Ancora su Benigni e Sanremo e sui rischi di un giudizio "fazioso"


Spenti i riflettori sanremesi prosegue, in ambienti cattolici, la polemica sull'esibizione "blasfema" di Benigni che ha portato sul palco il Cantico dei Cantici ("The song of songs"). Alle riflessioni già riportare in precedenza aggiungo quella di Mons. Andrea Lonardo, responsabile della pastorale universitaria di Roma e altri contributi (pro, quasi pro o decisamente contro: difficile trovare quelli "quasi contro", perchè chi condanna lo fa senza cercare attenuanti, ma solo prove per demonizzare il "nemico").

"Demonizzare o esaltare Benigni che commenta il Cantico dei Cantici: dell’inconsistenza e della confusione in cui viviamo", questo è il titolo del post di Andrea Lonardo che spiega:

È assurdo che si debba demonizzare o esaltare Benigni e che non sia possibile una via di mezzo, una critica che sappia apprezzare o un apprezzamento che sia anche critico.
Eppure solo tale via è corretta: le altre che si schierano in maniera partigiana sono intellettualmente disoneste, date le luci e le ombre del suo intervento, e perdono la realtà e il Cantico!
Che il Cantico parli di un rapporto d’amore che include esplicitamente l’attrazione sessuale è affermazione assolutamente ordinaria per chiunque studi la Bibbia e non vi è ragione alcuna per negare che Benigni, nel sottolineare tali passaggi, abbia pienamente rispettato il testo.
Il Cantico è un cantico erotico e in esso si parla anche di seni, di cosce, di “stendardi”, di “vessilli” e di vulve[1].
Ma è altrettanto vero che il Cantico parla di un amore spirituale che abbraccia quello fisico. Il fatto che il Cantico non citi esplicitamente Dio, se non al termine, non implica affatto che proprio il rapporto di amore lì poeticamente narrato non sia metafora del rapporto fra l’anima e Dio.
Giustamente è stato notato che Benigni si è allineato al politicamente corretto, trascurando volutamente di esplicitare il rimando trascendente che altrove aveva chiaramente sostenuto, come nella sua presentazione a Terni del 13/2/2006, quando l’attore spiegò:  
«Sono dialoghi e monologhi, pieni di invocazioni e di descrizioni: straordinari e, naturalmente, anche simbolici. Come tutti i libri sapienziali… il saggio sa che bisogna leggere tenendo l’occhio anche su altri significati! Ma poi, facendo tutta la strada, si ritorna alla semplicità del primo significato: però bisogna fare tutta la strada! Non subito all’inizio! E quindi, come dice Dante nella Commedia: “O voi ch’avete gli intelletti sani, / mirate la dottrina che s’asconde / dietro al velame de li versi strani”. C’è sempre de’ significati: allora all’inizio pensavano che fosse il ritratto di Dio con Israele, una storia piena di tradimenti e di nuovi inizi; poi c’è stata l’interpretazione di san Paolo, l’amore di Dio, di Cristo, per la Chiesa, ma quella più bella (e anche cristiana) è l’amore di Gesù per l’umanità».
Chi è che non sa che la poesia e la canzone, se grandi, colgono sempre il simbolico nel materico?
Come ha scritto Beauchamp: «Ecco perché il Cantico dei Cantici, o Canto dei Canti, è un poema sapienziale. Si offende l’amore dei due fidanzati che vi dialogano se si crede che, per dare a questo poema un senso spirituale, occorra trovargli un altro tema. Inversamente, è troppo spiccio anzi sciocco pretendere che il Cantico non significhi niente altro. Che gli rimarrebbe di enigmatico se la mente non fosse sollecitata dal fatto che l’uomo vi chiama felicità la novità dell’origine, trovata sulle tracce del suo inizio […]? Per tale ragione, l’esperienza della Sapienza è legata a quella della differenza dei sessi. Là dove l’uomo ritrova come la propria sorgente e da cui esce un altro uomo, là è il luogo di elezione della Sapienza»[2].
Se c’è poi una cosa che veramente non ha senso è collegare il Cantico al love is love, proprio perché il Cantico è così esplicitamente erotico nell’indicare il corpo dell’uomo e della donna che si cercano. Nel Cantico si parla di “vulve” e di “stendardi” e della loro correlazione, mentre un amore omosessuale è costretto a rimuovere uno dei due termini e a depotenziare proprio la fisicità dei genitali che sono correlativi nel maschile e nel femminile per rimandare ad un più generico love. A chiunque appare evidente che alcune posizioni del Kamasutra non sono fisicamente possibili fra due donne o fra due uomini.
Non interessa qui un giudizio morale in merito, ma esattamente una valutazione poetica del testo la cui forza sta nel rimando continuo del maschile al femminile e viceversa.
L’unico sensato giudizio è, pertanto, un apprezzamento dell’approccio benigniano al Cantico unitamente ad una critica ad alcune sue valutazioni che appaiono inconsistenti e pretestuose.
Ritorniamo a pensare, senza schierarci sempre e comunque come tifosi di Roma contro Lazio e Lazio contro Roma, Milan contro Inter e Inter contro Milan: la vita è più seria. Grazie a Benigni che continua a parlare di Dante, di Bibbia, di Comandamenti – e con che passione! - in un mondo culturale che li censura ma anche, e contemporaneamente, biasimo per i tratti populistici del suo recente commento al Cantico.



