II Domenica di Quaresima Anno B: uno sguardo luminoso alla mèta della vita
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti. (Mc 9,2-10)
Altre letture
Dal DESERTO delle
TENTAZIONI la liturgia ci conduce oggi sul MONTE della TRASFIGURAZIONE e se il
deserto era il luogo simbolico in cui ogni uomo deve passare per scoprire i
propri limiti e il proprio bisogno di Dio, così il MONTE è il luogo simbolico
dell’incontro con Dio, della scoperta di come dietro i limiti della nostra
umanità c’è una dimensione divina che ci è stata donata e che ci rassicura sul
nostro destino eterno.
Siamo
cenere e alito divino, esseri terreni e insieme spirituali, divini. Il cammino
quaresimale si gioca su questi due estremi rappresentati dai luoghi simbolici
del deserto e della montagna: dobbiamo cioè riscoprire, da una parte, la nostra
fragilità creaturale, il nostro bisogno di Dio, le scelte che concretamente
facciamo, dall’altra il nostro essere figli di Dio, destinati ad un avvenire
luminoso, chiamati ad un rapporto filiale fatto di preghiera alimentata dalla
Parola di Dio.
Abbiamo
così gli elementi o gli strumenti tipici della quaresima:
-
il deserto ci invita al digiuno o
alle privazioni, spesso chiamate “fioretti”, oggi ben poco di moda, ma dalla
Chiesa continuamente rilanciate come occasioni per riprendere in mano i nostri
appetiti, dimostrarci capaci di gestire i nostri bisogni senza diventarne
succubi e insieme strumenti di carità per sensibilizzarci nei confronti dei
fratelli più bisognosi e dar loro una risposta concreta. Domenica scorsa, in
definitiva, la liturgia mostrava l’importanza della nostra rinuncia al peccato
e della nostra professione di fede.
-
la montagna ci richiama il bisogno della preghiera
alimentata dalla Parola di Dio. In questo percorso quaresimale Dio ci concede
delle soste momentanee (“li condusse in disparte, su un alto monte, loro soli”)
in cui intravedere la meta: momenti in cui tutto sembra luminoso, bello,
chiaro. Ma sono momenti che richiedono la fatica di riprendere un cammino
quotidiano più oscuro e doloroso: alla tentazione di fare delle CAPANNE per
rendere permanenti questi momenti, Dio risponde con l’invito di ASCOLTARE suo
Figlio e di SEGUIRLO senza timore. “Alzatevi e non temete” dice Gesù, scendete
dal monte e riprendete con me il percorso verso Gerusalemme, dove sarò
arrestato e ucciso come un malfattore, ma anche dove quella luce intravista
diventerà finalmente piena ed eterna.
Il male e il buio non vinceranno, non è questo il
destino dell'uomo…Il Vangelo di domenica scorsa chiedeva: convertiti. La
conversione è come il movimento del girasole, questo girarsi verso la luce. Il
Vangelo di questa domenica offre il risultato: mi giro e trovo il sole, sono
irradiato, mi illumino, mi imbevo e godo della luce, il simbolo primo di
Dio. (E. Ronchi)
Gesù non si tras_forma… Uno si trasforma quando diventa un'altra
cosa da quello che era prima! Gesù, invece, si tras_figura… cioè fa
vedere qualcosa di sé che c'era già prima, ma che i discepoli non riuscivano a
vedere. Gesù fa vedere la realtà nascosta dentro di sé.. Gesù è sempre lo
stesso ma i discepoli ora riescono a vederlo in un altra luce, cioè nel modo
più bello e più vero".
Proviamo
a seguire gli elementi presenti nel brano con cui Marco descrive questo
episodio:
IL
MONTE della
TRASFIGURAZIONE:
“Come già nel Discorso della montagna e nelle
notti trascorse in preghiera da Gesù, incontriamo di nuovo il MONTE come luogo della particolare vicinanza di Dio… il monte come luogo della
salita – non solo della salita esteriore, ma anche dell’ascesa interiore; il
monte come un liberarsi dal peso della vita quotidiana, come un respirare
nell’aria pura della creazione; il monte che offre il panorama dell’ampiezza
della creazione e della sua bellezza; il monte che mi dà elevatezza interiore e
mi permette di intuire il Creatore” (Benedetto XVI).
Come le tentazioni del deserto ci offrono
l’immagine autentica dell’uomo Gesù, nuovo Adamo, che riconduce in armonia gli
elementi opposti delle fiere e degli angeli che, convivendo, lo servivano,
così la trasfigurazione ci mostra il volto divino di Gesù, nascosto
nella natura umana, ma svelato dalle sue parole di vita e dalle azioni
prodigiose che le accompagnano ed ora momentaneamente rivelato dal contatto
profondo con Dio che illumina anche esteriormente il Figlio e ne rivela la
piena identità (divina oltre che umana).
MOSE’
ed ELIA:
Mosè ed Elia avevano potuto ricevere la
rivelazione di Dio sul monte; ora sono a colloquio con Colui che è la
rivelazione di Dio in persona...
La Legge e i Profeti parlano con Gesù, parlano
di Gesù (della sua “dipartita”, aggiunge Luca, cioè della sua croce come
“esodo, un uscire da questa vita, un attraversare il Mar Rosso della passione e
un passare nella gloria, nella quale tuttavia restano sempre impresse le
stimmate”: cf. Lc 9,31).
Gesù conversa con MOSE’ ed ELIA, i personaggi
chiave che nell’Antico Testamento rappresentano l’intera Scrittura, la Legge e
i Profeti, e che trovano in Gesù il compimento del loro cammino e delle loro
profezie. Sono personaggi del PASSATO (vissuti secoli prima di Gesù),
accomunati anche dal fatto di aver vissuto un rapporto singolare con la morte:
di Mosè nessuno sa dove sia stato seppellito (mancano dunque i segni concreti
della sua morte), mentre di Elia si racconta che è stato assunto in cielo su un
carro di fuoco.
Anche questo fatto, come il richiamo esplicito
alla “risurrezione dai morti”, ci indica come siamo di fronte ad un anticipo della Pasqua, nostra meta,
come il Cristo sia il CONTEMPORANEO di ogni uomo, colui che è VIVO e che Dio ci
invita ad ascoltare e seguire su una via insieme dolorosa e gloriosa, fatta di
sofferenza e di consolazione. Potrà
accadere di avere qualche anticipo di risurrezione, ma dobbiamo sempre
proseguire il cammino, perché la pienezza sta davanti e non alle spalle.
A PIETRO l’accaduto piace, ma non capisce, ha
paura e non è ben consapevole di cosa stia dicendo.
Le parole di
Pietro sono impacciate e
inadeguate perché ha intravisto qualcosa di un mistero più grande, che annuncia, in un certo senso, lo stesso trionfo della
risurrezione sulla morte. Le CAPANNE farebbero riferimento anche alla festa
ebraica che celebrava il dono della legge di Dio e i 40 anni passati nel
deserto, per ricordare i quali, gli ebrei erano invitati a trascorrere 6 giorni
in tende improvvisate (a ricordo del cammino nel deserto).
Ha riconosciuto (sei giorni prima) Gesù come il
Cristo, il Figlio di Dio, ma non comprende ancora, e con lui gli altri discepoli,
cosa significhi che debba risorgere dai morti (e insieme che debba soffrire e
morire come un malfattore). E’ il cammino della fede, fatto di piccole certezze
e di tanta confusione e di tanti dubbi.
Dio mette alla prova Abramo, ovvero Abramo è chiamato a mettere Dio al primo
posto, non a sacrificare il figlio, a rinunciare alla sua “proprietà”, per
riscoprire la dimensione di dono: scoprirà che Dio non è un essere crudele e
incomprensibile, piuttosto è la nostra fede che può vivere momenti di terribile
tenebra, ma anche di approdi luminosi.
Non ancorati al passato (và dal tuo paese), ma neanche
al futuro (sacrifica il figlio promesso), per vivere un presente in cui Dio
provvede a ciò di cui abbiamo bisogno (se abbiamo fede e ci liberiamo della
nostra “previdenza”).
Era prassi di alcuni
popoli circostanti di immolare il figlio primogenito, quando si costruiva una
città o un palazzo, per ottenere la protezione divina. Abramo è l’espressione
della fede obbediente, assoluta. Per Dio è disposto a tutto, anche a rinunciare
alla promessa che Dio stesso gli ha fatto, a rinunciare in definitiva al
proprio futuro. Abramo deve tuttavia riconoscere che il suo Dio è diverso: è
lui che provvederà da sé l’agnello per l’olocausto. E’ nel monte Moria
(identificato col monte di Gerusalemme) che Dio offrirà all’umanità ciò che ha
di più prezioso: suo figlio. Non si tratta di un macabro rituale, ma del prezzo
che l’amore più profondo richiede: dare la stessa vita perché il seme porti
frutto, perché il Figlio rimanga in mezzo a noi e perché Dio, attraverso di Lui
sia presente nella nostra storia.
“Se Dio è per noi, chi
sarà contro di noi?”. Di fronte alla prova, alle difficoltà la vicenda
del Cristo (“Lui che non ha risparmiato il proprio Figlio,” – ciò che aveva di
più prezioso- “ma lo ha consegnato per tutti noi”) è lì ad assicurarci che Dio
è per noi, è nostro alleato, è dalla nostra parte. E se lui è con noi quale
nemico può realmente metterci paura? Se ci ha dato il Figlio “non ci donerà forse
ogni cosa insieme a lui?”. Gesù non è venuto per condannarci, ma per aiutarci:
Lui, il vivente, intercede per noi, cosa possiamo realmente temere?
La condizione richiesta non è cieca obbedienza, ma ASCOLTO: OBBEDIRE è ob-audire: ascoltare, rispondere, mettersi in
relazione. In nome di Dio sono stati commessi crimini, ma Dio è amore, puro
bene e non può entrare in contraddizione con sé stesso: il primato è al bene,
alla coscienza, al rapporto intimo con Dio e col suo Figlio, l’amato. Si tratta
ora di riprendere il nostro cammino quotidiano, di scendere dal monte e
affidarci a Gesù solo, ai poveri e incerti segni della sua presenza, e seguirlo
sul cammino che, per portarlo alla Vita piena ed eterna, deve passare per la
Croce.