L'associazione Save the Children ha richiesto ai sondaggisti di Ipson una ricerca sull'uso degli smartphone da parte dei teen e degli adulti diffusa in occasione del Safer Internet Day, la giornata annuale per la promozione di un utilizzo sicuro e responsabile delle tecnologie digitali.Questi i dati emersi:
I bambini ricevono il loro primo smartphone a 11 anni e mezzo e si iscrivono su
Facebook a 12 e mezzo, dichiarando di essere più grandi. Siamo sempre più connessi,
ma conosciamo poco o nulla delle regole del mondo online. È un fenomeno che investe
tanto gli adulti quanto i ragazzi italiani che posseggono nella quasi totalità uno
smartphone a testa (95% e 97%) con una media di oltre di cinque profili social ognuno.
Avvenire ha affidato a Francesco Ognibene il commento sui dati:
Li possiedono 97 adolescenti su 100, convinti ormai di poterci fare ciò che gli salta per la testa, quasi costituissero una licenza per accedere a un’inebriante libertà senza freni, che comprende la possibilità di insultare gli altri (82%), diffondere immagini di chiunque senza autorizzazione (68%) o far girare video imbarazzanti su altre persone se già circolano (73%), come se la responsabilità si smaterializzasse con la condivisione di massa. Da strumenti di comunicazione a potenziali armi improprie il passo è breve. E in mano a molti nostri ragazzi (non certo a tutti) gli smartphone l’hanno già compiuto.
Ma la rassicurante convinzione che si tratti di un problema generazionale è destinata a dissolversi davanti a uno scomodissimo dato che l’odierna Giornata per la sicurezza del Web (il Safer Internet Day) si incarica di metterci sotto il naso grazie a un’utile indagine Ipsos: sottoposti alle medesime domande sull’uso dei cellulari, ragazzi e adulti finiscono per dare le stesse risposte, tutt’al più con lo scostamento di qualche punto percentuale, a cominciare dal quesito preliminare – 'possiedi uno smartphone?' – al quale i genitori rispondono di sì al 95%, in linea con i figli cui l’hanno regalato.
C'è dietro al fenomeno un urgente e inconsapevole problema educativo: "crescere ragazzi in grado di usare la testa e la coscienza prima di muovere le dita".
La rinuncia a educare quando si attiva uno smartphone – e persino l’incoscienza della necessità di farlo – è trasparente nella tabella della ricerca che mostra come il primo dispositivo mobile arriva nelle tasche dei figli a una media di 11 anni e mezzo, evidentemente recapitato da un adulto: parliamo di un’età che si abbassa a ogni nuova rilevazione e alla quale non faremmo di certo uscire i figli la sera senza accompagnarli, mentre gli consegniamo come in un rito liberatorio– 'ce l’hanno tutti...' – un concentrato di tecnologia che apre a ogni tipo di incontro e di frequentazione incontrollata. Cosa fa abbassare la guardia se non la condivisione dell’esperienza emotiva di uno strumento che sembra esercitare su quasi tutti un potere ipnotico? Genitori e figli convengono anche sul consegnarsi a un sistema di comunicazione che in cambio del consumo (apparentemente) gratuito di notizie, immagini e musica pretende la cessione di informazioni su se stessi, gabella inesorabile e pervasiva ma immateriale e inavvertita tanto da non suscitare perplessità nell’80% di entrambe le generazioni, disposte a tutto pur di non restare escluse dal grande intrattenimento digitale. Se poi è l’applicazione a esigere l’accesso ai nostri dati disseminati tra navigazioni e messaggi, nove volte su dieci non si esita a digitare 'ok' senza differenze di anagrafe, non attardandosi nella giungla delle condizioni d’uso.
È l’ingenuità 2.0, che attraversa età e condizioni sociali, come se la natura stessa dello smartphone – e i poteri magici che finiamo per attribuirgli – inducesse a sospendere le regole osservate per comportamenti analoghi nel mondo reale. Creando così forme di dipendenza dalle quali fatichiamo a sottrarci, finché qualche pessimo episodio di cronaca nera non induce un soprassalto temporeaneo di coscienza. Ma sotto il rimbalzo quotidiano tra una rete sociale e un’email c’è in attesa la chiamata a una nuova consapevolezza di essere, nel continente dei super-telefoni, semplicemente figli e genitori.
Interessante è anche la ricerca su LE “BUFALE” NELLA RETE. “DIFFUSIONE, USO, INSIDIE DEI SOCIAL NETWORK”