Sulla SPERANZA (E. Ronchi)
Citazioni da "AL MERCATO DELLA SPERANZA", E.
Ronchi (2009)
Speri quando sai e senti:
- che il senso della vita è positivo;
- che (la vita) spinge al futuro ed è per sempre.
La parola “speranza” non ricorre nei Vangeli. I primi discepoli non
sperano, vivono nella presenza ardente. Essa sorge negli Atti degli Apostoli e
in San Paolo, sempre strettamente legata al resistere, al tenere forte la
presa, alla perseveranza, come lampada fedele accesa per il tempo dell’assenza…
Il contrario della speranza non è la disperazione: spesso le due sorelle
arrivano a contatto. Il contrario è non attendersi più nulla dal futuro,
l’apatia, la noia del vivere, l’indifferenza. La religione muore di
indifferenza, non di disperazione, e le chiese non si svuotano perché le
lacrime annegano la fede, ma per tedio. La vera speranza invece è passione e
grido!
Guardo la vita di Gesù e mi accorgo di una cosa sorprendente: quando si
rivolge alla folla o al gruppo dei discepoli usa un linguaggio specifico,
quando invece parla alla singola persona adotta un’altra lingua.
Alle folle, al gruppo di discepoli, quando dice “voi”, Gesù propone
l’ideale esigente, l’obiettivo arduo, la meta più alta: “Siate perfetti come è
perfetto il Padre” (Mt 5,48); “Beati quelli che sono nel pianto” (Mt 5,4);
“Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio” (Mt
5,28). Quando invece incontra la singola persona, ferita o sofferente, Gesù è
solo accoglienza e bontà. Non è buono, è esclusivamente buono! “Neanch’io ti
condanno; và e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11)…
Egli non chiude mai l’uomo dentro la gabbia ferrea dell’ideale, non lo
incatena ai suoi fallimenti, ma lo incoraggia, lo conforta, indica
concretamente un primo passo possibile. A ciascuno propone sempre il primo
movimento di un percorso, indica l’avvio positivo, mostra che in qualsiasi
situazione un passo almeno è possibile, per iniziare a uscire, per non
restare rinchiuso.
Non emette giudizi o condanne, ma indica un gradino da salire. Gesù ha
speranza nell’uomo: per lui nessuno è perduto per sempre; e questo deve dare
speranza a tanti uomini e donne che vivono n situazioni irregolari, sessuali o
matrimoniali, a quanti sono troppi deboli per vivere l’ideale, a quanti non ce
l’hanno fatta a resistere… A tutti il Signore indica un piccolo passo, un primo
gradino, il bene possibile domani, senza condannare e allontanare chi ha storie
accidentate, come facciamo a volte noi, svuotando per anni le speranze di chi
ha molto sofferto.
Come spera un contadino
Dio non ci salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza, non ci toglie
il dolore, ma lo riempie con la sua presenza, per trasformarlo. Non ci tira
fuori delle tempeste, ma ci dà il coraggio dentro le nostre tempeste. Non è un
sedativo per le nostre paure o una risposta al nostro bisogno di protezione.
Non è un genitore ansioso sempre pronto a intervenire, che risparmia al figlio
qualsiasi prova e fatica e lo rende così inadatto alla vita.
Ecco allora che la speranza cambia nome e diventa perseveranza, coraggio,
resistenza. Al polo opposto della speranza c’è la depressione, che nasce da una
inversione di energia. L’energia che và verso fuori è sfida, progetto,
vitalità, fatica. Invece la depressione comincia con una introiezione, un
ripiegamento di orizzonti.
La speranza è legata inscindibilmente alla fiducia. Se credi negli altri,
se hai stima in te, se senti che un risultato è possibile, allora ti impegni.
Se pensi che tu puoi, che gli altri possono, che insieme siamo in grado di
cambiare qualcosa del mondo, allora cominci a progettare.
Nella sua prima lettera, Giovanni racconta la sua fede così: “Noi abbiamo
creduto all’amore che Dio ha in noi” (1Gv 4,16). Se qualcuno ci chiede: tu,
cristiano, a cosa credi?, viene spontaneo rispondere: a Dio, a Gesù Cristo,
alla vita eterna. Giovanni invece risponde: noi crediamo all’amore.
Non si crede ad altro, non all’onnipotenza, all’onniscienza o all’eternità
di Dio: queste cose non ci prendono il cuore. Si crede all’amore, perché “Dio è
amore” (1Gv 4,8.16). E questo è di capitale importanza, perché credere
all’amore è possibile anche per il non credente, per l’ateo. L’esperienza
dell’amore è universale, appartiene a tutte le culture, a tutte le vie
religiose e anche a chi non segue un’ipotesi religiosa.
Se Dio è amore, lo si trova solo amando. Dio non lo si raggiunge con
l’intelligenza, lo si sperimenta nell’amore. Nessuno è troppo povero o piccolo
per non poter fare l’esperienza di amare e di essere amato.
Avere speranza significa sentire che una forza più grande alimenta la
nostra piccola storia; che questa potenza di vita è sempre disponibile, non
viene meno, è un’energia che non si esaurisce, una corrente che è già nel
tutto.