Enzo Bianchi: gli ultimi articoli pubblicati sulle riviste
Vedi anche: "Alcuni errori di Enzo Bianchi (e altri dei suoi detrattori)" (Aleteia, 28 gennaio 2019)
Jesus - Bisaccia del mendicante - Novembre 2018Nessuno vive solo per se stesso
…nessuno vive per se stesso e solo da se stesso.
La sua felicità, il suo bene dipendono sempre anche dal tessuto di rapporti che
ognuno crea, custodisce, sviluppa ogni giorno. E in questo tessuto un giovane
deve scoprire di essere debitore verso molti altri che gli hanno reso
possibile il suo presente, sacrificando qualcosa o molto
del loro presente: altri hanno faticato, operato rinunce, a volte
hanno dato la vita o, perlomeno, l’hanno spesa affinché il loro mondo fosse più
umano. Molti hanno lavorato all’umanizzazione della società e della vita, hanno
sacrificato qualcosa del loro presente affinché il futuro fosse più vivibile,
più umano. E questo debito è ancora più grande per i giovani che vivono in una
condizione ancora ignota a molti, troppi loro coetanei, immersi in un presente
segnato da miseria, fame, guerra, migrazione forzata…
È importante esserne consapevoli, perché se i giovani
non dimenticano il loro passato né le sofferenze di tanti loro compagni di
cammino ai quattro angoli del mondo, allora non sono tentati di appiattire il
loro presente solo al fine del godimento; non sono tentati di crescere dandosi
un comportamento individualistico, egoistico, in cui pensano solo a se stessi
senza gli altri, magari a costo di mettersi contro gli altri. Un giovane che
comprende il suo essere debitore verso gli altri, il suo aver
ricevuto dagli altri, sente di avere responsabilità neo
confronti degli altri e del futuro collettivo della società e dell’umanità
intera: ecco come uno scopre, assume l’etica, che è sempre un guardare alla
convivenza, alla communitas, in modo da vivere con gli altri nel
rispetto, nella giustizia, nella collaborazione, nella solidarietà, in modo da
godere insieme della vita piena, della pace, fino a sperare insieme…
E così un giovane scopre il bisogno di autodominio, di
autocontrollo, impara a discernere tra le proprie voglie ciò che è possibile,
ciò che è buono, ciò che costruisce la vita insieme agli altri. Si tratta di
assumere la disciplina che non cede a concessioni continue a
ciò che si vuole, si sente, si desidera, a ciò che soddisfa. Essere
intelligenti, esercitare un giudizio, mettere in atto tutte le proprie facoltà
intellettuali è un dono e una responsabilità. La vita infatti è complessa,
sempre esposta al male e al bene, tentata dal demonio e nel contempo attirata
dalle energie dello Spirito santo. Immerso in questo contesto, il cristiano è
chiamato, indipendentemente dalla sua età, a leggere il futuro, a scegliere
un’azione piuttosto che un’altra, ad accogliere o rifiutare una chiamata.
Proprio qui si situa la necessità del discernimento, carisma che va invocato, custodito
e costantemente affinato; fino a possedere, se Dio la concede, quella chiaroveggenza
spirituale che è vera partecipazione allo sguardo di Dio sugli uomini,
sulle cose e sugli eventi, attraverso un progressivo cedere alla sua grazia che
ci attira.
Compito non facile, quello del discernimento
quotidiano, soprattutto per un giovane sollecitato da chi ha interesse a
orientare in un determinato senso le scelte, per trarne profitto a breve o a
lungo termine. Eppure compito ineludibile: non esistono infatti scelte
individuali che non abbiano effetto di bene o di male sulla vita sociale, sul
futuro di tutti! L’esistenza di un giovane deve saper vivere anche le rinunce,
anche il sacrificio, ma è in questo modo che si conosce la beatitudine della
comunione dell’amicizia, dell’amore: e allora si può vivere sperando, sì
sperando…
Ha scritto sant’Agostino: «In tutte le cose umane
nulla è bene per l’uomo, se l’uomo non ha uomini amici». Si vive umanamente
bene solo se fin da giovani condividiamo, se siamo responsabili gli uni degli
altri, se conosciamo la dolcezza della societas, la bontà
della communitas.
Vita Pastorale - Rubrica “Dove va
la chiesa” - Febbraio 2019
L'esilio del Vangelo nelle nostre Chiese
L'esilio del Vangelo nelle nostre Chiese
Scrivendo questa riflessione
all'interno del la rubrica "Dove va la Chiesa?", ho la piena
consapevolezza di pubblicare una forte denuncia sulla situazione della comunità
dei cristiani nel nostro Paese. Stiamo, di fatto, vivendo e assistendo a una
mutazione dell'essere cristiani; mutazione che dovrebbe inquietare molto quelli
che "amano Gesù Cristo" e aderiscono al suo Vangelo. Tento, quindi,
di individuare la causa di questa crisi e di leggere le gravi conseguenze che
ne derivano.
Mi riferisco alla marginalità
assunta, in questi ultimi anni, dalla liturgia all'interno della vita
ecclesiale. Non mancano, certo, comunità nelle quali la liturgia è vissuta
intensamente. Ma resta l'impressione che oggi, nella Chiesa italiana, la
liturgia si trovi in un cono d'ombra rispetto a temi ecclesiali ritenuti
centrali come la famiglia, i giovani, l'educazione, i poveri. E, più in
generale, i temi morali e sociali. Anche l'approvazione della nuova edizione
del Messale (in realtà, occorrerebbe parlare di una semplice revisione della
traduzione dei testi), lo scorso novembre, da parte della Cei, è avvenuta in un
clima di disinteresse e mancanza di attesa e di attenzione.
Cos'è successo? Perché questa
stanchezza? Non è facile dare una risposta. Certamente, dopo l'entusiasmo per
la riforma liturgica voluta dal concilio Vaticano II, s'è registrata una
"battaglia liturgica" che non ha giovato, ma anzi ha stancato i
credenti. Occorre, però, anche dire che è subentrata una grande diffidenza
verso ogni rinnovamento liturgico. Al punto da impedire ogni legittima e
autentica creatività, richiesta dalla riforma stessa. Oggi, la liturgia
(peraltro ridotta alla sola celebrazione eucaristica), appare
"ingessata" e poco curata. Quasi non meritasse l'impegno e le energie
dedicate ad altre attività diaconali essenziali, ma generate e plasmate come
evangeliche dalla liturgia stessa. I presbiteri non hanno molto tempo da
dedicarvi. E i fedeli non la sentono più essenziale, non la ritengono più la
fonte del loro agire quotidiano nel mondo. Va detto con franchezza: la
sterilità della comunità cristiana nel produrre e adottare musiche e canti
degni della liturgia cristiana, gli abusi praticati per rendere la liturgia
mondanamente attraente e spettacolare, la sciatteria che non conosce l'ars
celebrandi e la necessaria bellezza dei riti, rendono a volte la liturgia, non
più Vangelo celebrato, ma un insieme di parole e gesti che non genera né fede,
né speranza, né carità. E va riconosciuto: i tradizionalisti che denunciano,
con asprezza e polemiche, introduzioni di stranezze nelle celebrazioni e
nell'uso dello spazio liturgico sovente lo fanno con ragione.
Perché non si ha il coraggio di
dire che alcune formulazioni liturgiche risultano ostiche e, ormai, incapaci di
narrare il Dio di Gesù Cristo? E non è solo questione di linguaggio da
adeguarsi e aggiornarsi, come nella traduzione del Padre nostro (con il «non ci
indurre in tentazione» modificato in «non abbandonarci alla tentazione»), ma di
orazioni e formule che, oggi, sono incapaci di far ardere il cuore di chi le
ascolta o le ripete. Nella vita ecclesiale si registrano scollamenti e anche
vere e proprie contraddizioni tra il linguaggio teologico-pastorale della
catechesi, della predicazione con il linguaggio liturgico di testi che
rispecchiano antichi modi, perlopiù medioevali, di sentire e vivere la
relazione con Dio nella fede e nella preghiera.