[1] Cfr., ad esempio, Ct 2,4 «Mi ha introdotto nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore», Ct 7,9 «Ho detto: “Salirò sulla palma, coglierò i grappoli di datteri”. Siano per me i tuoi seni come grappoli d’uva e il tuo respiro come profumo di mele», Ct 7,3 «Il tuo ombelico è una coppa rotonda che non manca mai di vino aromatico. Il tuo ventre è un covone di grano, circondato da gigli» nella versione CEI 2008.
[2] P. Beauchamp, L’uno e l’altro Testamento, Paideia, Brescia 1985, pp. 144-145. Cfr. su questo anche Il Cantico dei Cantici declamato in C’era una volta in America di Sergio Leone e il fallimento di una lettura solo letterale. Brevissima nota di Andrea Lonardo.
Il tono esaltante è quello usato ad esempio da don Mauro Leonardi che scrive per AGI:  "La sfida vinta da Benigni al festival di Sanremo":
...Benigni vince la sfida portando alla luce un testo del Cantico dei Cantici non edulcorato. Qualcuno ha trovato disdicevole che abbia fatto usare a un testo sacro parole come “penetrazione” e “monte di Venere”, altri trovano disdicevole le troppe allegorie delle traduzioni fatte dai cristiani e dagli ebrei.Io penso che quando si sta a Messa va bene usare la traduzione liturgica ma penso anche che quando si sta a Sanremo va bene usare quella erotica. Il credente che sa come nascono i bambini, ha sempre capito a cosa alludessero i metaforici “covoni di grano” e “grappoli della vite” ma, volendo in chiesa anche i piccoli, ha sempre preferito il velo delle immagini.Benigni ha terribilmente ragione quando dice che “nel Cantico dei Cantici c’è qualcosa che fa paura, l’amore”: per questo non c’è da meravigliarsi che le istituzioni, attraverso quei veli, diano il segnale di trattare l’amore con cura.Però, quando si è fuori dalla liturgia, bisogna farsi prendere dall’amore senza paura: “amo perché amo, amo per amare” dice Benigni citando, senza dirlo, San Bernardo...
Sullo stesso sito, don Leonardi ospita la riflessione "filosofica" di Luciano Sesta che scrive: "Benigni e la paura dell'eros cristiano":
Sul Cantico dei Cantici, l’esegesi di Benigni è roba stravecchia. Si tratta della rivalutazione, all’interno della Bibbia, dell’amore sensuale, al di là della lettura allegorico-spirituale fattane dai Padri della Chiesa. Gianfranco Ravasi, fra i tanti, ne parla da decenni nelle sue pubblicazioni.
Al di là degli eccessi, anche un po’ banali, del suo discorso, Benigni ha dunque avuto il merito di evidenziare un aspetto già fortemente presente nella Bibbia, e cioè l’importanza del corpo. Nel cristianesimo il corpo è talmente “sacro”, che Dio stesso è venuto ad abitarne uno, in pienezza. Da quando Dio ha preso carne, nulla può essere puramente “fisico”. Nemmeno la sessualità. Chi perciò accusa Benigni di aver trasformato un testo sacro in un set pornografico è ancora troppo poco cristiano. Solo chi vede nell’intimità sessuale qualcosa di “sporco”, infatti, può pensare che la descrizione di alcuni dettagli erotici, nello spontaneità di una giovane coppia di sposi, rappresenti un’indecente dissacrazione. Il Cantico dei Cantici ci dice il contrario. Se si trova nella Bibbia, non è per raccontarci in forma allegorica del rapporto spirituale fra Dio e l’umanità, ma per dirci che Dio stesso è già presente anche nell’amore carnale di due sposi.
