Papa Francesco e don Milani
Papa Francesco ha inviato domenica 24 aprile un video messaggio dedicato a don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, alla manifestazione “Tempo di Libri”, a Milano, dove nel pomeriggio è stata presentata l’edizione completa di “Tutte le Opere” del sacerdote, con alcuni inediti, curata dallo storico Alberto Melloni per la collana dei Meridiani Mondadori. Ha anche annunciato che il 20 giugno si recherà a pregare privatamente nelle tombe di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani (il 26 giugno saranno 50 anni dalla sua morte prematura), due preti poco amati dalla gerarchia della Chiesa del loro tempo e ora pienamente riabilitati.
È un atto - scrive Famiglia Cristiana - che ripara un altro atto: la recensione di padre Perego che Civiltà cattolica pubblicò il 20 settembre del 1958 all'uscita di Esperienze pastorali, il primo libro di don Milani, il suo più dirompente e attuale: una stroncatura durissima, quella di Civiltà cattolica, rivista dei Gesuiti, che segnò in quel momento la frattura dell'incomprensione tra don Milani e la Chiesa di Roma, di più tra don Milani e Papa Giovanni XXIII, che, influenzato da quella recensione negativa, prima da patriarca di Venezia e poi da papa qualificò don Lorenzo Milani di "pazzerello scappato di manicomio". Un giudizio durissimo in sé e ancor di più perché veniva dal papa che segnava la svolta nella dottrina sociale della Chiesa a un sacerdote cristiano che con quel libro squarciava alla Chiesa e ai suoi pastori il velo sulla povertà materiale e culturale del suo gregge.Scrive Alessandro Zaccuri su Avvenire:
Video completo del messaggio del PapaA don Mazzolari una sostanziale riabilitazione era toccata già in vita, anche se ormai alla soglia del congedo, con il celebre saluto rivoltogli da Giovanni XXIII durante l’udienza privata del 5 febbraio 1959: il prete che papa Roncalli volle definire allora «tromba dello Spirito Santo nella Bassa Padana» morì poche settimane più tardi, il 12 aprile, all'età di 69 anni. In quello stesso periodo si faceva un gran parlare del giovane priore di Barbiana. Discendente di un’importante famiglia della borghesia ebraica fiorentina, una volta ordinato sacerdote don Milani si era distinto per una serie di iniziative poco gradite alle gerarchie ecclesiastiche. La destinazione a Barbiana, sui monti del Mugello, aveva le caratteristiche di un provvedimento punitivo neppure troppo mascherato, ma da quell'esilio don Lorenzo riuscì a scatenare una rivoluzione niente affatto silenziosa. I temi erano, non a caso, molto prossimi a quelli cari anche a don Mazzolari. L’attenzione al mondo del lavoro, anzitutto, e di conseguenza la preoccupazione appassionata per la scuola, nella prospettiva di una pedagogia concreta, che superasse ogni distinzione di classe e restituisse al figlio del contadino il medesimo diritto di parola che fino a quel momento era stato destinato al figlio del padrone. Sono le istanze che animano i testi più noti di don Milani, Esperienze pastorali del 1958 e Lettera a una professoressa del 1967, eppure non si fatica a trovarne un’eco nelle opere di don Mazzolari, per esempio in quel manifesto di radicalità evangelica che è Gli ultimi, risalente al 1938.Una generazione intera separava i due sacerdoti (nato nel 1923, don Milani morì il 26 giugno 1967), una generazione che per il più anziano aveva comportato l’esperienza della trincea durante la Prima guerra mondiale, e poi l’antifascismo militante, la partecipazione alla Resistenza: nella storia del Novecento pochi episodi sono più commoventi e rivelatori dei mesi passati da don Primo nel paradossale nascondiglio del campanile di Bozzolo durante l’occupazione nazista. Nel 1955, con Tu non uccidere, don Mazzolari si era schierato a favore dell’obiezione di coscienza, segnando la strada della nonviolenza cristiana lungo la quale, poco dopo, si sarebbe incamminato lo stesso don Milani con la vicenda di cui danno testimonianza le pagine raccolte nel proverbiale quanto frainteso L’obbedienza non è più una virtù (1965).La nonviolenza, gli ultimi, il mandato di una Chiesa chiamata a essere «ospedale da campo». La consonanza tra la lezione di questi preti e il magistero di Francesco sarebbe di per sé evidente, ma negli ultimi tempi, quasi ad annunciare il viaggio del giugno prossimo, il Papa non ha perso occasione per ribadirla apertamente. Lo ha fatto nei mesi scorsi, con il breve messaggio autografo che ha accompagnato la pubblicazione di La parola ai poveri, una raccolta di articoli di Mazzolari curata da Leonardo Sapienza per Edb: «Ci farà bene leggere e meditare queste pagine molto attuali di don Primo Mazzolari, sacerdote coraggioso. Lui ci ricorda che i poveri sono la vera ricchezza della Chiesa, i poveri sono l’unica salvezza del mondo!», ha scritto tra l’altro. Parole non dissimili da quelle che Francesco ha voluto affidare domenica al videomessaggio trascritto qui sotto, reso pubblico a Milano nell'ambito della manifestazione Tempo di Libri nel corso della presentazione della nuova e fondamentale edizione di Tutte le opere di don Milani allestita da Alberto Melloni per Mondadori. «La sua inquietudine – ha detto il Papa – non era frutto di ribellione ma di amore e di tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che, talvolta, veniva negata». Una frase che, da sola, consegna al passato ogni pregiudizio negativo e nel contempo spazza via le ingenerose polemiche degli ultimi giorni. È trascorso mezzo secolo dalla morte di don Milani: Barbiana e Bozzolo sono più vicine che mai. E Roma non è lontana.
