IL RISORTO. L’amore non può morire
Da "Il Vangelo dell'amore" (Youcanprint, 2015) di p.Stefano Liberti
Non è una favola, un racconto mitologico o solo
simbolico: Gesù è veramente risorto! Un cadavere è storicamente risorto! E non
è stato facile crederlo neanche per i suoi discepoli. Questi erano scappati,
alcuni lo avevano tradito, rinnegato, gli altri si erano rinchiusi in casa per
paura di fare la stessa fine del Maestro. Alcuni stavano già pensando di
ritornare alle loro case, al loro lavoro, alle loro famiglie. Con tristezza e
angoscia grande sentivano di aver fallito: avevano puntato tutto su chi
credevano potesse cambiare la loro vita e le sorti del loro popolo e avevano
perso. Che delusione! Aveva vinto ancora una volta il male, l’egoismo, il
potere becero e violento di pochi uomini che hanno in pugno una moltitudine di persone.
Secondo Giovanni solo una donna, Maria Maddalena,
spinta da un amore grande, si reca di buon mattino a portare gli aromi nel
sepolcro. Mentre gli uomini pensano più concretamente a salvare la propria pelle
e a riorganizzarsi per il futuro, lei non può dimenticare quanto ha ricevuto e
si sente spinta a rendere omaggio ad un uomo defunto che ha cambiato la sua
vita.
Secondo i Sinottici con lei ci sono altre donne. In
ogni caso tutti concordano che era l’alba del primo giorno della settimana – per
gli ebrei il settimo giorno è il Sabato, giorno sacro – il primo giorno di una
nuova era, quella del Risorto in mezzo a noi, il giorno del sole che diverrà
presto il giorno del Signore[1]. L’alba
indica l’inizio del nuovo giorno, ma anche il fatto che i discepoli sono ancora
nelle tenebre, nell’incertezza, nell’angoscia: non hanno ancora incontrato il
Risorto, sole che non tramonta.
Tutti gli evangelisti concordano inoltre nel
riferire che la pietra che sigillava il sepolcro era spostata. Marco aggiunge
che le tre donne, “entrate nel sepolcro,
videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca” ed esse
“ebbero paura” (Mc 16,5). Matteo
drammatizza ancor più la situazione e parla di un terremoto e di “un angelo del Signore” che “sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la
pietra e si pose a sedere su di essa” (Mt 28,2). Ancora Matteo parla delle
guardie poste davanti al sepolcro che “furono
scosse e rimasero come morte” (v.4), sottintendendo ironicamente come colui
che è morto è vivo, mentre coloro che dovevano vigilare su un sepolcro sono
loro a rimanere come morti. Rivolgendosi alle donne (due, secondo Matteo) l’angelo
le invita a non avere paura e comunica quanto è avvenuto perché condividano
questo annuncio ai discepoli del Signore: “Gesù,
il crocifisso, non è qui. É risorto” (vv.5-6). É quanto, sempre secondo
Matteo, si accingono a fare immediatamente, mentre, stando a Marco “non dissero niente a nessuno, perché erano
impaurite” (Mc 16,8). Originariamente il Vangelo di Marco terminava in
questo modo oscuro e brusco e solo successivamente gli sono state aggiunte due
conclusioni che parlano delle apparizioni del Risorto e armonizzano questo
Vangelo agli altri. Probabilmente Marco voleva mettere in evidenza l’umana
reazione di fronte a tale evento: fuga, spavento e stupore. Stiamo parlando di
qualcosa di inaudito, di irrazionale, di innaturale, qualcosa di troppo grande
da poter accogliere in maniera immediata.
Eppure chi legge sa che la storia non finisce neanche
qui: la storia prosegue con un incendio che divampa in pochi anni per tutto il
Mediterraneo, che coinvolge uomini e donne di ogni condizione, di ogni età, di
ogni religione. Molti di loro sono diventati a loro volta testimoni a prezzo
del loro sangue. Hanno mostrato di credere a tal punto a questo evento da non
potervi rinunciare neanche di fronte alla minaccia di morte. Molti hanno
operato a loro volta prodigi, hanno mostrato un coraggio e una intraprendenza che
probabilmente non credevano neanche loro di possedere. Insomma: il seguito è
noto! Marco mostra come non solo la violenza e la morte non abbiano potuto
fermare il Signore, ma neanche la paura e l’incredulità di queste donne che
temono di essere prese per pazze e visionarie.
