XXIX Domenica del Tempo Ordinario/C: "La vedova importuna e la necessità della preghiera fiduciosa"
Come pregare sempre, senza stancarsi? E perchè?
C'è chi ha preso alla lettera questa indicazione come il famoso "pellegrino russo" che, dopo mesi di ricerche, è arrivato alla formulazione di una giaculatoria ("Gesù, mio Salvatore, abbi pietà di me") da ripetere continuamente, facendola diventare parte del respiro.
Pregare sempre non significa continuamente, ma con costanza e perseveranza, con la fiducia di venire ascoltati ed esauditi.
Ma la preghiera non è (solo) dire preghiere: è comunicare con Dio, come con un Padre, come con un amico a cui ci confidiamo e da cui ascoltiamo i consigli. Di cui godiamo e bramiamo semplicemente la presenza.
Soprattutto la preghiera "non è una bacchetta magica" (Papa Francesco) che mi fa ottenere, a forza di insistere, quello che desidero. Quante volte abbiamo pregato chiedendo qualcosa e non lo abbiamo ottenuto. E allora?
La parabola mette in scena una vedova (per l'epoca è una povera donna che è rimasta priva di difesa e di aiuto) a cui qualcuno a fatto un'ingiustizia e un giudice che "non teme Dio e non ha riguardo per alcuno"e che quindi non aveva nessun interesse per esaudire la vedova. Di fronte alle sue insistenze è costretto a cedere: "le farò giustizia perchè non venga continuamente a importunarmi".
Conclude Gesù: "E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui?...Io vi dico che farà loro giustizia prontamente".
In gioco c'è dunque il ricevere prontamente la giustizia. Ma di quale "giustizia" parliamo?
Cosa è giusto per noi? Solo Dio lo sa, solo Dio è capace di attuarlo e di farcelo ottenere: si tratta allora di affidarci a Lui e chiedere (= pregare) di diventare come Lui vuole che io sia, che mi faccia capire quello che vuole per me, che mi dia la forza di fare quello che mi chiede.
La vedova chiede "giustizia contro i suoi avversari".
"I miei avversari" sono innanzitutto interiori, sono dentro di me, è il mio io che reclama di far realizzare i propri istinti non sempre buoni e non sempre volti alla mia reale realizzazione. Questo è il combattimento spirituale col quale io devo convincere il mio io (il Signore non ha bisogno di essere convinto, tanto meno costretto). I miei avversari sono dunque tutto ciò che in me (e fuori di me) si oppone al progetto divino e mi spinge a peccare, cioè cadere, inciampare nel cammino fatto seguendo Dio.
Ma vogliamo veramente vivere come piace al Signore? Ci fidiamo di lasciare a Lui le redini della nostra vita? "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terrà?" Se noi gli chiediamo di guidare la nostra vita (sinceramente e costantemente, senza stancarci) egli ci ascolta prontamente. Ma abbiamo veramente fiducia in Lui? Siamo disposti di dirgli di sì, qualunque cosa ci accada? Siamo disposti a perdere il controllo sulla nostra vita?