La nuova legge sul fine vita: il testamento biologico è una conquista di civiltà?
Ma cosa prevede la nuova legge? Ecco uno schema di Avvenire (o se volete c'è anche quello dell'Espresso) e poi le reazioni del mondo cattolico e di quello "laico".
Avvenire: "Biotestamento, ecco cosa prevede la nuova legge":
Sempre Avvenire presenta le reazioni delle associazioni cattoliche:Ogni persona maggiorenne in previsione di una futura malattia che la renda incapace di autodeterminarsi può, attraverso le Dat, le disposizioni anticipate di trattamento, esprimere le proprie preferenze sui trattamenti sanitari, accettare o rifiutare terapie e trattamenti, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali.Lo prevede la legge sul testamento biologico che è stata approvata dal Senato oggi, giovedì 14 dicembre, con 180 voti a favore, 71 contrari e 6 astensioni: è costituita da 8 articoli. (IL TESTO DI LEGGE).
Art. 1: Consenso informato
Art. 2: Terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale della vita
Art. 3: Minori e incapaci
Art. 4: Disposizioni anticipate di trattamento
Art. 5: Pianificazione condivisa delle cure
Art. 6: Norma transitoria
Art. 7: Clausola di invarianza finanziaria
Art. 8: Relazione alle CamereIDRATAZIONE E NUTRIZIONE
Si tratta di uno dei principali punti critici - contenuto nell'articolo 1 della legge - riguarda la possibilità che un paziente cosciente e stabile, dunque non in una fase terminale di una malattia, e pur tuttavia bisognoso di essere idratato e nutrito per via artificiale (per esempio attraverso un sondino), possa trovare la morte in seguito alla sua scelta di sospendere nutrizione e idratazione in tal modo somministrati. O la possibilità che una tale opzione venga richiesta, per un paziente in stato di incoscienza, per volontà del fiduciario da lui stesso nominato o del tutore. Il punto di partenza è molto semplice: la legge definisce tout court (quindi sempre e comunque) come una terapia sanitaria la somministrazione di acqua e cibo per via artificiale, che come tale può essere rifiutata (Art. 1). Una posizione che non vede concorde l'intera comunità scientifica: vi sono casi - non infrequenti - in cui l'idratazione e nutrizione artificiali non sono trattamenti sanitari ma semplici atti di sostegno vitale proposti al paziente.L'OBIEZIONE DI COSCIENZA NON C'È
In tutto questo il ruolo del medico è particolarmente sollecitato e va segnalata nel testo l'assenza di una vera "obiezione di coscienza": nei resoconti giornalistici al testo di legge si parla di "obiezione di coscienza" ma in realtà ciò che prevede il testo è qualcosa di molto diverso, e numerose infatti sono state le critiche su questo punto. Il sanitario è tenuto, secondo la norma approvata, a "rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo" e "in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale". Quindi, poiché - come già detto - la norma considera idratazione e nutrizione artificiali sempre e comunque come trattamenti sanitari ai quali è possibile rinunciare, il medico è chiamato ad agire attivamente e a sospenderli anche nei casi in cui essi non siano configurabili come accanimento terapeutico. In pratica, è questo un punto davvero delicato, il medico è obbligato a sospendere il trattamento e dunque a portare a morte il paziente, se questa è la scelta di quest'ultimo (o del tutore o fiduciario): e infatti la norma specifica che il medico, facendo questo, è "esente da ogni responsabilità civile o penale", e il riferimento implicito sul lato penalistico è a quegli articoli del Codice penale che puniscono l'omicidio del consenziente e l'aiuto al suicidio.