Luca parla più genericamente di alcune donne che si
recano al sepolcro e di due uomini che si presentano “a loro in abito sfolgorante” (Lc 24,4) e gli domandano “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?
Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò…” (vv 5-6), perché è la
Scrittura spiegata dal maestro che annunciava già tutto questo. “Ed esse si ricordarono delle sue parole e,
tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo” (vv.8-9). Vengono prese
per folli e gli apostoli non vogliono crederle. “Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto
i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto” (v.12).
Torniamo a Giovanni e a Maria di Magdala: questa ha
visto solo la pietra che sigillava il sepolcro tolta dal suo posto. Pensa che
abbiano rubato il corpo di Gesù, che abbiano anche voluto profanare la sua
tomba. In ogni caso comincia a correre e la corsa diventa contagiosa: dopo di
lei corrono anche Simon Pietro e “l’altro
discepolo, quello che Gesù amava” (Gv 20,2). Quest’ultimo arriva per primo,
ma lascia che sia Pietro ad entrare per primo. Rispetta il primato di Pietro,
scelto da Gesù per guidare la sua Chiesa, mostrando anche un amore che aspetta
che sia l’altro ad avere il primo posto. Pietro entra e “osserva”
“i teli posati là, e il sudario (…) avvolto in un luogo a parte” (vv.6-7).
Constata l’assenza del corpo e forse percepisce che non si tratta di un furto,
ma di qualcosa che non sa ancora spiegare.
“Allora entrò
anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e
credette” (v.8) nella Scrittura che affermava che “egli doveva risorgere dai morti” (v.9).
L’amore di questo discepolo lo rende agile, lo fa
arrivare per primo, mette le ali ai suoi piedi, ma soprattutto lo rende capace
di credere a quello che vede, di comprendere l’incredibile, di andare oltre a
prove povere e ambigue: un sepolcro vuoto, teli e sudario posti lì dove doveva
esserci un defunto. Perché “si può guardare senza vedere: solo chi ama vede
(…). L’amore è principio di fede e di conoscenza”[2].
Pietro si limita a guardare e ancora una volta non
fa una bella figura: i Vangeli che dovrebbero celebrare la Chiesa nascente, non
temono di mostrare il suo capo – prescelto da Gesù – come un testardo
rinnegatore, come un pauroso e ora anche come un incredulo. É l’altro discepolo
a credere all’incredibile: il Signore è veramente Risorto! Un cadavere è ora
vivo per sempre!
La sua è una fede immediata, quasi irrazionale: la
fede di chi ama colui da cui è stato così profondamente amato e per questo
amore riesce a vedere oltre l’apparenza, riesce a vedere in profondità e a
comprendere le Scritture in cui era stato detto che “doveva” (l’imperativo teologico che indica il necessario compimento
della volontà divina) risorgere dai morti. Dovrà apparire il Risorto e questi
donare il suo Spirito, per far comprendere loro ciò che la Scrittura (nel suo
complesso e non tanto in passi particolari) già conteneva.
Una croce e una pietra non sono capaci di bloccare
la potenza di Dio. Il Risorto è qui a dirci di non temere: non esistono croci o
pietre, poteri o sofferenze capaci di toglierci la speranza, di separarci
dall’amore di Gesù Cristo che ha dato la vita per noi perché noi potessimo
vivere per sempre con lui. Non ci è tolta la fatica di credere, di aderire, di
accogliere e di fidarci. Milioni di autentici cristiani sono però qui a
confermarci che dobbiamo e possiamo crederci: hanno sentito, sperimentato,
gustato la presenza del Risorto.
Cristo è veramente Risorto ed è presente in ogni
luogo dove lo si accoglie e lo si celebra, in chiunque apre la propria vita
alla sua presenza, in chi si china sui miseri per condividere la misericordia
ricevuta dal Padre, in chi spezza il pane e la sua vita per gli altri. Chi ama
non muore per sempre, ma entra nel Regno del Padre che è Dio dei viventi. É
l’amore a vincere, il bene a trionfare!
Sì, la nostra fede pasquale non è un mito, una favola, ma
una storia di amore. È la scoperta di un Amante, Dio, che possiede un Amore che
vince la morte: ma questo Amore lo offre anche a noi, perché nella nostre vite
possiamo essere amati e amanti. Guardiamo al Crocifisso risorto perché – come
affermava Riccardo di San Vittore – «ubi
amor, ibi oculus». I nostri occhi siano rivolti al Cristo risorto, l’Amato
che ci rivela una volta per sempre Dio come l’Amante, la Sorgente dell’Amore[3].