Non ci sta la redazione del sito UCCR ad accettare le condanne gratuite che vaticanisti e cardinali si lanciano tra fronti contrapposti. Hanno difeso la posizione del papa, ma non gradiscono le parole che il vaticanista de Il Fatto Quotidiano riserva nei confronti del cardinal Burke:
«Burke è un ricco cardinalone americano, ultrà facinoroso della Tradizione», «Burke e Caffarra amano la messa tridentina in latino» e covano «l’odio che anima questa destra cattolica». Questi i “maturi” giudizi che l’opinionista de Il Fatto Quotidiano, Fabrizio d’Esposito, ha espresso sui firmatari dei cosiddetti Dubia.
La ricostruzione degli ultimi attacchi reciproci è documentata e poco edificante: quella di d'Esposito è
un’indebita
aggressione, totalmente ingiustificata. Probabilmente una forma di violenta risposta
agli attacchi che certi giornalisti tradizionalisti-sedevacantisti stanno
attuando contro Francesco e contro vaticanisti che non concordano con le
critiche all’Amoris Laetitia. Pensiamo ad esempio al recente articolo di Riccardo
Cascioli, direttore de La
Nuova Bussola Quotidiana, contro il suo amico e collega Andrea
Tornielli: «parole
dure quelle di Cascioli, che minano più a screditare un collega che a
raccontare i fatti», il commento dell’opinionista cattolico de Il Giornale, Stefano
Filippi.
Così il progressista tollerante e democratico D’Esposito ripaga con la stessa moneta, colorendo con
veemenza i suoi strali contro i tradizionalisti... Stessa musica (senza insulti, però) su Italia Oggi, dove anche Antonino D’Anna si prende gioco del card. Raymond
L. Burke, attuale Patrono dei Cavalieri di Malta finiti
recentemente sotto osservazione del Vaticano in quanto avrebbero distribuito
contraccettivi in Africa. Se l’intenzione del card. Burke era quella di emanare
un «atto di
correzione formale di errore grave» rispetto ai contenuti
della dibattuta esortazione apostolica, scrive D’Anna, ora allo stesso
porporato «gli sono scoppiati tra le
mani i cavalieri di Malta. Chi voleva correggere chi?». Anche Filippo
Di Giacomo su Repubblica non ha mancato di
ironizzare sui quattro cardinali, chiamandoli «cattolici passatisti».
Al complottismo e alle dietrologie dei giornalisti tradizionalisti rispondono gli insulti e gli sberleffi
dei vaticanisti progressisti.
Fanno tutto loro, se la cantano e se la suonano. Siamo ai «giornalisti teologi», ha commentato amareggiato
Stefano Filippi, che «duellano
tra loro su questioni di dottrina e spiegano il mestiere al Papa». Ci
chiediamo quanto davvero abbiano a che spartire questi personaggi con la fede
che dicono di professare e quale sia lo spettacolo che credono di dare della
Chiesa, sopratutto a chi credente non è.
Una piccola critica forse bisognerebbe però farla anche ai
quattro eminenti cardinali. Non sui contenuti, come già scritto consideriamo legittima la richiesta di
chiarimento che hanno rivolto al Papa e alla Congregazione per la dottrina
della fede. Lo scopo non sembra essere quello di mera sfida di dissenso, se si
leggono le parole di Cafarra e Burke (mentre il sociologo Massimo
Introvigne la pensa diversamente). Troviamo tuttavia
discutibile la scelta di spettacolarizzare la
vicenda, dandola in pasto all’opinione pubblica e a chi non ha alcuna
preparazione teologica per dibattere su blog e social network dei contenuti
teologici dell’esortazione pontificia, se non limitandosi a patteggiare per i
propri “giornalisti teologi” di riferimento. Per non parlare della paventata “correzione
formale” che
diventerebbe un pericoloso precedente, aprendo le porte al relativismo e
all’opinionismo, con la surreale possibilità di venire “corretti”
pubblicamente a loro volta da altri cattolici (giornalisti o blogger, come
già è stato fatto),
da colleghi cardinali, magari dalla Commissione teologica internazionale e,
perfino, dalla Congregazione per la dottrina della fede.
Non ha tutti i torti chi ha domandato ai
quattro cardinali: «A chi
giova?» aver messo in pubblica piazza la questione. «Perché
combattere una “battaglia” interna alla Chiesa, facendo pressione dall’esterno e sperando d’influenzare
e portare a sé un’opinione pubblica ecclesiale ed ecclesiastica che comunque
era stata ampiamente interpellata prima, dentro, fuori e dopo i due Sinodi del
2014 e del 2015? E perché minacciare anche una “pubblica correzione del
pontefice”?». C’è chi però giustifica la scelta parlando delle diverse
interpretazioni del testo, segno palese della sua ambiguità. Eppure il teologo Livio
Melina, collaboratore di Giovanni Paolo II, preside emerito del
Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia ed
indiscussa autorità internazionale in ambito di teologia morale, ha spiegato che la molteplicità di interpretazione
nasce «da una prima lettura
semplificatrice e addirittura manipolatrice dei grandi mezzi di comunicazione».
