Angelo Panebianco, firma autorevole del
Corriere della Sera, è tornato recentemente a parlare del rapporto tra il terrorismo e l'Islam. Premette:
Dopo ogni attentato dei jihadisti in Europa (forse accadrà anche ora, dopo la strage di Capodanno a Istanbul), riappare sempre la stessa divisione: fra quelli che dicono che «la religione non c’entra», sono solo gli «interessi» (materiali) a spiegare tutto, e quelli che sostengono che la religione sia la vera causa. Semplificare va bene, serve per capire situazioni complesse, ma se si semplifica troppo si finisce per non capire niente. Quando è in gioco la vita di tante persone non capire niente è pericoloso, sbagliare diagnosi è il modo più sicuro per restare indifesi.
Spiega poi i motivi che sono alla base di coloro che negano una correlazione tra terrorismo e motivazioni religiose:
Due sono le ragioni principali. La prima è che ammettere che l’Islam c’entri significa doversi porre — e porre anche ai musulmani (la maggioranza) che si tengono lontani dal jihad — domande scomode, fastidiose, sugli atteggiamenti del mondo islamico nei confronti della società aperta occidentale e sugli aspetti della loro tradizione che hanno generato la sfida jihadista. È più rassicurante prendere per buono quanto i rappresentanti delle comunità musulmane sostengono dopo ogni attentato, ossia che «l’Islam non c’entra», nulla ha a che spartire con quei quattro (solo quattro?) esaltati.
Non basta e non è corretto - prosegue - definire "folli" gli attentatori o liquidarli come delinquenti per i loro eventuali precedenti penali:
l’attentatore è un soldato, combatte una guerra dichiarata da qualche organizzazione (ieri Al Qaeda, oggi l’Isis, domani un’altra)...Criminali e spostati di ogni tipo sono sempre stati la bassa manovalanza nelle guerre religiose, etniche o di altro genere.
La seconda motivazione di chi nega che la religione abbia a che fare con gli attentati:
La ragione ha a che fare con la scristianizzazione...È arduo, per una società siffatta, accettare l’idea che ci sia gente disposta a uccidere e a farsi uccidere in nome di un credo religioso. La secolarizzazione/scristianizzazione porta con sé l’impossibilità di capire un fenomeno del genere.
L'analisi si fa particolarmente interessante:
(La scristianizzazione) è anche il motivo per il quale i capi jihadisti, come risulta dalle loro dichiarazioni, pensano che l’Europa sia il ventre molle dell’Occidente, un insieme di Paesi che — non importa quanti anni o decenni di lotta saranno necessari per raggiungere lo scopo — dovrà prima o poi arrendersi, sottomettersi...Fra tutte le aree del mondo l’Europa è quella in cui il processo di secolarizzazione (la scomparsa del sacro dalla vita individuale e collettiva) ha raggiunto i massimi livelli: nella sua parte protestante come in quella cattolica (e il fatto non è contraddetto dalla popolarità di cui gode anche fra i non credenti, anche fra tanti atei dichiarati, l’attuale Pontefice).
Contrariamente a quanto immaginavano gli illuministi (quelli francesi, non quelli anglosassoni), la scristianizzazione non ha eliminato la «superstizione», non ha reso gli europei «più razionali». Ha invece aperto la strada a varie forme di regressione culturale. Per citare solo la più impressionante: sono ormai legioni coloro che pensano seriamente che non ci siano differenze fra uomini e animali (domestici e non)...
E gli interessi? Non ci sono interessi in gioco? Politici, economici, eccetera? Ma certo che ci sono. Anche nei conflitti religiosi pesano, eccome, gli interessi... Proprio come accade nel Medio Oriente attuale, dove divisioni religiose (ad esempio, fra sunniti e sciiti), divisioni nazionali (ad esempio, fra turchi e curdi), logica di potenza e interessi economici (petrolio e altro), interagiscono, dando luogo a un intricatissimo mosaico. Religione e «interessi» non si escludono mai a vicenda. Gli essere umani sono complicati. Anche quando pensano «all’Al di là» non smettono, per lo più, di ricercare vantaggi nell’al di qua.
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