Verso il Sinodo sui giovani: il libro "Il futuro della fede. Nell’educazione dei giovani la Chiesa di domani"


Siamo ormai alla vigilia della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che si apre mercoledì 3 ottobre in Vaticano e che sino al 28 ottobre vedrà impegnati cardinali, vescovi, religiose, teologi, studiosi, rappresentanti di movimenti e ovviamente giovani da tutto il mondo sul tema individuato dal Papa («I giovani, la fede e il discernimento vocazionale»). Per l'occasione è prezioso il contributo che l'Istituto Toniolo ha appena pubblicato:

«Il futuro della fede. Nell’educazione dei giovani la Chiesa di domani», il nuovo studio curato dall’Istituto Toniolo con l’équipe che realizza ogni anno il Rapporto Giovani. 
Tre anni dopo «Dio a modo mio», questo rapporto (Vita & Pensiero, 264 pagine, 18 euro) – curato da Paola Bignardi e Rita Bichi contenente 165 interviste fatte in tutta Italia. nasce dall’esigenza di conoscere meglio l’ispirazione, i temi, le motivazioni degli educatori – genitori, sacerdoti, insegnanti, suore, catechisti, animatori… – che, con un’azione spesso poco conosciuta, contribuiscono a iniziare i giovani al trascendente.
Così presenta il libro l'Agenzia Sir:
Le 165 lunghe interviste dell’indagine, ora pubblicata nel volume “Il futuro della fede. Nell’educazione dei giovani la Chiesa di domani”, ritraggono una realtà vivace, creativa, appassionata, aperta. Gli educatori più efficaci sono quelli che hanno preso atto della fine di un modello di educazione alla fede uguale per tutti; sono consapevoli che questo tempo, rassicurante e un po’ ripetitivo, è finito. Oggi si è educatori se si è disposti e capaci di adattarsi alle domande dei giovani, se si è capaci di partire da loro e dai loro interrogativi; anzi, se si ha la pazienza di far emergere domande che forse sono sepolte nella coscienza, confuse, che fanno paura e per le quali spesso mancano le parole, perché il mondo interiore è misterioso, soprattutto per coloro che non sono abituati a frequentarlo.
Accanto ad alcuni giovani – pochi – che si potrebbero definire più tradizionali, che stanno ancora dentro i canoni educativi consolidati (catechesi, pratica religiosa settimanale o quasi, partecipazione alle iniziative della parrocchia…) vi è una vasta realtà giovanile più sfuggente.
Con questi giovani sanno mettersi in relazioni quegli educatori che sono capaci di empatia e di un progetto meno strutturato, più sperimentale, più sensibile alle provocazioni dei giovani più periferici rispetto alla pastorale della comunità.
Quattro sono i tipi di proposte più ricorrenti: la relazione personale; il coinvolgimento in esperienze concrete, soprattutto di carità e di volontariato; esperienze residenziali prolungate, in cui l’impegno di una vita cristiana comunitaria viene vissuto nel contesto ordinario delle proprie giornate di scuola, università o lavoro; e infine il pellegrinaggio, nella forma vissuta dai giovani che nello scorso agosto si sono recati a Roma per l’incontro con Papa Francesco. Tra queste esperienze, certamente la più semplice e la più impegnativa al tempo stesso è quella che vede gli educatori disposti a stabilire con alcuni giovani una relazione personale duratura, che nel tempo diviene accompagnamento e discernimento.
Opportunità semplice e tuttavia impegnativa, dal momento che all’educatore richiede disponibilità di tempo, competenza nell’ascolto, capacità educative abbastanza raffinate. E soprattutto contrasta con il bisogno che alcuni hanno di vedere attono a sé numeri significativi. Ma questa è la forma che i giovani desidererebbero di più, per uscire da quella solitudine che dichiarano essere la loro principale fonte di disagio.
L’indagine conferma che il tempo dell’educazione non è finito, ma è un tempo nuovo, che necessita di educatori disposti non solo ad affidarsi all’incertezza di una ricerca, ma disposti anche a studiare, a formarsi, a “lavorare” sulle esperienze vissute.
L’auspicio è che il prossimo Sinodo non solo accresca l’attenzione ai giovani, ma incoraggi quanti sono disposti a dedicarsi con rinnovata passione a reinterpretare le forme della loro educazione alla fede.
Avvenire ha pubblicato parte della presentazione di Giuliodori e della postfazione di monsignor Luca Bressan:

■ Quella frattura da chiudere per rigenerare la Chiesa(Luca Bressan)

Il Regno ha recentemente intervistato Rita Bichi:
Tale doppia ricerca ci permette di prendere ancor più coscienza di quanto sia asimmetrica oggi la relazione tra la comunità cristiana e i giovani. Da un lato, infatti, la comunità ecclesiale continua a offrire soprattutto percorsi di formazione standardizzati basati sull’iniziazione cristiana dei fanciulli, a cui fanno seguito proposte di cammino di fede attraverso oratori, gruppi giovanili e aggregazioni laicali, che intercettano però una parte minoritaria di essi.
I giovani, d’altra parte, sembrano non essere più interessati a quanto propone la comunità ecclesiale e non collegano più in modo diretto la loro esperienza di fede a quanto proposto dalla Chiesa almeno nella sua prassi ordinaria.
Ma ciò non significa che sia scomparso dal loro orizzonte esperienziale il tema della fede. Dalla prima indagine (che coinvolse 150 giovani di tutta Italia) – condotta con un metodo qualitativo in grado di far emergere non solo dati formali, ma il vissuto profondo e complesso dei giovani rispetto alla fede – non erano mancate conferme e sorprese rispetto questa tematica.
La seconda indagine (165 interviste in tutta Italia) nasce dall’esigenza di conoscere meglio l’ispirazione, i temi, le motivazioni degli educatori – genitori, sacerdoti, insegnanti, suore, catechisti, animatori… – che, con un’azione spesso poco conosciuta, contribuiscono a iniziare i giovani al trascendente.
A fuoco il mondo degli educatori
– Dr. Bichi, vorrei soffermarmi sulla seconda ricerca. L’obiettivo non era tanto quello d’indagare che cosa si fa o che cosa non si fa, ma di capire come si percepisce e si vive concretamente oggi il mandato ecclesiale di educare alla fede i giovani. Quale mondo emerge dai racconti degli intervistati?
«Il mondo raccontato da queste donne e da questi uomini, impegnati in un lavoro educativo che pretende un coinvolgimento personale forte, rimanda subito a un intreccio complesso: di visioni di vita, di passioni, di vocazioni, di stili educativi, di abitudini, di pratiche tradizionali o innovative.
Non è semplice riassumere tanta ricchezza e diversità di approcci. Né l’indagine si pone l’obiettivo di tracciare un quadro completo ed esaustivo del tema in oggetto. Si vuole solo offrire, a partire dal vissuto reale, uno sguardo capace di cogliere in profondità le questioni, per suscitare un dibattito franco e aperto, al fine di favorire un confronto tra esperti e operatori pastorali che aiuti tutti a ridare nuovo slancio all’impegno educativo della comunità ecclesiale nei confronti delle nuove generazioni.
Mons. Giuliodori, nella presentazione del libro, così si esprime: “È come se entrassimo nel mondo dell’educazione alla fede dei giovani con un caleidoscopio (dal greco kaleidoskopeo, “vedere in modo bello e affascinante”), che ci mette di fronte a un suggestivo riverbero di luci e di ombre, di colori e di sfumature”.
Risulta evidente la consapevolezza di queste persone circa il fatto che la pastorale giovanile debba fare i conti – se non ha già cominciato a farli – con le grandi trasformazioni sociali e culturali della società contemporanea, ma soprattutto delle nuove generazioni. Si tratta di trasformazioni irreversibili, dicono all’unanimità gli intervistati.
Le sfide che mettono in evidenza sono molteplici e non solo legate alla tecnologia: la prima è certamente quella di far fronte a un’ormai avvenuta, e forse superata, secolarizzazione, alla comunque diffusa disaffezione nei confronti della religione, all’allontanamento dei giovani dalla Chiesa. Ancora: la società italiana è ormai multiculturale e in essa anche le appartenenze religiose convivono».
L'importanza della condivisione  
– Secondo l’esperienza e il parere degli intervistati, c’è ancora domanda di Dio da parte dei giovani?
«Tutti concordano su una risposta positiva, ma con tanti distinguo, tanti aggettivi a qualificare una richiesta non semplice, esplicita, superficiale, scontata.
Vi è uno spostamento su altri fronti di dimensioni valoriali tipiche della religione cattolica e indica una prima dimensione da seguire, quella in cui si riesce a cogliere il desiderio di felicità, porta d’accesso del messaggio cristiano.
La gioia, la felicità, sono parole che ricorrono spesso nei racconti dei catechisti e degli educatori. Anche guardata dal lato della sua mancanza, a partire dal disagio, un malessere che può trovare aiuto nel Vangelo».
