Abbiamo ascoltato il racconto della Passione di Cristo. Si tratta in sostanza del resoconto di una morte violenta. Notizie di morti, e di morti violente, non mancano quasi mai dai notiziari serali. Anche in questi ultimi giorni ne abbiamo ascoltate, come quella dei 38 cristiani copti uccisi in Egitto la domenica delle Palme. Queste notizie si susseguono con tale rapidità da farci dimenticare ogni sera quelle del giorno prima. Perché allora, dopo 2000 anni, il mondo ricorda ancora, come fosse avvenuta ieri, la morte di Cristo? È che questa morte ha cambiato per sempre il volto della morte; essa ha dato un senso nuovo alla morte di ogni essere umano. Su di essa riflettiamo qualche istante.
“Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua” (Gv 19, 33-34). All’inizio del suo ministero, a chi gli domandava con quale autorità egli cacciasse i mercanti dal tempio, Gesù rispose: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. “Egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2, 19. 21), aveva commentato Giovanni in quella occasione, ed ecco che ora lo stesso evangelista ci attesta che dal fianco di questo tempio “distrutto” sgorgano acqua e sangue. È un’allusione evidente alla profezia di Ezechiele che parlava del futuro tempio di Dio, dal fianco del quale sgorga un filo d’acqua che diventa prima un ruscello, poi un fiume navigabile e intorno a cui fiorisce ogni forma di vita (cf. Ez 47, 1 ss.)...
Che cosa rappresenta la croce...? Essa è il “No” definitivo e irreversibile di Dio alla violenza, all’ingiustizia, all’odio, alla menzogna, a tutto quello che chiamiamo “il male”; ed è contemporaneamente il “Si” altrettanto irreversibile all’amore, alla verità, al bene. “No” al peccato, “Si” al peccatore. È quello che Gesú ha praticato in tutta la sua vita e che ora consacra definitivamente con la sua morte.
La ragione di questa distinzione è chiara: il peccatore è creatura di Dio e conserva la sua dignità, nonostante tutti i propri traviamenti; il peccato no; esso è una realtà spuria, aggiunta, frutto delle proprie passioni e della “invidia del demonio” (Sap 2, 24). È la stessa ragione per cui il Verbo, incarnandosi, ha assunto tutto dell’uomo, eccetto il peccato. Il buon ladrone, a cui Gesú morente promette il paradiso, è la dimostrazione vivente di tutto ciò. Nessuno deve disperare; nessuno deve dire, come Caino: “Troppo grande è la mia colpa per ottenere il perdono” (Gen 4, 13)...
La storia umana conosce molte passaggi da un’era all’altra: si parla dell’età della pietra, del bronzo, del ferro, dell’età imperiale, dell’era atomica, dell’era elettronica. Ma oggi c’è qualcosa di nuovo. L’idea di transizione non basta più a descrivere la realtà in atto. All’idea di mutazione si deve affiancare quella di frantumazione. Viviamo, è stato scritto, in una società “liquida”; non ci sono più punti fermi, valori indiscussi, nessuno scoglio nel mare, a cui aggrapparci, o contro cui magari sbattere. Tutto è fluttuante...
È stato detto che “uccidere Dio è il più orrendo dei suicidi”, ed è quello che in parte stiamo vedendo. Non è vero che “dove nasce Dio, muore l’uomo” (J.-P. Sartre); è vero il contrario: dove muore Dio, muore l’uomo.
Un pittore surrealista della seconda metà del secolo scorso (Salvador Dalì) ha dipinto un crocifisso che sembra una profezia di questa situazione. Una croce immensa, cosmica, con sopra un Cristo, altrettanto monumentale, visto dall’alto, con il capo reclinato verso il basso. Sotto di lui, però, non c’è la terra ferma, ma l’acqua. Il Crocifisso non è sospeso tra cielo e terra, ma tra il cielo e l’elemento liquido del mondo.
Questa immagine tragica (c’è anche, sullo sfondo, una nube che potrebbe alludere alla nube atomica), contiene però anche una consolante certezza: c’è speranza anche per una società liquida come la nostra! C’è speranza, perché sopra di essa “sta la croce di Cristo”...
Sì, Dio è morto, è morto nel Figlio suo Cristo Gesú; ma non è rimasto nella tomba, è risorto...
Cristo non è venuto a spiegare le cose, ma a cambiare le persone...
Cuore di pietra è il cuore chiuso alla volontà di Dio e alla sofferenza dei fratelli, il cuore di chi accumula somme sconfinate di denaro e resta indifferente alla disperazione di chi non ha un bicchiere d’acqua da dare al proprio figlio; è anche il cuore di chi si lascia completamente dominare dalla passione impura, pronto per essa ad uccidere, o a condurre una doppia vita. Per non restare con lo sguardo sempre rivolto all’esterno, agli altri, diciamo più concretamente: è il nostro cuore di ministri di Dio e di cristiani praticanti se viviamo ancora fondamentalmente “per noi stessi” e non “per il Signore”...