Salvini (e Meloni) sull'aborto
Cosa hanno detto Salvini e Meloni?
Salvini domenica - durante la manifestazione leghista a Roma - aveva parlato dell'afflusso di donne "non italiane" che chiedono l'interruzione di gravidanza, nei pronto soccorso di Roma: "Non è compito mio dare lezioni di morale, è giusto che sia la donna a scegliere. Però non puoi arrivare a prendere il pronto soccorso come la soluzione a uno stile di vita incivile per il 2020".
Successivamente ha "chiarito":
"Parlate con alcuni medici, alcuni medici donna, e fatevi raccontare degli abusi che ci sono e fanno male alla salute. Nessuno mette in discussione la libertà di scelta della donna, ma quando si arriva alla settima interruzione di gravidanza... Se ci sono degli abusi, è giusto che la medicina se ne occupi, e la politica di conseguenza. La soluzione è la prevenzione, perchè l'aborto non è un sistema contraccettivo. Bisogna spiegare che non funziona così in Italia, perchè nella stragrande maggioranza dei casi non sono italiane. Il nostro compito è prevenire. Sono orgoglioso di aver aiutato a nascere un centro aiuto alla vita. Se ci sono problemi sanitari è giusto che il Paese se ne occupi".La Meloni:
"Io penso che non debba essere un problema dire in Italia che quando una donna abortisce è una sconfitta per la società, è una sconfitta per tutti, che tutto quello che noi possiamo fare per impedire che una donna debba arrivare a quella soluzione secondo me andrebbe fatto, che c'è un enorme problema legato alla prevenzione dell'aborto in Italia perchè la legge 194, legge molto complessa, aveva tutta una parte dedicata all'alternativa all'aborto che non è mai stata applicata proprio perchè questo è un tema in Italia che non si può aprire, non si può dire che l'aborto è una sconfitta ma si deve dire che è una vittoria...".
Per i valori cristiani sembrerebbe tutto ineccepibile (tranne lo svarione del "Pronto soccorso" che non è il luogo dove si svolgono gli aborti), ma ecco le critiche anche dagli ambienti conservatori (La nuova bussola quotidiana):
Sono parole contraddittorie quelle del segretario della Lega. Come si può infatti dire che la donna deve essere libera di scegliere per poi affermare che quello che sceglie è incivile? Perché o l’aborto non è un omicidio, oppure lo è. O è un diritto della donna, oppure non lo è. Perciò, o va pagato sempre dallo Stato, oppure mai. Perché, in sintesi, se la donna ha diritto di sceglierlo una volta, non può farlo tutte le volte che vuole? Certo l’ex ministro degli Interni fa la differenza fra l’aborto come “extrema ratio” e l’aborto come contraccezione. Ma è proprio la bugia dell’omicidio come un “rimedio estremo” possibile ad aver generato il nichilismo per cui si sbarazza dei bambini come fossero oggetti, tanto che le recidive sono migliaia: il ministero della Sanità parla di uno 0,9% di donne che hanno abortito nel 2017 (80.733) che avevano avuto 4 o più aborti.Eppure le parole di Salvini hanno fatto scalpore come se il leader leghista avesse messo in forse quello che per gli Stati occidentali è diventato il diritto dei diritti. C’è poco da scomporsi, però, se il capo dell’opposizione prova a combattere il finanziamento della pratica mentre lui stesso la fa passare come un diritto. Perché se il punto di partenza, come afferma lui, è la scelta della donna come sacra, allora non ci sono ragioni sufficienti per sostenere che questa vada limitata.Peccato, perché con questi giri di parole Salvini accende l’ira dei suoi nemici, senza guadagnare molto fervore fra l’elettorato pro vita. Peccato anche perché basterebbe affermare la verità per sostenere fino in fondo quello a cui il leghista richiama: l’aborto è l’omicidio di un bambino, privato fin dal suo concepimento del diritto dei diritti, quello di vivere. È solo riconoscendo questo che si può dire che l'aborto è incivile (non che lo è fino ad un certo punto), e che mai e poi mai si può finanziare l’omicidio di un essere umano. Quel che non si comprende fino in fondo è se questo atteggiamento nasca da una scarsa convinzione ad ingaggiare una battaglia sull’aborto, dal timore di perdere parte del suo elettorato laico o da una certa solitudine nel sostenere alcuni temi insieme alla mancanza di un forte movimento pro life alle sue spalle. In ogni caso Salvini starebbe facendo un grosso errore. Per quanto riguarda la sua convinzione sul tema è giusto ribadire che ad un giorno dal concepimento, o a dodici mesi, l’eliminazione di un feto è sempre un assasinio (quindi la lesione del diritto di un indifeso, prima ancora che la scelta di una madre adulta che dovrebbe comunque rispondere delle conseguenze dei suoi atti). Perciò il problema non è innanzitutto di natura economica o delle donne immigrate che intasano i pronto soccorso («ci sono - ha continuato il legista - immigrati che hanno scambiato i pronto soccorso per un bancomat sanitario per farsi gli affari suoi senza pagare una lira»).Per quanto riguarda il problema dell’elettorato, Salvini dovrebbe invece guardare a