Sull'amore e sul corso "Amando si impara" (marzo 2018)
Sponsorizzato da don Mauro Leonardi, il giovane prof. di filosofia Luciano Sesta, propone delle sintesi del corso che sta tenendo nel suo liceo palermitano: "Amando si impara".
Luciano Sesta, sposato e padre di quattro bambini, è docente di Storia e Filosofia nei Licei Statali Insegna Antropologia filosofica e bioetica all’Università di Palermo, ed è stato membro dell’Ufficio della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo. Ha pubblicato numerosi saggi nell’ambito della teologia morale, della bioetica e dell’etica
1- Perché l’amore non mantiene ciò che promette?
L'amore interessa tutti, più di tutto. Perché? Cos'è, davvero, ciò che chiamiamo "amore"? Un intrattenimento momentaneo (Lucrezio), una dipendenza patologica (Marco Aurelio), la più sofisticata delle illusioni umane (Schopenhauer) o la chiave segreta della vita (Platone)? Nonostante sia fra le più logore e abusate, la parola “amore” continua ad accendere il nostro entusiasmo, perché lascia intravedere una bellezza di cui non riusciamo a fare a meno e che, al tempo stesso, sembra sfuggirci continuamente. Cosa c’è dietro le promesse, spesso non mantenute, dell’amore? Perché l’amore resiste a ogni delusione, e siamo sempre tutti pronti a investire ancora sulle sue lusinghe?
2- L’eros fra bisogno & desiderio
3- Innamorarsi è sempre un déjà vuLa scorsa volta ci chiedevamo perché l’amore non mantiene le sue promesse, e perché l’amore che sperimentiamo quotidianamente non è quasi mai quello che desideriamo. Ecco ora un piccolo colpo di scena, che richiede una faticosa conversione di sguardo. Platone ci dice qualcosa di sorprendente: l’impossibilità di ottenere ciò che desideriamo non equivale al fallimento dell’amore, ma alla rivelazione del suo significato più profondo. Quando noi pensiamo che l’amore debba darci qualcosa, infatti, ne fraintendiamo la vera natura, che non è di soddisfare il nostro bisogno, ma di accendere il nostro desiderio. L’amore non è bisogno di qualcosa (che possiamo ottenere), ma desiderio di qualcuno (che sfugge sempre al nostro possesso). “Mi manchi”, non a caso, è una delle più frequenti parole dell’amore. Cosa significa “mi manchi”? Si riferisce alla semplice assenza fisica dell’amato o fa riferimento a qualcosa di più profondo?
Nel Simposio di Platone, il primo grande testo della cultura occidentale dedicato all’amore, troviamo il famoso mito dell’androgino. All’origine dei tempi, racconta il mito, ciascun essere umano non era maschio o femmina, ma androgino, e cioè un uomo e una donna talmente uniti, da formare un solo essere, metà maschio e metà femmina, di forma sferica, con quattro braccia e quattro gambe. L’androgino esprime la perfetta armonia di uomo e donna, e dunque l’amore, il loro essere “una cosa sola”. Gli amanti non hanno bisogno di nulla, perché, appartenendosi l’un l’altro, hanno già tutto ciò che desiderano. Cogliendo in questa felicità una forma di arroganza umana, oltre che una somiglianza troppo pericolosa con la condizione beata degli dei, Zeus decide di tagliare a metà ogni androgino, e dunque di separare gli uomini dalle donne. Da allora, ogni uomo e ogni donna cercano di ritrovare la rispettiva metà, e non smettono di desiderarla finché, trovatala, non possono ricomporre con lei la loro antica e felice unione. Il genio di Platone, con questo mito, descrive con grande efficacia alcuni aspetti della nostra più quotidiana esperienza dell’innamoramento e dell’amore. La persona di cui ci innamoriamo, e che prima di incontrare non conoscevamo, ci appare improvvisamente come colei che da sempre cercavamo. Com’è possibile? Prima di innamorarcene, infatti, non cercavamo lei, visto che non l’avevamo mai incontrata. Eppure, quando la incontriamo, ci sembra di averla finalmente trovata. Come se fossimo sempre stati confusamente alla sua ricerca. Come se fossimo “fatti” l’uno per l’altro (l’androgino!) e qualcuno (Zeus!) ci avesse separati e qualcos’altro (il destino, Dio) ci avesse consentito di ri-trovarci. Innamorarsi, quando è davvero innamorarsi, è sempre un déjà vu.4- Il perdono, ovvero la perfezione di un amore imperfetto
Si dice spesso che l’amore perfetto non esiste. Il grande filosofo tedesco Hegel non la pensava così, quando ci ha detto che la perfezione dell’amore non consiste nella mancanza di imperfezione, ma nella sua capacità di perdonarla. Due esseri umani perfetti, che non avessero nulla da perdonarsi, non potrebbero amarsi. Quando, invece, posso essere certo che l’altro mi ama? Quando lo fa nonostante i miei limiti. Quando me li perdona, perché sono io. Due veri amanti si perdonano a vicenda di non potersi rendere felici come vorrebbero. Non la perfezione romantica, ma il perdono reciproco, e dunque l’accettazione della propria umanità bisognosa, rappresenta la specifica perfezione di quell’amore sempre imperfetto che è l’amore umano.5- Oltre l'androgino. Dalla simbiosi all'autonomia
Se per un verso illumina l’esperienza incantevole dell’innamoramento, il mito dell’androgino non è però in grado di restituirci il carattere dinamico, e drammatico, dell’amore. L’immagine delle due metà che combaciano formando un unico essere, infatti, evoca il facile “incastro” della presa e della spina, ossia l’automatismo di una compatibilità garantita, che, per contrasto, ci induce a ritenere fallito ogni rapporto d’amore che non la riproduca fedelmente. L’amore, a ben vedere, non è una forma di compensazione psicologica della solitudine. Può amare, davvero, solo chi non fa dell’altro una stampella della propria imperfezione. Possono camminare insieme solo due persone capaci di camminare anche da sole. C’è insomma una “buona” solitudine, che lungi dall’essere il contrario dell’amore, rappresenta piuttosto la condizione della sua riuscita.
Dio non è uno con cui si può mercanteggiare perché l’amore non si può pretendere, né tantomeno acquistare o vendere. L’amore divino è gratuito, è un dare senza pretendere di ricevere, è un donarsi per il bene di chi ama. E’ volere il bene dell’altro prima del proprio bene, piuttosto a discapito del proprio immediato bene.Così Dio non è un giudice che condanna, ma colui che finisce in Croce per noi, che si lascia condannare. Siamo noi che ci autocondanniamo rifiutando l’amore di Dio, chiudendoci in noi stessi e preferendo il male al bene.
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Una vita riuscita è quella nella quale si può dire
di aver molto amato,amato con passione,
una vita che è stata una storia d’amore.
Anche se ci sono quelli che lo negano
perché non credono all’amore. (Enzo Bianchi)
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Vedi anche la riflessione: L’amore al tempo di Internet: dalle emozioni alle emoticon