La legge dunque - almeno nella sua interpretazione letterale - prevede che il medico non solo potrà, ma anche dovrà (cioè sarà obbligato a compiere l'atto della sospensione della idratazione e nutrizione che porteranno come conseguenza certa alla morte del paziente. Ed egli non potrà rifiutarsi, giacchè la norma non prevede un'esplicita possibilità di obiezione di coscienza. L'esenzione del medico da "obblighi professionali" infatti per il testo di legge si limita ai casi in cui il paziente intenda esigere "trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali": "a fronte di tali richieste - recita la norma - il medico non ha obblighi professionali". Ma si tratta di fattispecie sulle quali, in caso di conflitto fra il medico da un lato e il paziente (o il tutore o fiduciario) dall'altro, sarà chiamato a pronunciarsi il giudice. Ebbene, in presenza di un pronunciamento del giudice di autorizzazione alla sospensione di idratazione e alimentazione (caso tutt'altro che remoto, anzi: nella cronaca italiana casi del genere sono già avvenuti), il medico non potrà più invocare nessuna delle esenzioni previste dal testo di legge, e sarà chiamato ad eseguire tale volontà nonostante le sue convinzioni contrarie. Sarà pur vero che nella pratica concreta casi simili saranno "risolti" con l'affidamento del paziente a un altro sanitario (anche della stessa struttura sanitaria) disposto ad agire conformemente alle richieste, ma è evidente che la mancanza di un'opzione di coscienza "vera", cioè fondata su un diritto soggettivo del medico, è un punto dolente.CONSENSO INFORMATO
La legge stabilisce che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. Il consenso informato tra medico e paziente è espresso in forma scritta o, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Il consenso informato può essere revocato anche quando la revoca comporti l'interruzione del trattamento, incluse la nutrizione e l'idratazione artificiali che, viene specificato nel testo, "sono trattamenti sanitari", in quanto "somministrati su prescrizione medica di nutrienti mediante dispositivi sanitari".ASSISTENZA PSICOLOGICA
Il medico, se il paziente rifiuta o rinuncia a trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, gli prospetta le conseguenze della decisione e le possibili alternative ed è tenuto a promuovere ogni azione di sostegno al paziente, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica.FIDUCIARIO
Chi sottoscrive le Dat indica una persona di sua fiducia ('fiduciario) che ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie. Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne, capace di intendere e di volere. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto. L'incarico del fiduciario può essere revocato. Al fiduciario è rilasciata una copia delle Dat. Nel caso in cui le Dat non contengano l'indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace le Dat mantengono efficacia in merito alle convinzioni e preferenze del disponente. In caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno.REGISTRO REGIONALE DELLE DAT
Le regioni che adottano modalità telematiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale possono regolamentare la raccolta di copia delle Dat, compresa l'indicazione del fiduciario, e il loro inserimento nella banca dati, lasciando comunque al firmatario la libertà di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili.NIENTE BOLLO E TASSE SULLE DAT
Le Dat devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o per scrittura privata consegnata dal disponente
presso l'ufficio di stato civile del suo comune di residenza che provvede a inserirlo in un registro dove istituito o presso la
struttura sanitaria che poi la trasmette alla regione. Le Dat tuttavia sono esenti dall'obbligo di registrazione, dall'imposta
di bollo e da qualsiasi altro tributo, imposta, diritto e tassa.
Le Dat possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico con l'assistenza di due testimoni in casi di emergenza e urgenza.DAT VIDEOREGISTRATE
Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Con le stesse modalità sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento.
