Salvini, il rosario e i cattolici
Pur senza citare il leader leghista Matteo Salvini il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin commenta: «Io credo che la politica partitica divida. Dio invece è di tutti. Invocare Dio per se stessi è sempre molto pericoloso». Famiglia Cristiana usa toni più diretti: «Il rosario brandito da Salvini e i fischi della folla a papa Francesco, ecco il sovranismo feticista» è il titolo dell’editoriale sulla manifestazione, dove «è andato in scena l’ennesimo esempio di strumentalizzazione religiosa per giustificare la violazione sistematica nel nostro Paese dei diritti umani. Mentre il capopopolo della Lega esibiva il Vangelo, un’altra nave carica di vite umane veniva respinta».Dichiara il direttore del settimanale, don Antonio Rizzolo, a Radio Capital: «La cosa peggiore è l’uso della fede a scopo elettorale che ha già funzionato in passato come strategia di marketing. Oltretutto per passarsi come bravo cristiano quando certe sue scelte sembrano contraddire i valori del Vangelo». Dura la condanna di don Antonio Spadaro, direttore di Civiltà cattolica: «Rosari e crocifissi sono usati come segni dal valore politico, ma in maniera inversa rispetto al passato: adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio». E mentre Salvini replica: «Orgoglioso delle nostre radici», padre Enzo Bianchi, fondatore della comunità di Bose, si dice «profondamente turbato» e lancia un appello: «Cattolici, se amate il Cristianesimo, non tacete, protestate!». (La Stampa)
Ribatte Salvini: "Mi ha scritto l'Europa, il giudice, l'Onu, che stiamo violando i diritti umani, mi ha scritto un cardinale qua e un cardinale là. A tutti ho dato la stessa educata risposta: col mio permesso non sbarca nessuno". E su Facebook: «Dicevano che c'era il direttore di un settimanale cattolico che mi ha attaccato perché ieri ho osato parlare di Dio, parlare del Papa, delle nostre radici e mostrare un rosario. Io sono orgoglioso delle nostre radici della nostra storia e di testimoniare quella che è una società accogliente e generosa. Ma un conto è essere generosi e una cosa è suicidarsi».
«Sono l’ultimo dei buoni cristiani: sono divorziato, sono peccatore, dico le parolacce, vado a messa tre volte l’anno. Ma difendo la nostra storia, l’esistenza delle scuole cattoliche. Non so se sono un buon cattolico ma sono un uomo felice e chiedo rispetto. Se credo in Dio e chiedo la protezione di Maria, dà fastidio a qualcuno?». Lo dice Matteo Salvini a Non è l’Arena, su La7 commentando le parole del cardinale Parolin, cui ha plaudito Di Maio: «Parlo poco e lavoro tanto. Non commento le parole dei cardinali e di Di Maio».Avvenire: "Ma con il rosario non si fanno comizi":
Confronti e graduatorie tra Papi, ostentazione del Rosario per invocare un aiuto celeste nelle urne, proclami identitari: il leader leghista Matteo Salvini ancora una volta si proclama alfiere del cattolicesimo, ma di un cattolicesimo tutto suo, 'politicizzato' e contraddittorio, piuttosto distante dal magistero del Papa e della Chiesa universale e italiana. Non si può discutere la fede che ciascuno afferma di avere, ma neppure è lecito deformare il messaggio evangelico. E col Rosario si prega, non si fanno i comizi.L'articolo di Famiglia Cristiana:
Succede spesso per i capipopolo che a parlare per loro sia la piazza: a volte meglio di loro o addirittura in maniera più autenticamente contraddittoria. E’ quel che è capitato a Matteo Salvini al comizio sovranista di ieri pomeriggio in piazza Duomo a Milano.Mentre il leader della Lega per pochi lunghissimi minuti baciava sul palco il rosario, citava i santi patroni d’Europa e affidava l’Italia al Cuore Immacolato di Maria, dalla stessa piazza partivano fischi e ululati all'indirizzo di papa Francesco. In realtà era la “vox populi” della piazza a parlare per il vero Matteo Salvini. Il Salvini che mentre esibiva feticisticamente un Vangelo allo stesso tempo ordinava di tenere ostinatamente chiusi i porti di fronte all’ennesima nave che chiedeva di approdare sulle coste italiane con il loro carico di vite umane ("Col piffero che apro Lampedusa", ha dichiarato senza mezzi termini). Il Salvini che nelle stesse ore riceveva una condanna delle Nazioni Unite per via del cosiddetto "decreto sicurezza", una legge così lesiva dei diritti umani che per trovare qualcosa di confrontabile nella storia d'Italia bisogna risalire alle leggi razziali del '38. “Il Governo sta azzerando i morti nel Mediterraneo”, si è vantato il ministro degli Interni dal palco, mentre il Mediterraneo continua a ingoiare morti annegati. I viaggi e le tragedie, come quella recente al largo della Tunisia, continuano, secondo l'UNHCR per chi si imbarca un migrante su tre perde la vita, le partenze sono indipendenti dalla politica dei porti. Una falsità dunque contraddetta dai numeri, sempre ammesso che nel 2019 qualcuno sia disposto a credere che per fermare una tragedia come quella delle morti in mare sia necessario un disumano sacrificio di vite a perdere, come si faceva all'epoca della barbarie. Mettere a repentaglio vite umane e rifutare di soccorrere i naufraghi come deterrente per non far partire i migranti dalle coste del Maghreb non è degno di un Paese civile. Meglio la piazza allora, più autentica nel suo cinismo, nel gridare “buu” a Francesco, il Papa che ha fatto del suo primo viaggio a Lampedusa uno dei tratti distintivi del suo pontificato. Meglio tentare di convincere chi ha forse il cuore in tumulto e non afferra il messaggio di speranza di un pontefice venuto "dalla fine del mondo" che per evitare un genocidio dell'indifferenza in mare ed arrivare a una gestione ordinata dei migranti sono percorribili altre strade molto meno tragiche e ipocrite.
L’antifona persino smaccata di Salvini pronunciata in quella distesa di bandiere azzurre e tricolori, con i suoi simboli della cristianità utilizzati come amuleti, con quell’uso così feticistico della fede, serve a coprire come una fragile foglia di fico gli effetti del decreto sicurezza, che ha istituito addirittura con delle sanzioni per chi soccorre il “reato di umanità” e ha scaricato per strada uomini donne e bambini già inseriti nei programmi di integrazione, rendendoli privi di diritti civili. Un decreto che ha provocato solo “pianto e stridore di denti” per dirla con Matteo (l’evangelista, non il vicepremier). Gente che studiava, lavorava, assisteva per diventare cittadino del domani tramutata in esseri invisibili senza arte né parte, buoni solo per girare per le strade e ingrossare i pregiudizi xenofobi e correre dietro gli specchietti per le allodole sovranisti. Baciare idolatricamente il rosario in piazza è solo un sacrilegio. E' venuto il momento per i cattolici per indignarsi, come ha scritto in un tweet il direttore di Civiltà Cattolica padre Spadaro.Città Nuova: "Lasciate stare i santi":
La politica, povera di contenuti e avida di emozioni popolari, è tornata ad invocare i santi. Si affida ai patroni, ai santi e alle vergini, chiama in causa la devozione e i miracoli, sgrana rosari e accende ceri. È in cerca di nuove liturgie e di antichi rituali ma, se prima ne inventava di pagani, mistificando il Po e i suoi affluenti, oggi non ha pudore nel mutuare dalla tradizione cattolica tutto il proprio irrispettoso armamentario religioso.«Com’è possibile che un politico oggi, in un comizio elettorale, baci il rosario, invochi i santi patroni d’Europa e affidi l’Italia al cuore Immacolato di Maria, per la vittoria del suo partito? Cattolici, se amate il cristianesimo, non tacete», scrive il priore di Bose Enzo Bianchi. Una certa politica invoca i santi e lo fa in buona compagnia. Le mafie condiscono di rituali religiosi le loro violenze organizzate, ornano di vacuo misticismo il loro messaggio di asservimento e potere dell’uomo sull’uomo. La moda da anni mescola ad arte sacro e profano, madonne e modelle, altari e passerelle, miracoli e profitto, sacro e scandalo. Oggi si dissacra il sacro con la retorica di un ateismo bigotto. Si ha sete del proibito, del limite mai sorpassato. Sul sagrato del Duomo di Milano, durante un comizio politico si è alzata la voce contro il più indifeso, mentre ci si appellava ai santi. Un sovvertimento di valori che il gesuita Antonio Spadaro commenta così: «Se prima si dava a Dio quello che sarebbe stato bene restasse nelle mani di Cesare, adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio».E tra tutto questo incenso profuso ed in tutto questo mescolare narrazione religiosa e ambizione politica, il vero nemico è uno e uno solo: la radicalità del messaggio evangelico e la sua profonda e sovversiva umanità. Non esiste amore rivolto a Gesù – astrazione assurda – che non si esprima nell’amore concreto e mite ai fratelli. Prendersi cura degli altri, accudirli, proteggerli è l’unico modo che abbiamo per dimostrare a Gesù il nostro amore. E più l’amore è grande, più il sentimento è sincero, più si traduce in fatti, opere, sguardi, carezze, bicchieri di acqua, coperte. In opere di carità e di giustizia, in soccorso all’orfano e alla vedova, in cura del viandante depredato implorante la nostra compassione. Dobbiamo disarmare le religioni, disarmare Dio, comprendere che ogni più leggero sentimento di antagonismo verso un altro essere umano, ogni pensiero di superiorità, ogni pretesa di avere la giusta religione, è quanto di più lontano dal messaggio evangelico. Gesù è il perseguitato, l’offeso, il senza terra, l’umiliato, l’odiato, il disprezzato, il naufrago, l’escluso che non solleva le mani, neppure per difendersi. Lasciate stare i santi, non in nome dei cristiani.