Trump: sin dall’inizio della sua prima campagna elettorale, il presidente repubblicano fu combattuto da poteri molto più forti di quelli con cui ha a che fare lui solo per aver parlato della santità della vita e del fatto che nessuna persona, sana o malata che sia, va eliminata. Soprattutto Salvini dovrebbe imitare Trump, se davvero come lui vuole farsi portavoce della tradizione cristiana del proprio Paese (come ha detto più volte di voler fare con il rosario in mano). Il presidente americano, dopo quattro anni di politiche fortemente pro life (uno dei motivi per cui ha rischiato l'impeachment), ha risvegliato un elettorato religioso ormai stanco, che ora per lui sarebbe disposto a tutto. Non a caso il presidente ha affermato senza ambiguità che: «La nostra Nazione ribadisce con orgoglio e forza il suo impegno a proteggere il prezioso dono della vita in ogni fase, dal concepimento alla morte naturale». O ancora, partecipando come primo presidente Usa alla Marcia per la Vita, ha confermato: «Siamo qui per una semplice ragione: difendere il diritto di ogni bambino nato e non nato affinché realizzi il progetto di Dio su di lui…per promuovere la bellezza e la dignità di ogni vita umana lavorando per porre fine all'aborto».È vero che il movimento pro vita italiano è molto più debole di quello americano, anche perché, a differenza del secondo, il primo si è subito politicizzato (vedi Family Day) perdendo la funzione di movimento di pressione e di piazza che avrebbe potuto assumere. Ma un popolo di fedeli, pur senza generali, esiste anche in Italia e chissà che non decida di ridiscendere nel campo politico-culturale, trovando un capitano davvero valido.In ogni caso, caro Salvini, quel Rosario e quella Madonna (di Medjugorje) a cui anche noi siamo tanto affezionati, che portava al polso anche mentre parlava dell'aborto, e che lei mostra, giustamente, come il segno della cultura che vuole rappresentare, non sono oggetti sentimentali. Ma il segno di una visione della vita che viene da una fede profondamente ragionevole e rispettosa della realtà e di ogni persona. Quindi della verità. E in questo caso la verità cristallina è che l’aborto è l’omicidio di un figlio in grembo. Mentre la tradizione di cui lei si fa difensore si fonda su comandamenti necessari alla vita di ogni uomo e di ogni società (credente e non) per prosperare, fra cui c’è quello di non uccidere. Soprattutto se si tratta della carne della tua carne. A lei che ha coraggiosamente citato i messaggi della Madonna vogliamo allora ricordare anche questo: «Non abbiate però paura a testimoniare la verità, perché se voi non avete paura e testimoniate con coraggio, la verità miracolosamente vincerà».
Da Avvenire le critiche sono sul "razzismo" strisciante di Salvini:
E da un altro articolo:Sono molte le donne immigrate che abortiscono. In proporzione molte più delle italiane. Ma dietro, non poche volte, ci sono storie di violenze, di sfruttamento sessuale e lavorativo. Lo rivelano le cronache e, soprattutto, il racconto dei volontari che combattendo queste forme di sfruttamento molto spesso salvano mamme e figli. «In vent’anni ne abbiamo salvate più di 400, e anche più di 60 bambini che portavano in grembo», ci aveva spiegato con molta soddisfazione suor Rita Giaretta, fondatrice di 'Casa Rut' di Caserta, luogo di salvezza e di riscatto per prostitute. Tante arrivano col pancione. Ma tantissime straniere ricorrono all’interruzione di gravidanza. Come si legge nell’ultima relazione inviata al Parlamento dal Ministero della Salute, «un terzo delle interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) in Italia continua a essere a carico delle donne straniere: un contributo che è andato inizialmente crescendo e che, dopo un periodo di stabilizzazione, sta diminuendo in percentuale, in numero assoluto e nel tasso di abortività». Il dato resta molto alto, soprattutto se si considera che la popolazione straniera residente, come da dati Istat, costituisce solo 1’8,5% circa dell’intera popolazione residente in Italia. Ma il calo c’è.«Dopo un aumento importante nel tempo, le Ivg fra le straniere si sono stabilizzate e negli ultimi anni cominciano a mostrare una tendenza alla diminuzione: sono il 30,3% di tutte le Ivg nel 2017 valore simile a quello del 2016 (30%)», mentre era il 31,1% nel 2015 e 33% nel 2014. È «in diminuzione anche il loro tasso di abortività (15,5 per 1.000 nel 2016 rispetto a 15,7 nel 2015 e 17,2 nel 2014), permanendo comunque una popolazione a maggior rischio di abortire rispetto alle italiane: per tutte le classi di età le straniere hanno tassi di abortività più elevati delle italiane di 2-3 volte». Resta alta, pur se in forte calo, la percentuale di Ivg effettuate da donne con precedente esperienza abortiva. Quella delle italiane è stata del 21,3% nel 2017 rispetto al 22,1% del 2016, quella della straniere il 36% rispetto al 37%. «Tali donne – commenta il Ministero – hanno un rischio di abortire, e quindi di riabortire, più elevato rispetto alle italiane».