Ma cosa si fa perché l'eucaristia domenicale sia qualcosa di vitale, di veramente comunitario, in grado di consentire il riconoscimento reciproco e una vera fraternità per quanti vi partecipano? Ascolto, silenzio, parola, canto, meditazione sono essenziali alla liturgia cristiana, ma occorre che questa sia anche segno di fraternità, gratuità, condivisione, antidoto alla solitudine e all'isolamento dominanti nella nostra società.
Ma cosa si fa perché l'eucaristia domenicale sia qualcosa di vitale, di veramente comunitario, in grado di consentire il riconoscimento reciproco e una vera fraternità per quanti vi partecipano? Ascolto, silenzio, parola, canto, meditazione sono essenziali alla liturgia cristiana, ma occorre che questa sia anche segno di fraternità, gratuità, condivisione, antidoto alla solitudine e all'isolamento dominanti nella nostra società.
Se dunque manca questa centralità
del Vangelo celebrato, se manca la fonte, che cosa ne deriva? Almeno due
conseguenze. La prima è che la liturgia è sempre più evasa dalla maggior parte
dei cristiani, specie i più giovani. Mentre "piccoli greggi" la
vivranno in modo da sentirla solo come un patrimonio da conservare per la loro
identità. Il bisogno postmoderno di conservare e commemorare spinge, purtroppo,
a fare della liturgia del passato un "patrimonio immateriale" che va
conservato.
Così si formano piccoli ghetti
religiosi e liturgici, che si sentono custodi di un museo, non di una
tradizione viva che, come una fonte, può dissetare gli uomini e le donne di
oggi. Una liturgia che è valutata non tanto sulla sua capacità di far ardere il
cuore, quanto sulla sua capacità di apparire solenne e religiosa, fornisce il
senso di un'appartenenza sicura ma superficiale. Se la liturgia non è Vangelo
celebrato, l'esistenza cristiana è ridotta a pratica rituale, che spinge a
vivere senza un vero riferimento alla liturgia stessa, senza la sorgente della
comunione con il Signore.
Ma c'è anche un'altra conseguenza.
Se la liturgia diventa periferica nella vita del cristiano, allora quale
spiritualità si può vivere senza questa fonte? Al riguardo, è significativo
constatare che oggi i cristiani disertano le assemblee liturgiche ma tentano di
vivere sempre di più "le spiritualità", fabbricandosi itinerari
"fai da te". Ci stiamo accorgendo della deriva della spiritualità dei
cristiani? Non è più la spiritualità che si nutriva alle fonti delle Sacre
Scritture o dei padri della Chiesa, ma una spiritualità teista, con un
riferimento al divino, non al Dio di Gesù Cristo. Una spiritualità concepita
come etica terapeutica, tesa al benessere personale, allo stare bene con sé
stessi e con gli altri nel quotidiano. Una spiritualità che dà conforto, ma non
sta più sotto il primato della grazia e della salvezza che solo Dio può dare. È
una spiritualità in cui si ripetono le beatitudini proclamate da Gesù,
declinandole però solo a istanza morale, non come Vangelo, buona notizia...
Ecco, il venir meno della qualità
"fontale" della liturgia nella vita dei cristiani provocherà
debolezza della fede per molti. E fagociterà appartenenze culturali per altri.
Crescerà il numero dei "cattolici del campanile". Cattolici senza
vera appartenenza alla Chiesa eucaristica, anestetizzati nei confronti del
Vangelo. E, sempre di più, altri percorreranno sentieri di spiritualità che
ispirano l'autosalvezza, senza il primato della grazia e senza la dimensione
escatologica.
In queste due possibili derive si
potrebbero comprendere le denunce che papa Francesco ripete contro il
pelagianesimo e lo gnosticismo, oggi riapparsi in nuove forme inedite, ma
sempre ispirate dal rifiuto del primato del Vangelo e del mistero eucaristico,
memoriale della vita, della morte, della risurrezione e della venuta gloriosa
di Cristo, il Signore. Perciò, occorre più che mai una comunità cristiana che
nella liturgia non permette l'esilio del Vangelo dalla vita ecclesiale.
Titolo | Data | Testata |
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