L'Espresso elenca i "nemici" della legge:Tra le associazioni del mondo cattolico, seppure con diverse sfumature, prevale la preoccupazione per il pericoloso concetto di “diritto alla morte” che la legge sul fine vita potrebbe introdurre in modo implicito ed esplicito nell’ordinamento nazionale. Più in generale, i commenti esprimono “profonda amarezza” per la scelta di dare priorità ad una norma che ha anche significati politici e di lasciare alla prossima legislatura, invece, provvedimenti più incisivi sul fronte del sostegno alle famiglie che accudiscono malati gravi. Non mancano riflessioni più ampie sulla difficoltà che il mondo cattolico ha avuto nello spiegare le proprie ragioni al Paese, alle altre culture e alle parti politiche.“Per secoli si è tenuto in piedi il rapporto medico-paziente con la formula 'secondo scienza e coscienza'. Il medico deve avere la libertà di dire di non essere d'accordo. Questa legge toglie dignità alla professione medica. La vita non si norma", ha detto poco dopo il varo della legge don Massimo Angelelli, direttore dell’ufficio per la Pastorale della salute della Cei, interpellato
dalle agenzie di stampa. Prima e dopo di lui, tante realtà laicali hanno detto la loro opinione.IL PARERE NEGATIVO DEI MEDICI
Particolarmente rilevante la posizione dei Medici cattolici: “Manifestiamo preoccupazione e in alcuni punti anche contrarietà”, ripetono in un comunicato congiunto Filippo Maria Boscia e Giuseppe Battimelli, presidente e vicepresidente nazionale dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci). “Paventiamo – proseguono - soprattutto che il principio dell’indisponibilita’ della vita da assoluto possa essere ora in qualche modo relativo, prevalendo un’autodeterminazione del paziente, svincolata da un proficuo rapporto di cura con il medico, come si evince anche dall’utilizzo del termine ‘disposizioni’ al posto di ‘dichiarazioni’”. Pertanto, si prosegue, “anche l’obiezione di coscienza non sembra esplicitamente enunciata nel testo come anche si evidenzia l’esclusione della possibilità di sottrarsi all’applicazione della legge da parte di strutture sanitarie private accreditate che hanno un codice etico difforme dai principi della legge stessa, costringendole a un’obbligatorietà che appare francamente incostituzionale”. Infine, conclude l’Amci, “desta notevole difficoltà la definizione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale come trattamenti sanitari che si possono rifiutare o sospendere sempre e comunque e senza giustificazione alcuna, non tenendo conto delle condizioni cliniche dell’ammalato e se risultino utili ai benefici attesi. Perciò riteniamo che tutta la classe medica italiana debba in questo momento rinnovare il suo impegno, riaffermando la “prossimita’ responsabile” del buon Samaritano che è quella di accompagnamento, empatia e di non abbandono dell’uomo fragile ed ammalato”.Va detto, tuttavia, che la sezione milanese dell’Amci, attraverso il dottore Alberto Cozzi, ha assunto una posizione diversa: “La legge è un onorevole compromesso che rispetta i dettami della Costituzione e la carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea, rispetta l'autonomia decisionale del malato e al contempo l'autonomia professionale e responsabilità del medico e valorizza la relazione di cura nella forte alleanza terapeutica medico-paziente e familiari. Garantisce inoltre la libertà del malato, dice un no chiaro all'eutanasia e va ben oltre l'accanimento terapeutico. L'obiezione del medico non si pone perché il medico
può disattendere le Dat quando sono palesemente incongrue". A stretto giro di posta l'Amci nazionale risponde ai medici milanesi: "Prendiamo atto con rammarico della loro soddisfazione. Tuttavia la sezione Amci di Milano, con il suo numero esiguo di iscritti, rappresenta una condizione di marginalità".LE PREOCCUPAZIONI DELL'ASSOCIAZIONISMO
Uscendo dall’ambito più strettamente medico, anche il Forum delle associazioni familiari, con poche righe abbastanza secche nel contenuto, condanna la scelta del Parlamento: “Si è fatta la scelta più semplice, confondendo cura del malato con accanimento terapeutico e introducendo di fatto l’eutanasia omissiva. Ben più utile ed efficace sarebbe stato offrire alle famiglie un aiuto nell’assistenza ai malati terminali. Ma come sempre le famiglie vengono abbandonate a se stesse nel gestire situazioni di dolore e di sofferenza con l’aggravante che l’impossibilità di obiezione di coscienza da parte dei medici mina, invece di favorire, il rapporto con il malato e con i familiari”.Sul fronte giuridico, Alberto Gambino, prorettore dell’Università europea di Roma e presidente di Scienza e vita, evidenzia come l’esito del Senato risponda ad un “intento elettoralistico” che però si traduce “in una vera e propria eclissi della ragione, con sicure ricadute sociali". Gambino ricorda che “la stragrande maggioranza di medici, specialisti, oncologi, bioeticisti, giuristi, associazioni di cittadini auditi dal Senato (ben 37 su 42) hanno argomentato che il disegno di legge andava modificato”. Richieste inascoltate, e ora “saremo sommersi da slogan che inneggeranno alla vittoria dei diritti civili, quando invece saranno tutti gli italiani a subire il drammatico peggioramento delle prassi sanitarie italiane provocate dall'approvazione di questa legge”. “Ora più che mai - conclude Gambino - è necessario che tutte le realtà che da sempre si assumono la cura delle persone più fragili e indifese si impegnino congiuntamente per scongiurare derive di abbandono terapeutico provocate dalla lettura autodeterministica di questa legge. Scienza & Vita è pronta a promuovere un tavolo di lavoro e di tutela insieme a organizzazioni e movimenti, società
scientifiche e associazioni di categoria, ospedali e case di cura, pazienti e caregivers, giuristi e bioeticisti affinché nessuno possa mai essere prevaricato in nome di una legge che non ha voluto”.In parte complementari i rilievi dell’Aisla, l’Associazione italiana sclerosi laterali amiotrofico”, che pur partendo da un’opinione favorevole al testo (“un passo avanti”) denuncia la carenza di fondi per l’assistenza domiciliare e familiare e ricorda che “un'assistenza domiciliare attenta e professionale è l'unico modo per non lasciare sole le persone e i loro famigliari davanti alla malattia”.Annuncia battaglia, intanto, Pro vita, che con il presidente Toni Brandi assicura che “il 4 marzo – ipotetica data delle elezioni – ci ricorderemo dei politici e dei partiti che, prima alla Camera e poi al Senato, hanno voluto questa legge mortifera e nazista». Secondo Brandi, “Pd e M5S hanno legalizzato l’eutanasia in Italia”. Anche Massimo Gandolfini, leader del Family day e
neurochirurgo, è molto critico verso la legge: “Un altro strappo ai valori antropologici che si fondano sul bene prezioso ed insostituibile della vita, aprendo la strada all’autodeterminazione per la morte. Accadrà che in un Pronto soccorso, in presenza di un ictus cerebrale o di un arresto cardiaco per infarto, il medico sarà obbligato non già a tentare di salvarlo e restituirgli la salute, bensi a conoscere se e dove il paziente ha scritto e depositato le sue Dat. Non avrà miglior sorte – continua Gandolfini - un neonato prematuro, per il quale chi gestirà la potestà genitoriale avrà la possibilità di pretendere che non venga alimentato per via artificiale, in previsione di possibili disabilità. E se il medico fosse contrario, si ricorrerà al giudice”. “Con questa legge – conclude Gandolfini - viene rotta l’alleanza di cura medico/paziente su cui la medicina si basa da migliaia di anni. Ma la sinistra aveva fretta di portare a casa una bandiera da sventolare in campagna elettorale. Ce ne ricorderemo”. Stessi toni anche dal Centro studi Rosario Livatino: "Per uscire dal totalitarismo, subdolo ma reale, che manipola la vita, la seleziona geneticamente e ne dispone con arbitrio la fine, non sarà sufficiente il sostegno ai medici che rifiuteranno il ruolo di boia, né sarà sufficiente l’eventuale modifica delle norme più devastanti approvate oggi, come quella che impone l’eutanasia pure agli ospedali di ispirazione religiosa (i cui responsabili, salve rare eccezioni, sono apparsi silenti, se non proprio conniventi. Sarà indispensabile un lavoro, culturale prima ancora che politico, per riscoprire le basi antropologiche dell’ordinamento, per scongiurare il suicidio di una Nazione di zombie, nella quale ogni anno il numero dei morti supera largamente quello dei nuovi nati".Il punto di vista dei genitori è espresso invece dall’Agesc, che esprime "viva preoccupazione per il destino dei