«Mi hanno teso una mano quando stavo per affogare. Se Federico è nato, lo devo a loro. Non sapevano niente di me, ma hanno amato me e il mio bambino, senza condizioni». La voce di Amina, 17enne di origine straniera, si staglia limpida sul cicaleccio confuso che abbiamo ascoltato nelle ultime ore sull’aborto. Amina non aveva famiglia, era sola al mondo, aveva deciso di abortire perché «che futuro potevo dare a un figlio?»; all’ultimo minuto ha incontrato i volontari del Movimento per la vita e il Progetto Gemma di adozione prenatale a distanza. Ma la voce limpida di Amina non sembra interessare a nessuno. È un peccato, perché avrebbe molto da insegnare.
Il leader della Lega Matteo Salvini domenica durante un comizio a Roma ha stigmatizzato l’utilizzo dei Pronto soccorso italiani come supermarket degli aborti ripetuti da parte di donne «né di Milano né di Roma», come «soluzione a stili di vita incivili». Parole inesatte o addirittura fuorvianti per vari motivi. Ilprimo è che le donne non vanno ad abortire al Pronto soccorso. L'iter è ancora e sempre quello fissato dalla legge 194 del 1978 e prevede una visita ginecologica, una "sospensione" di 7 giorni e poi la procedura, chirurgica o farmacologica, in un ospedale o in un centro autorizzato. Il secondo motivo è che il fenomeno delle «recidive», pur gravissimo, in Italia è decisamente meno frequente che in altri Paesi, con valori tra i più bassi a livello internazionale: lo 0,9 per cento delle donne sottoposte a Ivg nel 2017 (in totale 80.733, in costante diminuzione dal 1982) avevano avuto 4 o più aborti precedenti (una percentuale minima, dunque), che l'1,4 ne aveva avuto 3 precedenti, che 5,1 per cento ne aveva avuti 2 precedenti.
Il terzo motivo – il più importante – per cui le parole del leader della Lega sono fuorvianti riguarda gli «stili di vita» che le donne straniere adotterebbero e che sarebbero la causa degli aborti ripetuti. Se è indubbio che per una (minima) parte di donne e dei loro uomini l’aborto è vissuto come contraccezione d’emergenza (ma ciò riguarda soprattutto l’utilizzo delle pillole del giorno dopo, non censito dalle statistiche sulle Ivg), la situazione più frequente è quella di povertà materiale e culturale, solitudine e sopraffazione. «Stili di vita incivili» di cui le donne non sono protagoniste ma vittime: ragazze dalle quali lo sfruttatore finale – italiano – pretende rapporti non protetti. Giovani immigrate che svolgono lavori non regolari, sottoposte a duri ricatti sulla propria vita personale.Nessuno, né domenica né lunedì, ha parlato di tutto questo, seppellendo nella rissa para-politica un tema serio, serissimo, nascosto, se non addirittura “segretato”: la solitudine e l’abbandono in cui si trovano le donne più fragili di fronte a una gravidanza indesiderata. Questo sì, dovrebbe far discutere. Questo sì, dovrebbe indignare.Se Salvini ha scelto uno slogan sbagliato e infelice (“I Pronto soccorso come supermarket degli aborti per rimediare a uno stile di vita incivile”) la replica della sinistra è stata altrettanto deludente, con un contro-slogan del leader del Pd – «Giù le mani dalle donne» – ugualmente fuorviante. Il riflesso condizionato della sinistra, quando si parla di aborto, è alzare le barricate in difesa dell’autodeterminazione delle donne, della libertà/diritto di scegliere e della intangibilità della legge 194. Insistere su questi tasti assomiglia a un tentativo di distogliere l’attenzione sulla questione vera. Di che libertà esattamente parla la sinistra quando una donna si sente obbligata ad abortire perché non ha i mezzi per affrontare la maternità? Che genere di autodeterminazione c’è quando ad abortire è una ragazza straniera sfruttata sui campi o sul ciglio di una strada? Quello che è mancato nel dibattito ancora una volta ideologico di queste ore, a destra come a sinistra, è la voce di Amina e delle migliaia che, a differenza di lei, non hanno trovato una mano tesa.Allora, rovesciamo lo slogan: non «Giù le mani dalle donne», bensì «Mani tese alle donne», soprattutto a quelle più fragili. Con i sostegni per altro previsti e mai attuati dalla 194, che non a caso si intitola "Legge contenente norme per la tutela sociale della maternità". E si dimostri, con scelte politiche non ideologiche ma coraggiose e di autentica umanità, come fa da mezzo secolo il Movimento per la vita con le sue mani tese, che ciò che sta a cuore non è solamente la difesa del principio astratto dell’autodeterminazione in quanto tale, ma la concreta libertà dalla solitudine, dalla sopraffazione, dal bisogno, dalla povertà. La libertà di scegliere per la vita.