Se invece si toglie la parola ai vaticanisti per darla ai teologi e agli
esperti, ecco che si giunge ad una conclusione e ad «un’interpretazione di Amoris
laetitia che è legittima, coerente e feconda»
Anche il card. Gerhard Ludwig Müller,
prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha avuto qualcosa da dire su tutto questo: «i cardinali hanno il diritto di
scrivere una lettera al Papa. Mi sono stupito perché questa però è diventata
pubblica, costringendo quasi il Papa a dire sì o no. Questo non mi piace. E’
un danno per la Chiesa discutere
di queste cose pubblicamente». Forse non è stata una scelta così ben
ponderata e gli insulti che questi stimati cardinali purtroppo stanno
ricevendo, così come gli squadroni di inutili giornalisti che si stanno
fronteggiando, per ora sembra dimostrarlo.
Da parte sua Avvenire difende il Papa presentando gli effetti positivi che l'Amoris laetitia sta facendo scaturire nella vita dei fedeli:
A proposito della svolta prodotta da Amoris laetitia su matrimonio e famiglia potrebbe valere quello che Giovanni XXIII disse, in punto di morte, sul Vangelo: «Non è cambiato, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio». Allo stesso modo, osservando la benefica rivoluzione prodotta in nove mesi dall’Esortazione apostolica in tutta la Chiesa si potrebbe concludere: stiamo cominciando a comprendere meglio il Vangelo dell’amore di coppia. Stiamo cominciando a togliere dalle spalle di coniugi, fidanzati, conviventi il peso e la sofferenza delle «pietre che si lanciano contro la vita delle persone», aiutandole a «trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio» (Al, 305). Non si spiegherebbe altrimenti l’entusiasmo con cui le parole del Papa sulla famiglia continuano a essere accolte, rilanciate, studiate. Limitatamente alla Chiesa italiana, lo conferma don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio famiglia della Cei: «Non c’è diocesi che non abbia organizzato o abbia in programma nei prossimi mesi conferenze, cicli di incontri, iniziative, lettere pastorali su Amoris laetitia.
E poi ci sono le facoltà teologiche, le associazioni, i gruppi, le parrocchie. Stiamo completando una rassegna sulla cosiddetta “ricezione pastorale” del documento e i risultati di questa ricognizione, che renderemo noti a breve, sono stupefacenti»...
Eppure il dibattito, non solo mediatico, sembra concentrarsi su un unico aspetto, i paragrafi centrali dell’VIII capitolo che affrontano, tra l’altro, il tema dell’integrazione delle situazioni difficili, compresi i divorziati risposati. La domanda risuona sempre identica: è possibile riammettere ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia queste persone? Il Papa si è già espresso con chiarezza sul punto ma c’è chi non si rassegna.
L’arcivescovo emerito di Bologna, Carlo Caffarra, uno dei quattro cardinali che avevano inviato al Papa i cinque dubia su Amoris laetitia e ne avevano poi divulgato i contenuti è tornato nei giorni scorsi sulla vexata quaestio in una ampia intervista al Foglio. Nessuna novità. Sul punto della riammissione all’Eucaristia, sostiene Caffarra, «non si capisce bene cosa il Papa insegna ». E visto che – lui ribadisce – parroci e fedeli si dicono disorientati per le vaghe, o presunte tali, indicazioni contenute in Amoris laetitia, è giusto tornare a chiedere lumi al Papa che, com’è noto, non aveva risposto ai dubia dei porporati (oltre a Caffarra, Walter Brandmül-ler, Raymond Burke e Joachim Meisner, tutti ormai liberi da incarichi ufficiali). Ma, come ha spiegato il cardinale Gerhard Ludwing Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, continuerà a non rispondere. Perché – ha messo in luce in un’intervista a Tgcom24 – non c’è «alcuna contrapposizione» tra gli obiettivi di Amoris laetitia che punta ad aiutare le persone che vivono una situazione matrimoniale irregolare per una nuova integrazione nella Chiesa e la dottrina del matrimonio ».
D’altra parte è compito della Chiesa «preoccuparsi di queste persone in difficoltà». Müller si è anche detto rammaricato e stupito che la lettera privata dei cardinali sia «diventata pubblica, costringendo quasi il Papa a dire sì o no» e ha definito «molto lontana» la possibilità di una «correzione fraterna» nei confronti di Francesco su questo punto specifico di Amoris laetitia, come più volte ventilato dal cardinale Burke in una delle sue numerose interviste. Ma è l’intero dibattito sull’Esortazione postsinodale che, a parere del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, rappresenta «un danno per la fede» visto che Amoris laetitia «è molto chiara nella sua dottrina». Una linea condivisa dai vescovi di tutte le conferenze episcopali del mondo.
Nei giorni scorsi è stato diffuso un documento firmato da due vescovi maltesi, Charles Scicluna (arcivescovo di Malta, già promotore di giustizia della Congregazione per la dottrina della fede) e Mario Grech (vescovo di Gozo e padre sinodale), dedicato all’interpretazione dell’VIII capitolo di Amoris laetitia. Il testo diffuso dall’Osservatore Romano, che riprende il percorso suggerito dal testo papale per accompagnare le persone che vivono situazioni irregolari «con rispetto, cura e attenzione», facendoli sentire parte della Chiesa, ribadisce che l’obiettivo è quello di aiutare e illuminare queste persone, affinché «siano loro stesse ad arrivare a prendere una decisione sincera dinanzi a Dio e fare il maggior bene possibile ».
Qualora, al termine del processo di discernimento, «compiuto con umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta a essa, una persona separata e divorziata che vive una nuova unione arriva – con una coscienza formata e illuminata – a riconoscere e credere di essere in pace con Dio, non le potrà essere impedito – concludono i vescovi maltesi – di accostarsi ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia ».