Nuove frontiere della sessualità: il sexting e il cyberbullismo
Prosegue la mia riflessione sulla "vita sessuale tra Chiesa e società".
Un
fenomeno nuovo e inquietante, sconosciuto alle generazioni passate e ai loro
genitori, è quello del sexting, cioè
delle relazioni virtuali tramite chat e dello scambio di foto o video
sessualmente esplicite: spesso ciò avviene all’interno del rapporto di coppia,
come corollario della reciproca intimità e come offerta a distanza della
disponibilità ad eccitare il proprio partner. Ma una volta inviato il materiale
non si può più tornare indietro e si perde definitivamente il controllo
dell’uso che gli altri possono farne. Ne possono scaturire atti di cyberbullismo (anch’essi sempre più
diffusi): si ricatta la persona di diffondere quel materiale o lo si diffonde
per vendetta (quando la relazione si è rotta) o per vantarsi delle proprie
prestazioni. La vittima rimane spesso schiacciata dalla vergogna e dai giudizi
di chi, ricevendo il materiale, etichetta quella persona come una puttana, una
facile… E non sono pochi i casi in cui questa arriva al suicidio[1].
Pensiamo, ad esempio, a Tiziana Cantone, una ragazza trentunenne napoletana suicidatasi
nel 2016 dopo circa un anno di umiliazioni e sfottò in seguito a dei video hard
amatoriali diventati virali nella rete. Il tutto era cominciato come un gioco:
farsi riprendere e condividere con qualche amico le sue “imprese sessuali”.
Ingenuità della vittima? Perversione della ragazza o solo dei suoi
“diffamatori”? Cyberbullismo o
semplice incoscienza degli “amici” traditori? Estrema liberalità del web per il
quale si invocano norme e limiti? Mentalità bigotta del meridione che (ancora)
non perdona ad una ragazza dei comportamenti “licenziosi e immorali”? Colpa degli smartphone, che trasformano la realtà in
virtuale? O colpa di una generale anestesia dei sentimenti? Sono tante le
sfaccettature di questo dramma come di quello di tante altre ragazze. Ma se Tiziana aveva trent’anni ed è rimasta schiacciata da quanto
gli è accaduto, cosa può succedere quando eventi simili coinvolgono adolescenti
sballottati da ormoni, paure e presunzioni? Quando un giudizio, un
apprezzamento o una critica, li distrugge o li esalta? Quando si vogliono
sperimentare cose nuove, eccitanti ed esaltanti e si crede che abbia valore
solo ciò che coinvolge emotivamente? Quando il gruppo dei coetanei è il
salvagente e il trampolino di lancio, ma anche – quando si è meno fortunati –
un luogo dove si è duramente presi in giro o dove ci si sente invisibili?
Quando, suggestionati dal gruppo e desiderosi di apparire e di integrarsi, si è
capaci di conformarci in tutto alle attese degli altri?
Nuove forme di prostituzioni e perversioni
Altre
ragazze, anche giovanissime, si mostrano in cambio di soldi o di una ricarica,
oppure offrono dei “servizi” in cambio di un cellulare. Niente di nuovo se non
per il fatto che a compiere questi atti sono ragazze giovanissime, spesso
benestanti e senza particolari scrupoli. In fondo – sembrano dire – il corpo è
mio e decido solo io come utilizzarlo. Il sesso viene così sempre più sganciato
non solo dalla fecondità, ma dagli stessi sentimenti: si opta per una “scopata
a progetto”, dove entrambi i soggetti vogliono divertirsi, “distendersi”, senza
impegnarsi minimamente. E’ la generazione dei “trombamici”: ci si trova per una
scopata e poi… amici come prima. Oppure si usano siti per single che, soddisfatto
il proprio impulso ormonale, vogliono tornare alla loro vita di sempre.
Dalla
mentalità pornografica derivano anche le tendenze al voyerismo e al
corrispondente esibizionismo: si cerca eccitamento guardando le performance
altrui o mostrandosi agli altri in atteggiamenti erotici. La Hargot (“Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)”, Sonzogno, 2017) racconta di
tredicenni che si filmano o si fanno filmare mentre guardano materiale
pornografico in classe o nei bagni scolastici, mentre si masturbano (da soli o
in gruppo), o ricevono prestazioni sessuali da qualche ragazza disponibile,
anche lei in ricerca di eccitazione a buon mercato.
E il
“comune” senso del pudore? Ce l’hanno anche gli adolescenti, ma è comune a loro
più che al resto della società: per alcuni versi sono più pudici della mia
generazione, basti pensare al boxer indossato sotto il costume da mare
(rigorosamente a pantaloncino) o alla doccia negli spogliatoi fatta spesso
tenendosi le mutande. Anche le ragazze, spinte a mostrarsi in maniera sempre
più provocante, sono attente a non superare quel limite di decenza che le
declasserebbe da sexy a puttane. Mostrarsi si, ma con e per le persone con cui
si vive un’intimità o per il gruppo di amici che può apprezzare le performance
e far aumentare “prestigio”, senza esagerare per non rischiare il ridicolo o
confronti da cui si possa uscire perdenti.
[1] E’ quanto raccontato, ad esempio, nel romanzo
giovanile (e nella serie TV che ne è stata tratta nel 1016 dalla Netflix)
“Tredici” di Jay Ascher (2007) storia di una adolescente americana che, prima
di suicidarsi, decide di rivelare i tredici motivi che l’hanno spinta a
togliersi la vita. Tra questi motivi c’è uno stupro e diversi atti di cyberbullismo di cui è stata vittima.