Papa Francesco e Trump: due fronti contrapposti?
Il confronto verrà presto fra Trump e papa Bergoglio, solo altro leader in Occidente: lo si pensa anche negli ambienti vicini alla Casa Bianca. Ma papa Francesco è prudente, come si vede nell’intervista a El Paìs: non polemizza con il presidente, aspetta, perché non farà da contraltare a Trump.
Il confronto tra i due si potrebbe spiegare — alcuni lo fanno — come scontro tra un presidente di destra (anche con la ripresa di temi cari ai cattolici, come la lotta all’aborto, fatta nella lettera del vicepresidente Pence alla marcia anti-aborto) e un papa di sinistra. Trump, in uno scontro, potrebbe aggregare settori di cattolici e vescovi americani, legati alle battaglie culturali sui valori non negoziabili. Così s’incuneerebbe all’interno della Chiesa cattolica, indebolendo il Papa e allargando il consenso. Ma le categorie destra/sinistra non spiegano molto.Lo dimostrerebbe l'accordo, non riuscito ai precedenti Papi, di far ritornare nella Chiesa Cattolica i lefebvriani (che sono espressione della destra ecclesiale estrema).
Il confronto con il presidente americano non è solo su scelte politiche, ma su cultura e ideologia, che saranno riprese ovunque a seguito dell’effetto Trump. Il nazionalismo «eccessivo» — avrebbe detto Pio XI tra le due guerre — di Trump va in altro senso rispetto all’universalismo e alla teologia delle nazioni di Wojtyla, ma anche alla visione di Ratzinger. (...) Tale è stato il sentire dei papi del Novecento: l’affermazione della «famiglia delle nazioni» contro l’esasperazione della supremazia dell’uno o l’altro popolo. Francesco è l’erede di questa storia.La Chiesa cattolica americana si è divisa pro-Trump e anti-Trump, ma non al punto da rinunciare all'unità con papa Francesco.
Una voce, circolata alcuni giorni fa, parlava d’incontri diretti tra Trump e qualche cardinale americano non filoBergoglio. Non sembra però fondata. Invece i cardinali statunitensi vicini a Francesco fanno sentire la loro voce con sistematicità sui provvedimenti di Trump. Quello di Chicago, Cupich, ha parlato di «un momento oscuro per la storia degli Stati Uniti». Con lui, i cardinali O’ Malley e Tobin. Quest’ultimo ha stigmatizzato il «rigurgito di massa di fronte a una sorta d’isolazionismo etnico di matrice razziale-bianca…». Si è aggiunto il nuovo presidente dei vescovi americani il card. DiNardo (non un bergogliano, anzi al sinodo sul matrimonio firmò la lettera dei tredici, preoccupati delle procedure e dei cedimenti). DiNardo rivendica il valore dell’accoglienza allo straniero e il legame tra cristiani e musulmani.
Per il Papa, first è il bene comune della famiglia delle nazioni, non l’interesse o la supremazia di una nazione, fosse la più potente e civile. Qui si sentono pulsare le fibre profonde della visione cattolica, che ha resistito a crisi anche in periodi tempestosi.«Donald Trump – scrive Massimo Franco sul Corriere della Sera del 1° febbraio- rischia di favorire una nuova Guerra fredda. Ma non tra Stati Uniti e Russia. La nuova Guerra fredda è quella che sta dichiarando in modo unilaterale il Nord ricco del mondo al Sud povero. E la Chiesa di Francesco dovrà affrontarla con pazienza e lungimiranza».
L’interlocutore vaticano che fissa la sfida tra il presidente statunitense e il primo papa latino-americano conosce bene gli Usa: molto bene. E sa quanto sarà difficile contrastare un vento culturale nel quale la più debole, almeno per il momento, appare la Santa Sede. Anche per questo Jorge Mario Bergoglio non è intervenuto né interverrà: non vuole globalizzare una polemica che sta lacerando l’America e l’Occidente. È lontano quel 18 febbraio di un anno fa, quando di ritorno dal Messico il pontefice definì «non cristiano» chi costruisce muri: un riferimento al Trump candidato repubblicano alla Casa Bianca, che replicò con parole ruvide. Quel personaggio è arrivato alla Casa bianca, anche col voto cattolico. Ha ordinato di costruire il muro di separazione dal Messico. Ma il Vaticano ha affidato la reazione ai vescovi statunitensi e al cardinale ghanese Peter Turkson, il quale ha parlato di preoccupazione «per il segnale che si dà al mondo». L’allarme, però, cresce. E l’offensiva contro l’immigrazione dal Centro e dal Sud America, l’ostilità contro gli islamici, toccano il cuore della strategia di Francesco. «Non aspettatevi uno scontro aperto con Trump, però. Non ci saranno prese di posizione papali, a meno che la situazione non precipiti», si avverte.Infine Matteo Mtzuzzi su Il Foglio, chiama in causa il terzo leader, Putin, visto come l'ago della bilancia:
Ha scritto il vaticanista americano John Allen che se è facile individuare i terreni di possibile scontro tra Donald Trump e Papa Francesco – dalla continuazione della politica sull’innalzamento di muri lungo i confini meridionali degli Stati Uniti alle recenti misure riguardanti l’immigrazione – un punto invece su cui potranno incontrarsi è rappresentato dalla “loro politica riguardo la Russia”. Politica che, per inciso, non trova le rispettive basi troppo entusiaste, con il presidente americano accusato di essere fin troppo accomodante con il Cremlino e il Pontefice che da variegati settori ecclesiastici è considerato il propiziatore di un “eccessivo ecumenismo” (Allen parla di “ecumenical correctness”).