VI domenica del tempo ordinario: "Beati voi...ma guai a voi..."
Davanti a noi c'è un bivio: una strada larga, tutta illuminata e pubblicizzata con schermi suadenti che ci promettono di raggiungere la felicità attraverso il denaro, il successo, il potere, il piacere...
Dall'altra parte c'è una strada di campagna senza asfalto e in penombra, senza pubblicità, ma solo qualche scritta che ci dice:
"Beati voi..., ma guai a voi!"
Beati voi poveri, voi che ora avete fame, voi che ora piangete, voi che sarete odiati e insultati a causa mia. Beati, felici non perchè poveri, ma perchè avete Dio dalla vostra parte, perchè Dio ha un debole per i deboli, perchè Dio è la sorgente della felicità e si prende cura di loro...
"perchè vostro è il Regno di Dio, perchè sarete saziati, perchè riderete, perchè grande è la vostra ricompensa nel cielo".
C'è un presente (il Regno di Dio è vostro, oggi) e tanti verbi al futuro. Ci si può fidare? Non è più sensato affidarci alle indicazioni che il mondo ci offre?
Chi si è fidato lo ha testimoniato: questa strada ti porta ad una gioia profonda, già ora e poi in pieno nella vita eterna. Sono i tanti Santi, testimoni che questa è la strada giusta.
Ma allora dobbiamo diventare poveri, affamati, sofferenti, perseguitati... per raggiungere la felicità? Più che di un precetto, di una indicazione, si tratta di un incoraggiamento: Gesù è attorniato di gente, in questo luogo pianeggiante (Matteo presenta la versione più nota, fatta di 8 beatitudini e in montagna: ma chissà quante volte e in quanti modi Gesù avrà parlato di felicità), li chiama discepoli (coloro che seguono il Maestro, che ascoltano e imparano a vivere da Lui) ed è a loro che si rivolge:
voi che, agli occhi del mondo, risultate sfortunati, accidentati, male in arnese...voi (e forse solo voi) siete in grado di accogliere il Signore, di rivolgervi a Lui, di chiedergli aiuto: non si tratta allora tanto di un ribaltamento delle condizioni attuali per ristabilire una sorta di giustizia (retributiva) per cui tu che hai goduto in questo mondo ora ne paghi il prezzo e lascia che siano quelli che hanno penato prima a godere ora. Piuttosto si tratta di renderci conto su chi affidiamo la nostra felicità, la nostra realizzazione:
se ti affidi a Dio ti scoprirai di diventare come un albero verde e rigoglioso che riceve molta acqua e che dà molto frutto. Se ti affidi al denaro, al potere, al successo... ti ritroverai ad essere come un albero che cresce a stento nel deserto, sterile e destinato alla morte.
Commenta Rosini:
Chi lo ascolterà? Questo è il discrimine: gli darà retta chi è povero, chi ha fame, chi sta piangendo. Un ricco ha già la sua consolazione, e questo predicatore non lo sta a sentire. Perché dovrebbe ascoltarlo?Ecco il paradossale rovesciamento di prospettive che questo Vangelo porta con sé: la felicità di Cristo non è disponibile per chi ha la pancia piena. Chi è sazio e divertito è sbadato e appagato, e non si rende conto della sua mediocrità e delle trappole che lo aspettano. Un salmo dice: «L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono».LA NOSTRA POVERA VERITÀ. Si può leggere tutto questo in prospettiva esterna, ma anche in dimensione interiore: in noi c’è una parte povera, ci sono lacrime, c’è qualcosa di incompleto e carente, e questa miseria è la porta d’ingresso del Salvatore. La preghiera entra per lo squarcio d’incompletezza che ci portiamo dentro, la percezione della nostra insufficienza è la nostra povera verità. Ma è proprio questa povertà che ci fa accogliere il Salvatore. La Vergine Maria dice lo stesso nel Magnificat: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi.»Sotto il punto di vista spirituale la nostra miseria è il nostro punto di forza, lo spazio di Dio nella nostra vita. E pensare che noi odiamo le nostre povertà… L’esperienza conferma che cercare di parlare al tronfio, al soddisfatto, al potente che è in noi, è una battaglia persa. Il libro dei Proverbi dice: «Prima della rovina viene l’orgoglio, e prima della caduta c’è l’arroganza». Vero.