Il testo integrale:
“Non mi ribellerò mai alla Chiesa perché ho bisogno più volte alla settimana del perdono dei miei peccati, e non saprei da chi altri andare a cercarlo quando avessi lasciato la Chiesa” Così scrisse don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, il 10 ottobre 1958. Vorrei proporre questo atto di abbandono alla Misericordia di Dio e alla maternità della Chiesa come prospettiva da cui guardare la vita, le opere ed il sacerdozio di don Lorenzo Milani. Tutti abbiamo letto le tante opere di questo sacerdote toscano, morto ad appena 44 anni, e ricordiamo con particolare affetto la sua “Lettera ad una professoressa”, scritta insieme con i suoi ragazzi della scuola di Barbiana, dove egli è stato parroco. Come educatore ed insegnante egli ha indubbiamente praticato percorsi originali, talvolta, forse, troppo avanzati e, quindi, difficili da comprendere e da accogliere nell’immediato. La sua educazione familiare, proveniva da genitori non credenti e anticlericali, lo aveva abituato ad una dialettica intellettuale e ad una schiettezza che talvolta potevano sembrare troppo ruvide, quando non segnate dalla ribellione. Egli mantenne queste caratteristiche, acquisite in famiglia, anche dopo la conversione, avvenuta nel 1943 e nell’esercizio del suo ministero sacerdotale. Si capisce, questo ha creato qualche attrito e qualche scintilla, come pure qualche incomprensione con le strutture ecclesiastiche e civili, a causa della sua proposta educativa, della sua predilezione per i poveri e della difesa dell’obiezione di coscienza.Il messaggio di Papa Francesco a "Tempo di libri" su don Lorenzo MilaniLa storia si ripete sempre. Mi piacerebbe che lo ricordassimo soprattutto come credente, innamorato della Chiesa anche se ferito, ed educatore appassionato con una visione della scuola che mi sembra risposta alla esigenza del cuore e dell’intelligenza dei nostri ragazzi e dei giovani. Con queste parole mi rivolgevo al mondo della scuola italiana, citando proprio don Milani: "Amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà. Almeno così dovrebbe essere! Ma non sempre riesce ad esserlo, e allora vuol dire che bisogna cambiare un po’ l’impostazione. Andare a scuola significa aprire la mente ed il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E questo è bellissimo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato ad imparare, ha imparato ad imparare, - è questo il segreto, imparare ad imparare! – questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà! Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano che era un prete: Don Lorenzo Milani" Così mi rivolgevo all’educazione italiana, alla scuola italiana, il 10 maggio 2014. La sua inquietudine, però, non era frutto di ribellione ma di amore e di tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che, talvolta, veniva negata. La sua era un’inquietudine spirituale, alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come “un ospedale da campo” per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati. Apprendere, conoscere, sapere, parlare con franchezza per difendere i propri diritti erano verbi che don Lorenzo coniugava quotidianamente a partire dalla lettura della Parola di Dio e dalla celebrazione dei sacramenti, tanto che un sacerdote che lo conosceva molto bene diceva di lui che aveva fatto “indigestione di Cristo”.Il Signore era la luce della vita di don Lorenzo, la stessa che vorrei illuminasse il nostro ricordo di lui. L’ombra della croce si è allungata spesso sulla sua vita, ma egli si sentiva sempre partecipe del Mistero Pasquale di Cristo, e della Chiesa, tanto da manifestare, al suo padre spirituale, il desiderio che i suoi cari “vedessero come muore un prete cristiano”.La sofferenza, le ferite subite, la Croce, non hanno mai offuscato in lui la luce pasquale del Cristo Risorto, perché la sua preoccupazione era una sola, che i suoi ragazzi crescessero con la mente aperta e con il cuore accogliente e pieno di compassione, pronti a chinarsi sui più deboli e a soccorrere i bisognosi, come insegna Gesù (cf Lc 10, 29-37), senza guardare al colore della loro pelle, alla lingua, alla cultura, all’appartenenza religiosa. Lascio la conclusione, come l’apertura, ancora a don Lorenzo, riportando le parole scritte ad uno dei suoi ragazzi, a Pipetta, il giovane comunista che gli diceva “se tutti i preti fossero come Lei, allora …”, Don Milani rispondeva: “il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, istallato la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perché il regno dei cieli è loro.Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso” (Lettera a Pipetta, 1950) Accostiamoci, allora, agli scritti di don Lorenzo Milani con l’affetto di chi guarda a lui come a un testimone di Cristo e del Vangelo, che ha sempre cercato, nella consapevolezza del suo essere peccatore perdonato, la luce e la tenerezza, la grazia e la consolazione che solo Cristo ci dona e che possiamo incontrare nella Chiesa nostra Madre”.
Vedi anche: Gli «ex eretici» don Milani e don Mazzolari (Vino nuovo)