– Come sintetizzerebbe le parole, le esperienze, le riflessioni di questi adulti così impegnati e impregnati con i giovani?
«La gioia, il movimento, l’apertura, l’ascolto, il viaggio, la semina, l’esempio, la coerenza: parole chiave in queste interviste, in queste persone. Trovano tanti ostacoli e problemi nella loro opera, a partire dalla peculiarità di generazioni veloci, che mutano presto, che sono diverse da quelle dei fratelli e delle sorelle maggiori.
I ritmi e la complessità della vita quotidiana spesso allontanano giovani ed educatori dalla comunità cristiana, da un percorso da fare insieme. Lo studio, il lavoro, il gruppo dei pari, il disinteresse della famiglia di origine collaborano, nelle opinioni degli intervistati, a un allontanamento che spesso non si sentono di contrastare perché pensano sia utile anche la sospensione, la latenza, pur nell’impegno a esserci, a non mancare a un’eventuale chiamata.
Comprendono che i modi di vivere la fede sono cambiati in maniera irreversibile e chiedono di essere aiutati ad affrontare questo mutamento. La gran parte di loro vive con passione il lavoro con i giovani e cerca strategie e strumenti innovativi per comunicare e testimoniare la propria fede.
Sperimentano pratiche, eventi, occasioni le più varie nelle quali vivere in comunità. Chiedono la condivisione e un maggiore coordinamento territoriale, dove il territorio rimane centrale anche se problematico: la mobilità per studio o per lavoro complica la possibilità di compiere cammini condivisi e duraturi».
 Modelli di relazione a cui ispirarsi
– Nel suo personale contributo in questo libro c’è un paragrafo che ho trovato particolarmente interessante: è quello sui «modelli di relazione», in cui emergono con forza le relazioni di Gesù. Potrebbe raccontarci brevemente questo aspetto della ricerca? Credo che possa dare degli spunti anche alla riflessione e allo stile della ricerca teologico-morale.
«Agli intervistati è stato chiesto di indicare quale incontro di Gesù con le persone nel Vangelo considerano una guida per la propria azione educativa e il tratto che ne vorrebbero riprodurre. Le risposte sono molte, molti i brani di Vangelo portati ad esempio. I più citati però sono quattro: l’incontro di Emmaus, la peccatrice perdonata, la Samaritana e l’incontro con Zaccheo
L’incontro di Emmaus è molto presente nei racconti degli intervistati perché, secondo le loro parole, dotato di una grande forza. Quella dell’accompagnamento, dell’affiancamento senza fretta, della compagnia che illumina un percorso partito da lontano e che porta lontano.
Lo stesso concetto si ritrova nei racconti di chi cita l’episodio della Samaritana, unito all’idea che l’educatore debba essere “promotore di consapevolezza e autonomia”, fornendo “acqua da bere”, ossia strumenti di conoscenza e giudizio. Ancora: la Samaritana è percepita come il simbolo del “diverso”, dello straniero accolto come uguale e, come tale, episodio di grande attualità, che parla direttamente alla contemporaneità multiculturale, segmentata, globale.
La peccatrice è ricordata come episodio nel quale il perdono è incondizionato, così come l’amore. Perdono e accoglienza che sono in grado di cambiare la vita a chi si sente perdonato e accolto. La peccatrice è citata anche come prima “apostola”, rappresentante delle donne che hanno seguito e seguono Gesù. Zaccheo è citato a motivo della sua “piccolezza”».
– In conclusione, quali sono le strade possibili? Qual è «il futuro della fede»?
«Ciò che qualifica l’azione educativa, secondo gli intervistati, è in primo luogo l’ascolto, unito alla presenza costante accanto ai giovani. E poi la concretezza e la testimonianza.
Grande rilievo viene dato alla gioia, primario messaggio cristiano spesso tralasciato, lasciando spesso passare l’idea che esso sia, al contrario, tristezza, dolore, noia. Infine un elemento messo molto in evidenza è il linguaggio: da cambiare, da adattare a quello usato da coloro con i quali si vuole entrare in comunicazione. Il linguaggio del fare, dell’esperienza… che si avvale, ma non per tutti, degli strumenti della comunicazione digitale.
In conclusione: la speranza non manca, anche di fronte alle tante difficoltà, prevale la certezza che si tratti di una semina che porta comunque frutti».

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