bambini malati, affidato ad una legge che impedisce l'obiezione di coscienza dei medici e penalizza malato e famigliari. Come genitori viviamo una dolorosa incertezza, a causa delle contraddizioni che la legge non risolve e che si presentano puntualmente nei Paesi in cui l'eutanasia è già una realtà", scrive il presidente Roberto Gontero.Il provvedimento preoccupa anche le realtà di cura. Giovanni Ramonda, presidente della Comunità papa Giovanni XXIII, parla di “fretta ed errori” nella legge. “Il considerare l'idratazione e la nutrizione artificiale come terapie, l'ambiguità sull'obiezione di coscienza, il ruolo dei tutori sono elementi che rendono questa legge sbagliata – prosegue -. Non esiste un diritto alla morte ma solo un diritto alla vita. Ci auguriamo che la prossima legislatura possa porre rimedio agli errori fatti».Con un articolo sul proprio sito, anche la Presidenza nazionale dell’Azione cattolica italiana ha detto la sua sulla legge: “Si tratta di un testo che introduce un’accezione estensiva del concetto di terapia e non concorre, invece, a rafforzare la centralità della relazione tra medico, paziente e altri soggetti coinvolti, rischiando di rendere le cose più complesse, invece che più chiare”. Per l’Azione cattolica, ora, serve una riflessione più ampia: “C'è bisogno di far crescere un dialogo serio tra le diverse culture e le differenti tradizioni politiche che abitano la nostra società sul modo con cui concepiamo la vita e la morte, la malattia e la cura, la libertà e la responsabilità di ciascuno. E questo ci chiede anche di domandarci se in questi anni abbiamo saputo, da credenti impegnati nel mondo, trovare parole, gesti e occasioni per argomentare la convinzione profonda che la vita non è (solo) nostra, non è un bene disponibile, non appartiene (solo) a noi stessi, ma quantomeno, per chi non crede, a tutta la trama di relazioni personali e sociali che le danno forma”. L’Ac si chiede, infine, “se e come sapremo fare del passaggio rappresentato da questa legge non una ragione di scontro ideologico ma l’opportunità per cercare di nutrire il nostro tempo con i dubbi, le speranze e le convinzioni che nascono da una concezione di bene radicata nella ragione e illuminata dalla fede”.
«Introduce l’eutanasia, cancella l’obiezione di coscienza dei medici, obbliga qualsiasi struttura pubblica o privata a obbedire a un editto statalista e a tratti stalinista: questo è la legge sul fine vita» ha dichiarato Maurizio Gasparri. Il senatore di Forza Italia è tra coloro che si sono espressi più duramente sul biotestamento. Una norma che è stata accolta dai più con grande entusiasmo, ma non dal centrodestra. Per Gasparri è stata votata «una legge che ha migliaia di imprecisioni e che prevede la possibilità che bambini come Charlie Gard vengano uccisi, che rischia di vedere i familiari del malato dar luogo a delle vere e proprie votazioni intorno al letto del parente morente per far prevalere l’una o l’altra volontà».
Al caso del piccolo Charlie Gard fa riferimento anche Carlo Giovanardi, senatore di Idea, prima di domandarsi allarmato: «Con questa legge quanti casi Eluana Englaro avremo e quanti minori potranno essere lasciati morire negando loro idratazione e alimentazione?». Il presidente di Idea, Gaetano Quagliariello, ha dichiarato prima del voto che «il prossimo governo di centrodestra abolirà questa legge che rappresenta la via italiana all’eutanasia».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Francesco Storace e Mario Adinolfi. Per l’ex governatore del Lazio il parlamento ha votato «una legge per morire»: «Già c’era una legge per abortire. Attendiamo ora una legge per vivere e una per convincere a nascere». Il leader del Partito della Famiglia ribadisce: «Non si chiama fine vita, si chiama morte». «È una pagina nera per il Parlamento» continua Adinolfi, secondo cui in questa legislatura è stato dato troppo spazio a «normative ideologiche figlie di una cultura anticattolica che avanza per trucchi linguistici». All’ex esponente del Pd proprio non piace la legislazione sui diritti: «Li chiamano diritti civili, ma sono solo scopiazzature di normative barbare». E conclude: «Gli italiani sanno che firmando le Disposizioni anticipate di trattamento firmerebbero la loro condanna a morte. E vedrete che non le firmeranno».