L’amore di due sposi non è una barca che si getta via dopo aver consentito la traversata verso l’amore di Dio. Non ha un valore strumentale, come se l’unico vero amore fosse quello, disincarnato, per Dio. Guardare all’amore umano come trampolino di lancio per quello divino nasconde ancora un sottile disprezzo e una diffidenza nei suoi confronti, come se nell’amore umano non vi fosse già, pienamente incarnato, quello divino. E invece, prigionieri di un pregiudizio platonico che non ha nulla a che vedere con la carnalità cristiana, molti cattolici pensano che se non viene “usato” come mezzo per arrivare a un Dio in cui il sesso non c’entra più nulla, l’amore umano sia solo idolatria. Sarebbe un po’ come se accusassimo i cattolici di “idolatria” della farina solo perché adorano l’ostia…
Dietro lo sdegno nei confronti del discorso di Benigni, che avrà pure avuto qualche eccesso, c’è probabilmente il conto ancora aperto che molti cattolici hanno con la sessualità. Prigionieri di uno spiritualismo ascetico di origine platonica, facciamo secondo me ancora fatica ad accettare la logica dell’Incarnazione, e crediamo che essere più vicini a Dio comporti astenersi da quella corporeità che pure Egli ha abitato in pienezza. È innegabile, siamo turbati dall’erotismo, come se i gesti intimi che il Cantico inequivocabilmente descrive dovessero essere “esorcizzati” con la spiegazione allegorica dei Padri. È così è stato, fin dall’inizio. Perché?
Pensiamoci bene. Nella tradizione cristiana ha prevalso non il timore che l’uomo non amasse abbastanza gli altri, ma che li amasse troppo, riservando a loro ciò che è invece dovuto solo a Dio. Questo spiega come mai anche l’amore fra uomo e donna debba assomigliare, il più possibile, all’amore del celibe e della vergine consacrati a Dio, e cioè essere vissuto con il dovuto distacco, amando un marito o una moglie come se non li si amasse (1 Corinzi 7). Sant’Agostino giunge a dire che «Quanto migliori sono i coniugi, tanto più presto cominceranno ad astenersi di reciproco accordo dall’unione della carne» (Agostino, La dignità del matrimonio, 3.3). Altro che Cantico dei Cantici
Perché questo “esorcismo”? Cosa c’è dietro la diffidenza religiosa nei confronti dell’eros? Una possibile risposta è che certo cristianesimo diffida dell’eros perché l’eros è l’unica esperienza umana… veramente divina. E dunque una delle poche, se non l’unica, che può entrare in concorrenza con Dio e con il suo primato su tutto il resto. E in effetti, a pensarci bene, se possiamo dire che “Dio è amore” con la sensazione di aver colto l’essenziale, ciò accade proprio perché l’amore è già esso stesso qualcosa di divino. Diversamente, non sarebbe così efficace per dirci chi è Dio, ma nemmeno così pericoloso da essere scambiato per Lui. E in queste ore la gente non parlerebbe di Benigni…
Altre riflessioni tendenti all'esaltazione sono quelle di Lidia Maggi, e di Enzo Bianchi, mentre numerose sono le voci contrarie, anzi contrarissime: quella di Gandolfini, leader del Family day e quelle pubblicate sul sito dei ciellini Tempi«Benigni ha ridotto il Cantico a un poemetto erotico» e "Benigni, il furbetto che sfrutta l’ignoranza della gente", oltre alle numerose voci contrarie presentate nel precedente post. Aggiungo il contributo de Il Timone che rispolvera una riflessione di don Divo BarsottiC’è un senso unico per vivere l’amore e la riflessione negativa di Luigino Bruni pubblicata su Avvenire: "Cantico dei Cantici. Il corpo delle donne (intimità della Bibbia)".

Concludo con l'analisi dei "Vincitori e vinti" di Padula, presidente del Copercom e la pagella di Avvenire di tutti i partecipanti.

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