C'è anche un libro di filastrocche per bambini con questo stesso titolo, solo senza punto interrogativo finale: "Due mamme sono meglio di una". La pensa così anche il sindaco di Torino, la pentastellata Chiara Appendino che ha voluto essere la prima a registrare sull'anagrafe un bimbo con due mamme. “Abbiamo scritto un pezzo di storia” ha dichiarato trionfante la sindachessa. Così ricostruisce e commenta il fatto La Nuova Bussola Quotidiana:
Chiara Foglietta, consigliera comunale del Pd a Torino, e la sua compagna Micaela Ghisleni volano in Canada - in realtà loro dichiarano di essere andate in Danimarca, ndr - e lì la Foglietta si sottopone a fecondazione eterologa per avere un bebè. Tornano in Italia e il bambino nasce all’ospedale Sant’Anna. A quel punto la coppia chiede che il neonato venga riconosciuto come figlio legittimo di entrambe le donne. L’ufficiale di stato civile oppone un giusto diniego. Infatti, solo le coppie di sesso differente possono accedere alle pratiche di fecondazione artificiale ex lege 40/2004, non le coppie omosessuali né i single o le single. Inoltre, la modulistica degli uffici dell’anagrafe di Torino è ferma al 2002 e quindi non contempla nemmeno le procedure di fecondazione extracorporea. L’anagrafe quindi suggerisce alla Foglietta, madre biologica del bambino, di dichiarare che il bebè è nato a seguito di un rapporto sessuale e il padre non vuole riconoscere il figlio. Questa menzogna risolverebbe perlomeno il riconoscimento del figlio a favore della Foglietta, ma l’altra compagna comunque non potrebbe figurare come seconda madre.
La coppia non ci sta e chiama in causa l’amministrazione del sindaco Chiara Appendino la quale ieri, con un colpo di mano e in barba alle leggi italiane, riconosce il minore come figlio di entrambe le donne. Si badi bene: non si tratta di stepchild adoption, ossia dell’adozione da parte della Ghisleni del figlio naturale della Foglietta, bensì del riconoscimento del bambino come figlio legittimo di entrambe. E’ come se anche la Ghisleni avesse partorito il bambino. E’ la prima volta che accade in Italia con queste modalità. Nel recente passato ci sono stati alcuni casi in cui tale riconoscimento di doppia omogenitorialità era avvenuto all’estero e poi, per ordine del giudice, si era proceduto alla ricezione della legittimazione qui in Italia. Tra parentesi, l’Appendino, oltre al riconoscimento a favore della coppia lesbica di cui sopra, ieri ha proceduto a riconoscere anche i figli di altre due coppie gay, la cui doppia genitorialità però era già stata riconosciuta all’estero. Il caso invece della Foglietta e della Ghisleni è differente perché tale riconoscimento estero non c’è stato. Quindi l’Appendino non ha proceduto ad una ricezione di un atto legale straniero, ma si è mossa in piena autonomia senza neppure l’intervento di un giudice.
L’atto è illegittimo perché la legge italiana non prevede questo tipo di filiazione, esclusa addirittura dalla stessa legge Cirinnà che ha reso legittime le Unioni civili. Lo sa bene la prima cittadina Chiara Appendino che infatti da Facebook, qualche giorno fa, non faceva mistero delle sue intenzioni poco legali: “Per la prima volta la Città di Torino si trova dinnanzi a casi inediti di nuove forme di genitorialità che richiedono del tutto legittimamente il riconoscimento di quella che per loro è una famiglia, intesa come luogo fisico ed emotivo in cui due o più persone si amano e costruiscono insieme il futuro proprio e dei propri figli. Da mesi stiamo cercando una soluzione compatibile con la normativa vigente. Dopodiché la nostra volontà è chiara e procederemo anche forzando la mano, con l'auspicio di aprire un dibattito nel Paese in tema di diritti quanto mai urgente”. Insomma, se il pertugio legislativo c’è bene, altrimenti procederemo per la nostra strada. Sulla stessa lunghezza d’onda la consigliera comunale Pd Maria Grazia Grippo, vicepresidente della Commissione Diritti e Pari Opportunità della Città di Torino: “Questa situazione, in cui Chiara e Micaela non sono le uniche a trovarsi, impone una presa di posizione politica e non può essere scaricata sugli uffici o peggio sul bambino". Che tradotto significa: se anche la legge vietasse questo tipo di riconoscimento, politicamente non obbediremo.
Questa vicenda torinese, unita ad altre simili che hanno visto il riconoscimento della doppia omogenitorialità, ha impresso un’accelerazione notevole al tema. Varata la legge Cirinnà nel maggio del 2016 ci fu uno scontro al calor bianco nemmeno sull’adozione a favore delle coppie omosessuali, ma “solo” sulla stepchild adoption. A distanze neanche di due anni, la questione “stepchild sì – stepchild no” appare ampiamente superata e ormai due uomini o due donne possono tranquillamente figurare sullo stato di famiglia come genitori legittimi di bambini avuti in provetta. Come più volte abbiamo sottolineato, relativamente alla disciplina giuridica delle materie eticamente sensibili, ormai le aule parlamentari si trovano sparse un po’ in tutta Italia, a volte nei tribunali e a volte nelle sale consiliari. Al Parlamento starà poi solo registrare in una legge la prassi giudiziaria e di carattere amministrativo ormai in uso nello stivale.
