Il risveglio del cardinal Ruini: "La Chiesa dialoghi con Salvini"
Le reazioni non si sono fatte attendere: quelle entusiaste e lusingate della destra e quelle irritate dei progressisti. Così Mons Mogavero che, nello stesso giornale, definisce Salvini "non il linea con il Vangelo", p. Alex Zanotelli che si dice "esterrefatto da Ruini", Giovanni Alici che la definisce "inopportuna" l'intervista di Ruini.
Salvini ha commentato le parole del cardinale Ruini, ringraziandolo e augurandosi di poterlo incontrare. Un ringraziamento “per le parole che invitano al confronto, all’apertura, alla riflessione e all’incontro, per lo sviluppo di valori, principi e idee che sono molto spesso comuni. L’Italia o è cristiana o non lo è. Un conto è accogliere chi scappa dalla guerra, un altro è far finta che in Italia ci sia spazio, casa e lavoro per tutti, cosa che non è e che porta allo scontro”. Il leader leghista aggiunge: “Sul diritto alla vita, sulla tutela della famiglia, sulla libertà di scelta educativa e sulla difesa delle nostre radici le posizioni della Lega sono assolutamente salde”.
Ma cosa dice Ruini? Ecco una sintesi de Il Timone:
"Salvini ha notevoli prospettive davanti a sé, però deve maturare. Il rosario? Un modo per affermare il ruolo della fede. Vedo un declino dell’autorevolezza della Chiesa. E il cattolicesimo politico di sinistra ha sempre meno rilevanza".L’intervista che il cardinale Camillo Ruini ha concesso ad Aldo Cazzullo e pubblicata ieri dal Corriere della Sera dice sostanzialmente tre cose:1) il “cattolicesimo democratico” è sempre meno rilevante;2) non è il caso oggi di mettersi a fare partiti cattolici;3) con Matteo Salvini, pur nei necessari distinguo, si può dialogare.Il cardinale, per 16 anni alla guida della Cei, ha anche aggiunto, per venire a questioni più strettamente ecclesiastiche, che l’idea passata a maggioranza nel recente sinodo panamazzonico, quella di ordinare come sacerdoti (in certe aree dell’Amazzonia) diaconi permanenti anche se sposati, è un’idea «sbagliata» e spera che Papa Francesco non la ratifichi nella prossima esortazione post sinodale.Le tre valutazioni, al di là di ogni altra considerazione, mettono il dito nella piaga su:1) il cosiddetto “cattolicesimo progressista” è un élite che non riesce più ad avere presa sul popolo, i risultati delle ultime tornate elettorali lo mostrano impietosamente nonostante tutti i proclami e le prediche;2) il cattolico in politica non ha bisogno di contenitori, semmai di mettere un confine alla laicità tracciandolo sui principi non negoziabili;3) la delegittimazione praticata da un certo mondo cattolico verso chiunque dialoghi con chi non è a sinistra è un mantra pregiudiziale.
"Non condivido l’immagine tutta negativa di Salvini che viene proposta in alcuni ambienti. Penso che abbia notevoli prospettive davanti a sé; e che però abbia bisogno di maturare sotto vari aspetti. Il dialogo con lui mi sembra pertanto doveroso - risponde il cardinal Ruini - anche se personalmente non lo conosco e quindi il mio discorso rimane un po' astratto. Sui migranti vale per Salvini, come per ciascuno di noi, la parola del Vangelo sull’amore del prossimo; senza per questo sottovalutare i problemi che oggi le migrazioni comportano".
Alla domanda su cosa dovrebbero fare oggi i cattolici per far sentire la propria voce, se con il proporzionale non potrebbero fondare un loro partito, risponde così: "Domanda difficile. Non è questo il tempo per dar vita a un partito dei cattolici. Mancano i presupposti: per il pluralismo molto accentuato all’interno della Chiesa stessa, e per la sua giusta ritrosia a coinvolgersi nella politica. I cattolici possono però operare all’interno di quelle forze che si dimostrino permeabili alle loro istanze. È una strada oggi più faticosa di ieri, perché la scristianizzazione sta avanzando anche in Italia; ma non mi sembra una strada impossibile".
L'altra questione delicata è quella dell’obbligo del celibato per i preti e del Sinodo sull’Amazzonia che potrebbe permettere anche ai diaconi sposati di prendere i voti. Ruini spera che il Papa non confermi la decisione. “In Amazzonia, e anche in altre parti del mondo, c’è una grave carenza di sacerdoti” ed è quindi “comprensibile che vi sia una spinta a ordinare sacerdoti dei diaconi sposati. A mio parere, però, si tratta di una scelta sbagliata. E spero e prego che il Papa non la confermi”.
Questa invece la reazione di Luigi Alici, ex presidente dell'Azione Cattolica:
RUINI, QUANDO IL SILENZIO È D'ORO
Inopportuna. Lo confesso: questo è stato il primo aggettivo che mi è venuto in mente, leggendo l'intervista del cardinale Camillo Ruini, apparsa oggi sul "Corriere della sera".
Un'intervista - lo confesso - che non mi ha stupito, ma che ha ferito profondamente la mia coscienza di credente; chi conosce la mia storia personale ne può immaginare la ragione. Sono consapevole dei miei limiti, non mi sento in condizione di dare lezioni a chicchessia. Eppure, sento dal più profondo di me stesso di non poter tacere.
Non vorrei entrare nel merito dei contenuti specifici dell'intervista, anche se non posso non segnalare due aspetti che meriterebbero un approfondimento.
Il primo aspetto riguarda il giudizio su Salvini, che minimizza un quadro ideologico generale (fatto di egoismo sovranista e di pulsioni autoritarie, di disprezzo esplicito del diverso con venature razziste nemmeno tanto nascoste, di complicità opache, di disinvolture finanziarie e di equivocità di rapporti internazionali), massimizzando alcuni aspetti (come certa simbologia religiosa) che francamente appaiono strumentali anche a un bambino.
Il secondo aspetto concerne il giudizio sui "preti sposati", senza un minimo di contestualizzazione, che tocca il suo punto più sgradevole a proposito della possibilità del divorzio dei preti. Non aggiungo di più.
Vorrei piuttosto segnalare un profondo sconcerto per una questione di metodo, che mi sembra particolarmente imbarazzante almeno in due casi.
Il primo caso riguarda la sicurezza del giudizio politico (su Salvini, come pure sul cattolicesimo democratico e sullo scenario politico in generale), ma soprattutto la disinvoltura con cui si passa da questo piano a questioni relative alla fede e alla vita della Chiesa, come se si trattasse di problemi che investono allo stesso titolo la responsabilità di un pastore. Ma è giusto che un uomo di Chiesa, che ha guidato per ben sedici anni la Conferenza episcopale italiana come suo Presidente, parli così? Quale spazio di autonomia di giudizio storico e di testimonianza pubblica resta al laicato cattolico, in una impostazione di questo tipo?
Il secondo caso riguarda il giudizio su alcune conclusioni del Documento finale del Sinodo amazzonico, che indirettamente si trasforma in una riserva sulla futura esortazione postsinodale del Papa, qualora si limitasse a recepire quelle conclusioni. Se anni addietro un pastore avesse manifestato su un quotidiano un dissenso intorno ai lavori di una importante assemblea ecclesiale, senza averne fatto parte, augurandosi che il Papa potesse prendere una strada diversa, quale sarebbe stato il giudizio del Presidente della Cei?
Al di là delle singole questioni di merito, il messaggio complessivo che si ricava dall'intervista assomiglia a una bocciatura netta nei confronti di una linea pastorale della Chiesa - italiana e universale - che a me pare francamente un atto inopportuno: in sé e per le strumentalizzazioni più che prevedibili di cui sarà oggetto.
Un atto inopportuno che sorprende e addolora.
Tanto.
Davvero tanto.