Usa toni più pacati Maurizio Sacconi. Il senatore di Ap, che non ha votato la legge, è spaventato perché, secondo lui, con il biotestamento «si irrigidisce la professione medica ridotta alla mera esecuzione di volontà espresse, anche a distanza di tempo, un uno stato di benessere per paura di una futura sofferenza».Una voce cattolica fuori dal coro è quella dei Gesuiti di "Aggiornamenti Sociali":
Tra gli entusiasti, ecco la riflessione di Michela Marzano per La Repubblica:La valutazione del Gruppo di studio di Aggiornamenti Sociali sulla bioetica è che il testo approvato contenga numerosi elementi positivi e rappresenti un punto di mediazione sufficientemente equilibrato da poter essere condiviso.Le questioni legate alla fine della vita suscitano accesi contrasti nella nostra società, abitata da un forte pluralismo morale. Il progetto di legge promuove la consapevolezza della complessità delle questioni, afferma il principio del consenso ai trattamenti e il rifiuto di ogni irragionevole ostinazione terapeutica, imposta una relazione tra medico e paziente centrata sulla pianificazione anticipata delle cure, non presta il fianco a derive nella direzione dell’eutanasia.Pur suscettibile di miglioramenti, la sua approvazione dovrebbe essere considerata un passo avanti. Esplicitiamo qui alcune considerazioni a sostegno di questa posizione.1. Il dibattito sulle DAT mette in luce grandi questioni umane, etiche e culturali, la cui densità coinvolge credenti e non credenti, in un processo di dialogo e apprendimento reciproco. Autonomia e relazione, sollecitudine e soggettività, possono diventare fecondo terreno di incontro sociale e politico. Affrontando la questione delle DAT, come società ci misuriamo con l’inquietudine dell’esperienza del morire e di una tecnologia medica capace di mantenere sospeso il momento del trapasso senza restituire la salute. Così fortemente personale, la morte implica una relazione e non può ridursi nel “privato”. Vedendo l’altro che muore, io conosco la mia morte, come l’esperienza anticipata di essere sottratto a me stesso. Nella sua morte ne va di me, come nella mia morte sono coinvolti altri, in specie i familiari e gli amici. La sfida sta nel custodire le relazioni fino all’ultimo, anche nel caso della perdita di coscienza. Nella cura per l’altro, di cui la medicina è forma eminente, siamo chiamati ad attestare quanto la sua vita mortale per noi sia unica e preziosa.2. Le riflessioni qui proposte si collocano al livello etico che, al di là degli schieramenti partitici, è implicato nel dibattito politico e giuridico sulle DAT. Uno Stato democratico è composto di cittadini impegnati a rispettare le differenti etiche, visioni del mondo e religioni, in un contesto di reciproca inclusione e sincera ospitalità, senza che una pretenda di imporsi sulle altre. Lo Stato democratico non è però neutrale, poiché la convivenza pacifica ha un rapporto inscindibile con l’esperienza del bene comune e questo implica il riconoscimento del legame tra soggetti liberi e moralmente uguali. Per questo la giustizia delle leggi non è riducibile ad accordi procedurali. Questa prospettiva impedisce di spingere la tolleranza ad un eccesso in cui essa imploderebbe trasformandosi in indifferenza. Le leggi, soprattutto quelle umanamente più significative, custodiscono la qualità etica dei rapporti civili, nella misura del possibile e nel dialogo reciproco. In ciò consiste il compito culturale della politica. Questo investe anche la legislazione in campo medico e sanitario.3. La medicina è, fondamentalmente, relazione di cura. Il progetto di legge sembra assumere un orientamento che supera il tradizionale paternalismo, senza cadere negli eccessi di una autonomia assoluta, ma promuovendo l’efficacia della relazione di cura grazie a scelte condivise. In particolare, la pianificazione delle cure (art. 5) ha luogo quando il paziente soffre di una patologia cronica, caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, di cui ha piena consapevolezza. Egli condivide con il medico che lo sta curando quali trattamenti siano coerenti con il suo progetto di vita e siano da attuare quando non sia più in grado di esprimersi, coinvolgendo se lo desidera i familiari. Questa procedura non si focalizza unicamente sui trattamenti da attuare o rifiutare, ma attesta la necessità di un percorso relazionale al termine del quale il paziente decide di sé. In questa prospettiva, la pianificazione anticipata risulta vincolante per il medico.4. Le DAT, invece, possono essere redatte da un cittadino anche quando non è malato (art. 4) e al di fuori della relazione con il medico, in previsione di una sua eventuale definitiva incapacità di esprimere la propria volontà. Esse gli permettono di vedere riconosciute le proprie preferenze di cura, così che l’équipe curante possa definire in modo più preciso il beneficio per il paziente all’interno del quadro clinico oggettivo. Il rilievo conferito alle DAT riceve una migliore configurazione se posto in continuità con il consenso informato come prassi di condivisione del processo terapeutico, che integra l’autonomia decisionale del paziente con l’impegno del medico a definire la terapia appropriata (art. 1.2). Le DAT non costituiscono l’unico elemento da considerare nel processo decisionale, in quanto non possono prevedere tutti i possibili casi particolari: è quindi necessario interpretarle alla luce delle effettive condizioni cliniche del paziente e delle terapie disponibili (art. 4.5). Tuttavia, in caso di definitiva incapacità decisionale, esse rappresentano il riferimento prioritario di valutazione: il loro valore, infatti, pur non vincolante l’atto medico in senso assoluto, non può ritenersi meramente orientativo.5. Una questione controversa riguarda la nutrizione e idratazione artificiali (NIA), che il progetto di legge include fra i trattamenti che possono essere rifiutati nelle DAT o nella pianificazione anticipata. Nella riflessione cattolica si è spesso affermato che questi mezzi sono sempre doverosi; in realtà, la NIA è un intervento medico e tecnico e come tale non sfugge al giudizio di proporzionalità. Né si può escludere che talvolta essa non sia più in grado di raggiungere lo scopo di procurare nutrimento al paziente o di lenirne le sofferenze. Il primo caso può verificarsi nella malattia oncologica terminale; il secondo in uno stato vegetativo che si prolunga indefinitamente, qualora il paziente abbia in precedenza dichiarato tale prospettiva non accettabile. Poiché non si può escludere che in casi come questi la NIA divenga un trattamento sproporzionato, la sua inclusione fra i trattamenti rifiutabili è corretta.
Dopo mesi e mesi di ostruzionismo, decine di migliaia di emendamenti, discussioni assurde e incomprensibili sul dovere di ogni medico di “dare da mangiare agli affamati” e da “bere agli assetatati”, la legge sul consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento (DAT), ossia il testamento biologico, è finalmente in dirittura d’arrivo. Ormai nessuno potrà più ostinarsi a somministrare a un paziente “cure inutili o sproporzionate”, recita il testo della norma. Ormai “in presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda e continua”, continua il testo. Ormai, non solo un paziente potrà rifiutare in tutto o in parte le cure che gli vengono proposte, incluse la nutrizione e l’idratazione artificiali, ma ognuno di noi potrà anche esprimere anticipatamente le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari in previsione di una sua possibile e futura incapacità a comunicare. Il Parlamento sembra quindi avercela fatta a non cedere alle pressioni di chi – non si capisce se per ottusità o per totale mancanza di empatia e compassione – ha cercato in ogni modo di ostacolare il sacrosanto diritto di ognuno di potersene andare quando ormai non c’è più nulla da fare. Erano anni che il fronte del “no” invocava i concetti di “sacralità della vita” e di “dignità della persona”, facendo finta di non sapere che la dignità di ognuno di noi si fonda sulla nostra autonomia, e che nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di giudicare le nostre scelte e i nostri desideri. Erano anni che l’ostinazione di alcuni parlamentari costruiva muri invalicabili tra la politica e la realtà, la complessità dell’esistenza e la logica semplicistica dei valori astratti, ignorando la differenza fondamentale che esiste tra il “far morire” e il “lasciar morire”, “l’eutanasia attiva” e “l’eutanasia passiva”, la sedazione profonda e l’omicidio, la dignità e l’intransigenza.
