VI domenica del tempo ordinario: "Beati voi...ma guai a voi..."
Cosa ci rende felici? Magari mangiare, stare con gli amici,
giocare… Difficilmente pensiamo a Dio come fonte della felicità.
Magari invidiamo chi ha tanti soldi,
successo, potere e difficilmente desideriamo imitare la vita dei santi.
Gesù, nella versione di Luca, ci parla
di 4 modi per essere felici: essere POVERI, AFFAMATI, AFFLITTI, PERSEGUITATI/ODIATI…e,
diciamo la verità, non ci convince molto.
E in effetti non è la povertà, la fame,
l’afflizione, la persecuzione a renderci felici e Gesù lo sa bene. Si è felici perché
“nostro è il Regno di Dio”, perché “saremo saziati”, perché “rideremo”, perché “la
nostra ricompensa è grande nel Regno dei cieli”.
Attenzione: non sta parlando di una sorta
di COMPENSAZIONE: qui hai sofferto allora in Paradiso sarai ripagato (o
viceversa). Piuttosto si tratta di alcune considerazioni anche molto umane (e
divine):
- Dio ha un debole per i deboli (così come un genitore ha un debole per
i figli più deboli);
- Dio è la fonte della felicità, ci vuole felici
perché ci ama e ci conosce;
- Dio lo cerchiamo e lo seguiamo quando
abbiamo bisogno, quando ci rendiamo conto delle nostre mancanze, quando le cose
vanno male e non sappiamo dove sbattere la testa:
- Non si tratta di sentirci in colpa perché
lo ricordiamo solo nel momento del bisogno: si tratta piuttosto di trasformare
il bisogno in OCCASIONE per riprendere un rapporto che abbiamo trascurato.
- Chi si soddisfa di cose materiali, chi
pensa di bastare a sé stesso… si dimentica di Dio e scopre tardi che tutto ciò
su cui ha fondato la sua ricerca di felicità non ha esaudito le sue promesse.
- Pensate al classico meccanismo di
rimandare il raggiungimento della felicità alla realizzazione di un desiderio
che abbiamo: sarò felice quando avrò quello smartphone, quando avrò un lavoro
che mi farà guadagnare bene. Ottenuto “l’oggetto del desiderio” passiamo subito
al desiderio successivo.
Chi lo ascolterà? gli darà retta chi è povero, chi ha fame, chi
sta piangendo. Un ricco ha già la sua consolazione, e questo predicatore non lo
sta a sentire. Perché dovrebbe ascoltarlo?
Ecco il paradossale rovesciamento di prospettive che
questo Vangelo porta con sé: la felicità di Cristo non è disponibile per chi ha
la pancia piena. Chi è sazio e divertito è
sbadato e appagato, e non si rende conto della sua mediocrità e delle trappole
che lo aspettano. Un salmo dice: «L’uomo nella prosperità non comprende, è come
gli animali che periscono».
Si può leggere tutto questo in prospettiva esterna, ma
anche in dimensione interiore: in noi c’è una parte povera, ci sono lacrime,
c’è qualcosa di incompleto e carente, e questa miseria è la porta d’ingresso del Salvatore. La preghiera entra
per lo squarcio d’incompletezza che ci portiamo dentro, la percezione della
nostra insufficienza è la nostra povera verità.
Sotto il punto di vista spirituale la nostra miseria è
il nostro punto di forza, lo spazio di Dio nella nostra vita. E pensare che noi
odiamo le nostre povertà… L’esperienza conferma che cercare di parlare al
tronfio, al soddisfatto, al potente che è in noi, è una battaglia persa.
GUAI: Dio non maledice, ma avverte,
richiama, esorta ad evitare il rischio grande di affidarsi a sé stessi, agli
uomini, alle cose materiali anziché a Dio: si diventa come un “tamerisco nella
steppa” che dimora nel deserto, destinato alla morte. Dio ci vuole come alberi
piantati lungo corsi d’acqua: non temono il caldo, rimangono verdi, non
smettono di produrre frutti.
Davanti a noi c'è un bivio: una strada larga, tutta illuminata e pubblicizzata con schermi suadenti che ci promettono di raggiungere la felicità attraverso il denaro, il successo, il potere, il piacere...
Dall'altra parte c'è una strada di campagna senza asfalto e in penombra, senza pubblicità, ma solo qualche scritta che ci dice:
"Beati voi..., ma guai a voi!"
Beati voi poveri, voi che ora avete fame, voi che ora piangete, voi che sarete odiati e insultati a causa mia. Beati, felici non perchè poveri, ma perchè avete Dio dalla vostra parte, perchè Dio ha un debole per i deboli, perchè Dio è la sorgente della felicità e si prende cura di loro...
"perchè vostro è il Regno di Dio, perchè sarete saziati, perchè riderete, perchè grande è la vostra ricompensa nel cielo".
C'è un presente (il Regno di Dio è vostro, oggi) e tanti verbi al futuro. Ci si può fidare? Non è più sensato affidarci alle indicazioni che il mondo ci offre?
Chi si è fidato lo ha testimoniato: questa strada ti porta ad una gioia profonda, già ora e poi in pieno nella vita eterna. Sono i tanti Santi, testimoni che questa è la strada giusta.
Ma allora dobbiamo diventare poveri, affamati, sofferenti, perseguitati... per raggiungere la felicità? Più che di un precetto, di una indicazione, si tratta di un incoraggiamento: Gesù è attorniato di gente, in questo luogo pianeggiante (Matteo presenta la versione più nota, fatta di 8 beatitudini e in montagna: ma chissà quante volte e in quanti modi Gesù avrà parlato di felicità), li chiama discepoli (coloro che seguono il Maestro, che ascoltano e imparano a vivere da Lui) ed è a loro che si rivolge:
voi che, agli occhi del mondo, risultate sfortunati, accidentati, male in arnese...voi (e forse solo voi) siete in grado di accogliere il Signore, di rivolgervi a Lui, di chiedergli aiuto: non si tratta allora tanto di un ribaltamento delle condizioni attuali per ristabilire una sorta di giustizia (retributiva) per cui tu che hai goduto in questo mondo ora ne paghi il prezzo e lascia che siano quelli che hanno penato prima a godere ora. Piuttosto si tratta di renderci conto su chi affidiamo la nostra felicità, la nostra realizzazione:
se ti affidi a Dio ti scoprirai di diventare come un albero verde e rigoglioso che riceve molta acqua e che dà molto frutto. Se ti affidi al denaro, al potere, al successo... ti ritroverai ad essere come un albero che cresce a stento nel deserto, sterile e destinato alla morte.