prospettiva inversa è attivo lo spazio, non colui che guarda.
1 -Il gesto della mano benedicente racchiude al tempo stesso l'insegnamento della verità eterna del Dio in tre persone e indica la misericordia divina incarnatasi nel verbo.
Così insegna a rappresentare la mano di Cristo il Manuale di pittura del Monte Athos: «Allorché raffigurate la mano benedicente, non unite insieme le dita, ma piegate il pollice verso il quarto dito, di modo che il dito indice resti diritto e il terzo, il medio un pòcurvatoaformareilnomediG
Infatti il 2° dito indica una I (iota) e il terzo forma una C (sigma). Il pollice verrà incrociato con il quarto dito, e il quinto sarà a sua volta un pò curvo a formare il nome di Cristo(XC); infatti l'incrocio del pollice e del 4°ditoforma laX(chi),e il mignolo una C(sigma).
Così, perla divina Provvidenza del Creatore, le dita della mano dell'uomo, di varia lunghezza, sono disposte in modo da poter rappresentare il nome del Cristo».
2 -L'Ermeneutica della pittura così prescrive: «Cristo, in piedi di fronte (a Lazzaro), con una mano lo benedice e con l'altra tiene un rotolo sul quale è scritto: "Lazzaro, vieni fuori"».