Molto bene, quindi. Anche perché l’Italia, da un punto di vista culturale, è pronta da tempo. Ha seguito con emozione le battaglie portate avanti con coraggio e tenacia per più di quindici anni da Peppe Englaro per “intravedere la possibilità di strappare Eluana a quell’inferno che lei non voleva”. Si è commossa davanti alla drammatica decisione di dj Fabo di recarsi in Svizzera per non essere più obbligato a restare in vita, anche se “essere immobilizzato in una notte senza fine”, come diceva appunto dj Fabo, non era più vita ma sofferenza, non era più speranza ma disperazione, non era più futuro ma nostalgia. Ha condiviso le riflessioni del Professor Mario Sabatelli quando il neurologo del Gemelli, citando papa Pio XII, ha spiegato che il compito di un medico è soprattutto quello di lenire le sofferenze, anche quando i farmaci possono accelerare la morte di un paziente – che poi altro non è che la “teoria del doppio effetto”, nota ai filosofi morali sin dall’epoca di san Tommaso. L’Italia era quindi pronta da tempo, e aspettava solo che il legislatore riluttante si decidesse una buona volta per tutte a dare forma giuridica certa e vincolante al diritto per ognuno di noi di morire con dignità e senza dolore, sedati e accompagnati fino alla fine.
Certo, una volta approvata definitivamente la legge, si dovrà fare lo sforzo di rendere la norma realmente operativa, spiegando a tutti i cittadini e a tutte le cittadine le modalità tecnico-amministrative con cui redigere le DAT e fare quindi in modo che le proprie convinzioni e la propria volontà siano realmente rispettate dal personale medico – è bene che si sappia, ad esempio, che le direttive anticipate possono essere custodite non solo dai medici, ma anche dai notai o dai comuni. Certo, esistono delle ambivalenze nella legge – frutto dei compromessi politici talvolta necessari all’approvazione di norme sui diritti – che danno ancora al medico un forte potere discrezionale. Certo, la legge non permette, come accade invece in molti altri paesi europei, di somministrare ai pazienti che lo chiedono quei farmaci che, al fine di lenire il dolore, possono avere come conseguenza secondaria quella di accelerare la morte. Ma si tratta, in fondo, di un primo e fondamentale passo in avanti sulla strada del riconoscimento del diritto all’autodeterminazione dei pazienti. Un primo e fondamentale passo in avanti per il quale l’Italia era culturalmente pronta da molto tempo – ma l’Italia, di fatto, sarebbe anche pronta a leggi meno timide sul fine vita e su altre importantissime questioni etiche o problematiche legate ai diritti. Un primo e fondamentale passo in avanti che, finalmente, taglia le gambe al paternalismo retrogrado di quei medici che, per troppo tempo, si sono arrogati il diritto di mantenere in vita coloro che, dalla vita, si erano già allontanati tradendo così la propria vocazione. Prendersi cura di un paziente non significa d’altronde accompagnarlo fino alla fine, rispettandone la soggettività e seguendo i suoi desideri anche quando non li si condivide o si vorrebbe che fossero diversi?