Rosaria, la vedova Schifani, e il sostegno di don Ciotti e Gramellini
Ciotti scrive alla Vedova SchifaniIn una lettera sul sito di Famiglia Cristiana
Cara Maria Rosaria, con tutta Libera ti sono vicino in questo momento che immagino di profondo smarrimento e angoscia. Ma mi permetto di aggiungere a me e Libera tutti gli italiani onesti che non solo sognano ma fanno qualcosa per liberare il nostro Paese dalle mafie, comportandosi da veri cittadini, quelli a cui si rivolge la Costituzione, custodi e promotori del bene comune.E che hanno visto in te – attraverso quelle immagini nella chiesa di San Domenico, a Palermo, immagini che sono entrate nel nostro patrimonio culturale con la forza dei simboli – una donna capace di trasformare il suo immenso dolore in un orizzonte d’ impegno e di speranza. Ancora risuonano nelle coscienze, quelle parole rivolte agli uomini della mafia. Risuona la tua disponibilità al perdono in cambio di un reale pentimento, un «mettersi in ginocchio» e avere il coraggio di cambiare. E poi, subito, quell’ attimo di sconforto – «ma loro non cambiano!» – che nella mia memoria si lega a quello di Nino Caponnetto dopo Capaci e via d’ Amelio: «È finito tutto!». Attimi di smarrimento che sono stati, in entrambi i casi, preludio di una tenace resistenza, di un impegno per la verità e la giustizia cioè per la vita.Hai seminato tanto, Rosaria, seminato speranza e trasmesso coraggio. E insieme al frutto più bello – il tuo, il vostro Emanuele, oggi capitano della Guardia di Finanza – ne hai generati tanti altri, di frutti spirituali, non solo tra i famigliari di altre vittime di mafia ma anche tra donne che da famiglie mafiose si vogliono riscattare, assicurando per se stesse e i propri figli un futuro di libertà e dignità, una vita non più ostaggio della violenza e della morte.A conferma di quanto fossero lucide quelle altre parole che in un’ altra occasione hai rivolto ai boss: «avete commesso l’ errore più grande perché tappando cinque bocche ne avete aperte 50 milioni».Continuiamo a camminare insieme, Rosaria, perché la forza del “noi”, dell’ essere comunità, sconfiggerà le mafie, la corruzione, le ingiustizie. Realizzando il sogno di Vito e di chi, per quel “noi”, ha dato la vita.Famiglia Cristiana I 19.02.2020 IMassimo Gramellini sul Corriere di oggi: "Sorella coraggio"
Rosaria Schifani, vedova di uno degli agenti della scorta di Falcone, è precipitata dentro l’ultimo atto di una tragedia greca. Tutti ricordano il primo: il suo appello durante i funerali, quando si rivolse agli uomini della mafia «presenti e non», chiedendo loro di inginocchiarsi e di cambiare, «ma tanto loro non cambiano». Scandiva le parole con timbro straziato e straziante, lontana anni luce dallo spettacolo del dolore che la tv avrebbe poi trasformato in un genere. Lei era autentica. Aveva vent’anni, allora, e un bambino di pochi mesi. Lo ha cresciuto da sola fino alla laurea, fino a farne un capitano delle Fiamme Gialle.
Stava iniziando a tirare il fiato, quando l’altro giorno ha scoperto che suo fratello Pino - lo zio di suo figlio, il cognato di uno dei martiri di Capaci - era stato arrestato per associazione mafiosa. Pare che davanti ai boss avesse preso le distanze dal discorso della sorella: in quel mondo all’incontrario, sono i cattivi che si vergognano dei buoni. Dopo una notte in bianco bagnata dalle gocce dei calmanti, la signora Schifani ha parlato con il nostro Felice Cavallaro, e ancora una volta è risuonata la voce di una donna dello Stato. Ha chiesto scusa per «il mostro in famiglia». E ha intimato a questo fratello, che chiama Caino e non sente da anni, di confessare tutto e di «accettare il giudizio degli uomini, non solo quello di Dio, altrimenti io lo ripudio per sempre».
«Loro non cambiano», è vero. Per fortuna non è cambiata neanche lei.