VISTO: "SILENCE" di Martin Scorsese (voto: 8,5: da non perdere!)
La trama del film è nota: due padri gesuiti portoghesi partono per il Giappone della prima metà del XVII secolo. con l'intento di ricercare il loro mentore, padre Ferreira, e radicare nelle isole la fede cristiana messa in crisi da una violenta persecuzione. Ispirato dall’omonimo romanzo dello scrittore cattolico giapponese Shusaku Endo, pubblicato nel 1966, racconta una pagina di storia vera e straziante.
Il film, magnificamente interpretato e girato, ha suscitato ovviamente grande interesse nel mondo cattolico. Riprendo da diverse testate alcuni commenti scritti. Quasi tutti entusiastici, con alcune eccezioni come quella di Maurizio Blondet che critica:
Fin dall’inizio, un tipico “anacronismo” americano: i due giovani ed ardenti gesuiti che “discutono” gli ordini del superiore, ribattono e controbattono. Come fossero studenti di un college americano del ventunesimo secolo, e non giovani reclute della Compagnia del XVII, formati ed educati alla disciplina militare e all’obbedienza perinde ac cadaver al superiore, che nel caso si chiama “il generale” dell’Ordine....
le due giovani reclute, riuscite (compito inverosimile) a strappare al superiore il permesso di andare in Giappone da missionari (e per ricercare un loro maestro che ha abiurato), appena sbarcati, non fanno che tremare di paura, nascondersi, fuggire terrorizzati dal pericolo di morte, assistere agghiacciati ai supplizi cui vengono sottoposti i convertiti giapponesi. Questo è un errore storico e antropologico assoluto. Nessun cattolico è obbligato a farsi missionario; chi lo fa, non solo è consapevole di aver risposto ad una chiamata che ha il martirio come esito possibile;è così ancor oggi; i gesuiti del ‘600 venivano formati, addestrati, preparati ad affrontare la morte. Di più, molti partivano per desiderio della morte, per sete di versare il sangue ad imitazione di Cristo e degli antichi martiri tanto studiati ed ammirati.Critica è anche la recensione tradotta e pubblica su La Nuova Bussola Quotidiana:
Silenzio di Scorsese non è un film cristiano fatto da un regista cattolico, bensì una giustificazione della mancanza di fede: l’apostasia, se salva delle vite, diventa un atto di carità cristiana, proprio come il martirio diventa quasi satanico se inasprisce le persecuzioni. “Cristo sarebbe diventato un apostata a causa dell’amore” dice Ferreira a Rodrigues e, naturalmente, Scorsese è d’accordo.All'opposto, sull'Osservatore Romano, de Prada afferma:
Gianni Valente, ne La Stampa, parla di capolavoro utile, per conoscere il cristianesimo "più di dieci corsi di teologia".Silenzio è l’eloquente film di un grandissimo artista e di un cattolico che, come Flannery O’Connor, non esita ad addentrarsi in territorio nemico per misurarsi con i demoni che attaccano a morsi la fede. E, addentrandosi in quel territorio, riesce a scuotere la nostra fede flaccida e fievole e ci permette di ascoltare la voce amorevole di Cristo, che risuona come un osanna eterno dentro di noi, condividendo il nostro dolore e perdonando ogni volta i nostri cedimenti e le nostre debolezze.
Mario Dal Bello, per Città Nuova parla di Scorsese come di "un uomo inquieto. Il mondo che rappresenta è violento, dolente, amaro".
Alessandro Zaccuri, su Avvenire, afferma che questo film "si impone già come un classico su fede e misericordia".
Antonio Spadaro, direttore (gesuita) de La Civiltà Cattolica ha raccolto una importante e lunga intervista al regista (in sintesi sul Corriere della Sera e completa su quindicinale gesuita) che, fra l'altro, afferma:
Io sono ossessionato dallo spirituale. Sono ossessionato dalla domanda su ciò che siamo. E questo significa guardarci da vicino, guardare il bene e il male di noi. Possiamo nutrire il bene in modo che, a un certo punto futuro nell'evoluzione del genere umano, la violenza, forse, cesserà di esistere?Sergio Di Benedetto, su Vino Nuovo, si domanda, dopo aver visto questo film, come mai
Negli ultimi anni libri, film, fiction che riescono a porre il tema della fede in modo nuovo, originale, e che riescono anche a inquietare (in modo salutare) provengono dal mondo laico, o distante dalla fede, o "diversamente credente"(così anche Scorsese, secondo a quanto dichiarato nell'intervista a Civiltà Cattolica). Penso a Emmanuel Carrère e al suo Il Regno, edito nel 2015, che affronta l'argomento delle origini del cristianesimo in un continuo passaggio tra I secolo e presente; penso a The Young Pope di Sorrentino; penso ai romanzi, racconti e traduzioni di Erri De Luca, che da diversi anni, da non credente, non cessa di toccare la figura di Cristo, o comunque la Scrittura. Altri artisti potrebbero essere nominati in questo elenco. Dove sono i cattolici che si sentono parte della Chiesa, che ad essa si riferiscono, che di fatto la frequentano? Quelli che hanno il coraggio di prendere di petto il tema del credere, della sua bellezza, fascino, difficoltà? Quando questo accade, spesso si oscilla dall'apologetica alla superficialità, quasi si avesse paura di affondare la penna, il pennello, la macchina da presa nella carne viva della fede, magari perdendosi in ossequiosi omaggi alla gerarchia...Leggi anche: