Il trono di spade: conclusa la grande serie tv
L'ambientazione fantasy, il ritmo dei film d'avventura, i dialoghi raffinati, le ambientazioni da kolossal (con ottimi effetti speciali), ottimi attori che interpretano personaggi a cui è facile affezionarsi... tutto questo rende unica questa serie, dove la ricerca del potere, l'ambizione, l'orgoglio e la superbia lottano contro gli ideali positivi di sempre: l'amore, l'amicizia, l'importanza dei legami familiari, la lealtà, la ricerca del bene comune...
Nella stampa cattolica ho trovato un articolo pubblicato da Famiglia Cristiana e uno da Aleteia:
SI PUÒ GUARDARE ALLA SPERANZA DIETRO IL GIOCO DEI TRONI?
09/05/2019 Oltre alla rappresentazione di morte e violenza, che caratterizzano la fiction più importante degli ultimi anni, ecco uno sguardo umanistico al Trono di Spade. Non è una visione per famiglie ma offre spunti di riflessione interessanti.
di Adriano Bernocchi
Game of Thrones, familiarmente GoT, il Trono di Spade, è un fenomeno che ha bisogno di poche presentazioni: è una serie televisiva partita nel 2011, tratta dal ciclo di romanzi Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (A Song of Ice and Fire) di George R. R. Martin, iniziata nel '96 e ad oggi incompiuta. La costola televisiva ha raggiunto e superato i romanzi (sia nell'avanzamento della narrazione, sia nel successo e, viene da dire, sia nella riuscita artistica). Anzi, è probabilmente da considerare la fiction televisiva più importante della decade, contemporaneamente riflesso e stimolo a far uscire certi prodotti di genere dalla nicchia al consumo di massa (il fantasy, proprio mentre al cinema avveniva lo stesso con i supereroi Marvel), grazie a un coraggio produttivo innegabile per il mezzo: cast sterminato, uso disinvolto di set internazionali, coreografie complesse di scene di battaglia con ampio impiego di masse.
Non è estranea al successo la rappresentazione disinvolta della violenza, di storie sanguinarie e scabrose e del sesso (quest'ultimo comunque in calo dalle prime stagioni, per il tramontare di alcune mode generali: le serie televisive hanno sempre meno bisogno di "mezzucci" per qualificarsi come mature; inoltre le soluzioni più sfacciate e facili diventano meno necessarie dopo il lancio di una serie). Se parliamo di caratteristiche di "visione sicura in famiglia" GoT non è da consigliare. Tuttavia l'opera è di tale impatto che vale la pena soffermarsi su alcuni spunti interessanti, andando al di là dell’insistenza di marketing e fan su delitti, tradimenti ed efferatezze varie.
Cari lettori, riveleremo il meno possibile e probabilmente ora avrete visto già le ultime puntate (trasmesse nella versione sottotitolata, domenica notte doppiate), ma se temete lo spoiler, avanzate con cautela.
Si è appena compiuto un arco molto importante, con la messa in scena di una grande battaglia: l'invasione dei morti viventi del mondo di Westeros, vale a dire la minaccia soprannaturale principale che poteva spazzare via la civiltà.
È il momento in cui i protagonisti sono chiamati alla propria battaglia per lo spirito, a tirare le fila di scelte e morale.
Ogni fantasy ha alle spalle una sorta di metafisica, cioè una rappresentazione di forze superiori che governano le nostre vite con echi in religioni, filosofie, ma anche ideologie reali. Può essere la lotta del Bene contro il Male o del Caos contro la Legge. Pur essendo molto "laico", il Trono di Spade non fa eccezione allo schema, mettendo uno contro l'altro Ghiaccio e Fuoco, due principi più suggeriti che definiti, tanto nei libri quanto in Tv. Uno di "morte e stasi definitiva" e l’altro di "morte e rinascita". Si tratta di concetti intenzionalmente vaghi, lontani tanto per il pubblico quanto per i personaggi. Tralasciando i pochissimi direttamente toccati da una forma di fede, i personaggi sono soli in balia di un mondo in cui sono molto tangibili minacce reali, assassinii, guerre, ruberie: atti dettati da spietata realpolitik, sopravvivenza o calcolo, che apparentemente sono l'unica forza dietro il "gioco dei troni", e che diventa la dichiarata ragion d'essere dei più malvagi.
Prima di arrivare al suo culmine drammatico (la posta in gioco è quella più alta, la salvezza, e difficilmente sarà eguagliata in questo dalle puntate mancanti al termine della serie), GoT si è presa il suo tempo e ha radunato i suoi "eroi" attorno a un focolare: rallentano i tempi, prima del confronto definitivo, si dà modo di coccolare un po' i personaggi, si titilla lo spettatore con l'eterna promessa/minaccia su "chi sopravviverà", e allo stesso tempo si riflette su chi siano "i salvatori".
Un pugno di reietti, traditori pentiti, incompresi, cercatori di redenzione, mutilati, "donne che fanno il lavoro degli uomini" (e per questo vengono guardate storto), scudieri volenterosi (l'equivalente medievale dello stagista) a cui, dopo otto stagioni di efferatezze, è stato tolto tutto. Non che si parli di personaggi dalla morale immacolata (tra centinaia, questo è un privilegio di giusto un paio). È solo grazie all'abilità del racconto che possiamo considerarli "buoni".Ma in comune hanno tutti la rinuncia al potere e il fatto che questo li abbia resi più liberi. Se è impossibile sottrarsi alla violenza delle forze storiche e politiche, all'individuo "con la macchia" è concesso il confronto con la coscienza e il riscatto.
È un aspetto di umanesimo, che riguarda le scelte morali dei personaggi, che non spiace ritrovare nel Trono di Spade: innova sui linguaggi e appassiona con le logiche più classiche.
Quando si arriva poi al dunque, alla grande battaglia, si esprime al meglio e nello stesso momento si porta a esaurimento la più diretta manifestazione del soprannaturale vista nella serie. Il regista dell'episodio, Miguel Sapochnik, lo fa con coerenza, con soluzioni stilistiche che non troppo tempo fa sarebbero state appannaggio del cinema, utilizzando spessi silenzi e offrendo allo sguardo una bellissima contrapposizione tra masse di corpi spersonalizzate e impegnate nello scontro fisico e tra il buio e la luce naturale del fuoco. Una contrapposizione in parte non capita da un pubblico troppo ingordo di particolari e irreligioso. Tutto questo, a livello di economia generale della serie, si realizza in un momento inaspettato, non al termine del ciclo, ma con qualche puntata di anticipo. Lasciando interamente alla soluzione del Gioco dei Troni, alla spietata regina Cersei e agli ultimi intrighi terreni il finale.
Ci sono dei precedenti illustri: Tolkien nel Signore degli Anelli e Omero nell'Odisseasottoponevano i loro eroi a un doloroso ritorno a casa quando il peggio sembrava alle spalle. Come dire: un ritorno alle cose materiali dopo lo spirito, con un auspicio (e una nostra scommessa su come andranno le cose): che appresa la lezione sulla vanità del potere nessuno sederà sul Trono.
ALETEIA: "Qual'è la religione del trono di spade?"
(...) Le religioni appaiono in modo esplicito ne Il Trono di Spade. Dèi di ogni tipo, spiritualità legate alla natura, ma anche divinità del manicheismo. E persino un’allusione a Cristo. Lo suggerisce Luisa Calderón, psicoterapeuta e ingegnere industriale che si dedica all’azione sociale, offrendo terapia in varie istituzioni governative messicane. Le abbiamo chiesto se ci sia un rapporto tra la saga de Il Trono di Spade e il cristianesimo.C’è qualche relazione?Ovviamente no! Questo è il punto. Nei regni de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, quello che decide il destino è il gioco dei troni, in cui se non vinci muori. E il Regno di Dio non è di quel mondo. Né di questo. Paradossalmente, l’universo de Il Trono di Spade è pieno di diverse religioni, il che lo rende attraente per lo spettatore attuale visto che è un riflesso del nostro mondo multiculturale.
Il cristianesimo de Il Trono di Spade ha tinte medievali…C’è la religione dello Stato: la religione dei Sette, con sacerdoti, cattedrali, rituali, castità, monaci guerrieri e monache acide; con la sua teologia per cui c’è un solo dio in sette persone. Ovviamente un riferimento al cattolicesimo medievale.
Ci sono anche riferimenti al manicheismo, vero?C’è la religione di R’hllor, un unico dio al quale vengono dedicati sacrifici umani e che è capace di riportare in vita i defunti. La sua teologia è manichea: la luce e l’oscurità sono in guerra continua. “Perché la notte è oscura e piena di pericoli”.
E il Dio del mare?
C’è la religione del dio annegato. Il dio annegato ha dato la propria vita per salvare gli uomini, e questi ora si offrono in un rituale in cui sono immersi in mare fino ad annegare, per essere poi rianimati. “Ciò che è morto non può morire”.
Ci sono anche echi di panteismo…
C’è la religione degli antichi dèi. Non hanno forma e si radicano nella natura. Il culto si svolge davanti ai grandi alberi secolari, con volti intagliati nel tronco. È la religione più antica di Westeros. C’è anche la religione del dio dai molti volti, il cui nome è Morte e al quale diciamo “Oggi no”. Il motto di questi devoti è “Valar Morghulis, valar dohaeris”, che significa “Tutti gli uomini devono morire, tutti gli uomini devono servire”.
E tuttavia sembra che Dio non ci sia, in un mondo di vendetta e violenza estrema.
Anche tutte queste religioni fanno il gioco dei troni, e in suo nome i loro devoti si uccidono allegramente. È molto simile al mondo che vediamo. L’universo de Il Trono di Spade è terribilmente violento, ingiusto, spietato. A chi non ha visto la serie, o soprattutto non ha letto i libri, sembrerà una storia senz’anima. Chi vorrebbe una storia così? Ed è lì il paradosso: in qualche modo “l’anima” è nell’autore che ha scritto questi orrori e nel lettore che li legge. Gli orrori sono presentati per suscitare una sollevazione e dire “Così no”. L’autore ritrae costantemente bambini maltrattati, donne picchiate e stuprate, poveri depredati, eroi vinti. Non perché debba essere così, ma perché è così quando Dio non è presente. (...)
Suggerisce che c’è già una presenza cristica ne Il Trono di Spade…
C’è un personaggio, che non appare sullo schermo anche se è un vero peccato, in cui credo risieda l’idea più profonda di quello che è il Regno di Dio per George RR Martin. I capitoli in cui appare si trovano a metà del libro Il Banchetto dei Corvi, che a sua volta è a metà dei sette volumi progettati. Si potrebbe dire che sia il cuore della serie.
I capitoli trattano di “Septon Meribald”, un sacerdote, o piuttosto un fratello laico, che si dedica a percorrere le regioni più povere portando cibo, medicine e consolazione ai più poveri dei poveri. Va scalzo e lo accompagna un cane chiamato semplicemente così. Qualche ricco gli dà fondi per la sua missione, ma a tutti dà e da tutti accetta una carità simbolica.
Sono i capitoli più belli di tutta la serie. Qui sì che c’è Cristo. Quando si danno le spalle al gioco, può essere che non ci siano ricchezza o fama, ma c’è la natura, c’è la pace, ci sono il contatto umano e la comunità, anche in mezzo alla guerra e alla miseria. L’autore George RR Martin è stato allevato nel cattolicesimo, e si nota.