Enzo Bianchi: articoli recenti
- JESUS (ottobre 2019): "La nostra parola sia umile"
- VITA PASTORALE (ottobre 2019): "Il giudizio di Dio sulle nostre omissioni"Ai nostri giorni siamo invasi dalle parole, dal rumore, dalle chiacchiere, al punto che l’inquinamento sonoro può ormai essere annoverato tra i problemi ecologici. Nella società cacofonica in cui viviamo, inoltre, la parola è diventata quasi uno strumento obbligato per l’affermazione e la celebrazione di se stessi, anche a costo di assumere forme quanto mai aggressive e capaci di ferire: “parole come armi”, si potrebbe dire… Si comprende dunque perché molti avvertano il bisogno del silenzio, vorrebbero cioè imparare a tacere per riscoprire la bellezza del silenzio e, insieme, la bellezza di forme di comunicazione non verbali. Tacere equivale a digiunare verbalmente e il silenzio è paragonabile al digiuno fisico, entrambi salutari quando lo esigono il corpo e la psiche, cioè l’intera persona umana. (...)Vi sono però anche silenzi positivi, irrinunciabili. In primo luogo il silenzio rispettoso della parola dell’altro, ma anche il silenzio scelto nella consapevolezza che “c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare” (Qo 3,7). Un silenzio particolare è quello dell’amicizia e dell’amore: l’amore crea un linguaggio non verbale, molto più eloquente e intenso di qualsiasi parola, linguaggio in cui il silenzio stesso diventa parola. Nasce così quel silenzio di presenza e di pienezza, in cui il semplice stare insieme è fonte di gioia: silenzio che è ascolto amoroso, attento, contemplativo, raccolto; “silenzio sottile” che si fa voce come per Elia sul monte Oreb (cf. 1Re 19,12). Vi è infine il silenzio interiore, nel cuore di ciascuno di noi, per accogliere la presenza degli altri e dell’Altro, Dio: è quella disposizione che scava nel nostro intimo uno spazio per il Signore e consente che la sua Parola prenda dimora in noi. (...)
- Consacrazione e servizio (USMI, ottobre 2019): "Una chiesa sempre più povera"C’è una domanda che spesso mi viene rivolta e che anch’io pongo con frequenza a me stesso: noi, cristiani di oggi, all’inizio del terzo millennio come ci descriviamo? Come vogliamo vivere da cristiani in questa società dell’Europa occidentale multireligiosa e multiculturale? (...)La singolarità della fede cristiana sta tutta in questa “umanizzazione di Dio”: Dio si è fatto uomo, si è fatto carne, cioè corpo, respiro, sensibilità, libertà, parola e gesto. Dio si è fatto veramente uomo! La fede cristiana deve confessare, oggi più che mai, l’umanità, la carne di Gesù Cristo come carne di Dio. Per la maggioranza delle persone Dio è oggi un’espressione ambigua; di fronte alla questione “Dio” c’è indifferenza e, da parte delle nuove generazioni, addirittura diffidenza, perché Dio è spesso assimilato all’intolleranza e all’integralismo religioso. Ebbene, noi cristiani, consapevoli dell’idolatria sempre possibile nelle immagini di Dio, aderiamo a Gesù quale “immagine del Dio invisibile” (Col 1,15); sappiamo che solo attraverso Gesù andiamo a Dio (cf. Gv 14,6) e che solo vedendo Gesù possiamo vedere il Padre (cf. Gv 14,9). Dio si è fatto uomo, e nell’umanità vissuta da Gesù si è fatto conoscere a noi:Gesù ha rivelato Dio perché è stato umanissimo (“Ecce homo!”: Gv 19,5), nella sua vita umana ha tracciato i cammini che ci portano a Dio e, nello stesso tempo, all’umanizzazione autentica.In virtù della rivelazione di Dio fatta da Gesù, la nostra fede confessa che “Dio è amore, carità” (agápe: 1Gv 4,8.16). Da questa fede-fiducia nasce dunque l’amore che noi cristiani dovremmo vivere in mezzo agli altri uomini e donne. È significativo che Gesù non abbia mai cercato un riconoscimento della sua missione e, di conseguenza, della missione dei discepoli, ma abbia offerto un criterio molto semplice: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). L’unico segno dell’essere discepoli di Gesù è costituito dalla capacità di vivere il comandamento dell’amore reciproco, quello ultimo e definitivo lasciatoci da Gesù: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri come io ho vi ho amati” (Gv 13,34). Non basta invocare il Signore (cf. Mt 7,21; Lc 6,46), non basta ascoltare la sua parola né mangiare e bere con lui per essere cristiani (cf. Lc 13,26), ma occorre vivere l’amore, la carità, come Gesù stesso l’ha vissuta “fino all’estremo” (eis télos: Gv 13,1), fino al dono della propria vita nel servizio degli altri. (...)
- Mondo e Missione (ottobre 2019): "Rimettere Gesù al centro" (intervista)Non è certo questa la prima volta in cui mi sento spinto a scrivere sul silenzio e sull’inerzia ecclesiale che appare attestata di fronte alla scomparsa della vita religiosa, soprattutto alla scomparsa delle “suore”, dalle chiese locali del nostro occidente, in special modo nella nostra Europa occidentale.Lancio ancora una volta un grido, pongo delle domande che mi paiono decisive per il volto della chiesa cattolica: che cosa pensa il popolo cristiano di questa scomparsa? Che cosa fanno in primo luogo i vescovi, come reagiscono di fronte al venir meno di una presenza carica di carismi e di diaconie nella comunità cristiana? Perché questa apparente “dolce morte” non sembra preoccupare quanti hanno la responsabilità di compaginare i diversi ministeri, servizi e operazioni nel corpo ecclesiale? Ci rendiamo conto di essere di fronte a un ridimensionamento della vita religiosa che nel prossimo futuro renderà la chiesa precaria? C’è chi pensa che queste domande e sollecitazioni provengano da “profeti di sventura” e siano segnate da pessimismo peccaminoso, in contraddizione con la fede e la speranza cristiana, ma in realtà si tratta solo di avere il coraggio di vedere, di leggere e di fare discernimento in un’ora di “crisi” innegabile, evidente anche e soprattutto nella vita religiosa.Conosciamo bene le diverse statistiche pubblicate. Negli ultimi cinquant’anni gli istituti religiosi hanno perso circa il 40% dei loro membri, l’età media delle suore in Italia si è attestata sui 75 anni e resta significativo un dato pubblicato in un recente libro di Armando Matteo: nel 1950 per ogni seminarista vi erano sette suore nella vita religiosa, mentre oggi la proporzione è di una mezza novizia per ogni seminarista. Conosciamo anche le cause sociali di questa diminutio. Dagli anni ’60 del secolo scorso il nostro modo occidentale è vertiginosamente cambiato: la secolarizzazione ha tolto la centralità alla religione cattolica nella società; una profonda crisi della fede si è innestata in generazioni sempre più incapaci di garantire le condizioni per la trasmissione dell’eredità cristiana; l’affievolirsi dei legami familiari e la riduzione demografica delle nascite rende l’Italia la terra meno feconda in Europa; l’indifferenza verso le forme religiose impoverisce le comunità cristiane… (...)
Le sfide della missione in un mondo globale: inculturazione, dialogo, ecumenismo, salvaguardia del Creato, migranti, ministerialità…Nel Mese missionario straordinario dialogo a tutto campo con Enzo Bianchi, della comunità di Bose, che sabato 5 ottobre interviene al Centro Pime di Milano a un convegno su «Le sfide della missione oggi tra inculturazione e globalizzazione»«Siamo in un momento di grande trapasso in cui ci rendiamo conto che un certo tipo di missione con ogni probabilità non è più sentito come decisivo e fondamentale per la vita della Chiesa. Quindi il fatto che si celebri un mese straordinario e si cerchi di attirare l’attenzione dei fedeli sul tema della missione è assolutamente necessario e urgente». Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, di cui è stato priore sino al gennaio del 2017, si confronta volentieri sulle grandi questioni che interpellano la missione – e i cristiani tutti – nel mondo contemporaneo. Questioni su cui interverrà anche il 5 ottobre al Centro Pime di Milano.Fratel Enzo, che cosa significa oggi l’evangelizzazione ad gentes in un mondo e in una Chiesa “globali”? (...)