Molto più cauto il Corriere della Sera nell'interpretare cosa dica la legge:
In Italia non esiste una legge organica in materia, che regoli questioni così delicate. Per risolvere non è stata fatta una forzatura alla norma, ma un intervento amministrativo.
Interviene anche Avvenire con un articolo dal titolo esplicativo: "Le «due mamme», la Chiesa di Torino: strappo sulla pelle dei bambini":
Una prima sottolineatura dell’articolo del direttore Alberto Riccadonna riguarda appunto questa attenzione: «il magistero della Chiesa – scrive - non si stanca di affermare che ogni bambino per crescere in modo sereno ed equilibrato - ha il bisogno primario di avere un padre e una madre. La considerazione massima, realmente partecipe al dolore di coloro che vorrebbero un figlio e non l’hanno, deve fermarsi di fronte al bisogno fondamentale dei piccoli. Di qui la valutazione contraria alla legalizzazione dei bambini con due mamme o due papà; il desiderio di maternità, come altri desideri della vita, non è realizzabile ad ogni costo». Invece il diritto assoluto da promuovere pare essere quello delle coppie omosessuali che vogliono realizzare il proprio desiderio di genitorialità.
Anche nel passato recente l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia era già intervenuto in casi analoghi: per ricordare non solo che la dottrina della Chiesa non è cambiata, ma che la priorità dell’attenzione va posta alla vita che nasce, e alle condizioni in cui viene accolta; e che non sono le «forzature legislative» a determinare o modificare le condizioni in cui un bambino nasce, cresce e ha bisogno di relazioni affettive ed educative equilibrate. E papa Francesco, nella «Amoris Laetitia», ha affermato che non esiste fondamento per assimilare o stabilire analogie tra le unioni omossessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia.
Un secondo «corno» della problematica sollevata dalla decisione del sindaco Appendino riguarda la legittimità dell’atto compiuto. Si sa che l’iscrizione all’Anagrafe del piccolo Niccolò Pietro non ha alcun valore legale, poiché il quadro normativo nazionale non contempla questa possibilità; il significato del gesto di Appendino, pur nella sua veste di «pubblico ufficiale» è dunque interamente ed esclusivamente politico.
L’editoriale de «La voce e il tempo» si intitola infatti «La forzatura delle due mamme», e vi si legge: «Si può pensare che una legge dello Stato venga applicata a libera discrezione degli 8 mila Comuni d’Italia, ciascuno secondo il proprio orientamento? No, lascia davvero sconcertati lo strappo operato lunedì scorso dall’Amministrazione torinese rispetto alle leggi che regolano l’Anagrafe e lo Stato Civile: il sindaco Appendino ha deciso di ‘forzare la mano’ alle leggi – parole sue – e registrare un neonato come ‘figlio’ di due mamme. Le norme anagrafiche non consentono questo tipo di registrazione. Neanche la Legge Cirinnà sulle unioni civili ha modificato questo punto. E allora ci domandiamo: a cosa servono le decisioni del Parlamento, se le altre Istituzioni dello Stato poi non lo riconoscono?».
Quale spazio, in vicende come questa, per la Chiesa torinese? C’è un primo «dovere» che riguarda proprio il richiamare l’attenzione sui bambini, che sono i protagonisti ma a volte anche le «vittime» di queste vicende; e c’è, come in più occasioni ha sostenuto l’arcivescovo Nosiglia, un impegno preciso a testimoniare la realtà della famiglia, composta da un uomo e da una donna con i loro figli, come progetto di Dio per l’umanità. Non si tratta di andare «contro il progresso», qualunque esso sia. Ma di ricordare che non sono le norme sociali a cambiare la verità, anche quella biologica, sulla persona umana.
Ancora Avvenire: "Due madri. Finzione d’anagrafe che per programma cancella il padre":
Che abbia o non abbia una compagna non c’entra nulla con la generazione del figlio. Oppure di che parliamo? Qualcuno fruga nel mare delle leggi. Nazionali, estere, scritte, da scrivere, desumibili dalla cultura mutante e dal diritto vivente, dalla civiltà trionfante, e via. Qualche garbuglio da azzeccare, frattanto? Dice la madre vera che non ha voluto fare una «falsa dichiarazione» usando la formula predisposta, che parlava di 'unione naturale', mentre per lei s’era trattato di fecondazione assistita. Raffinato scrupolo etico. La formula 24, dettata «per la madre naturale nel caso in cui il padre non consente di essere nominato», prevede che si scriva «dall’unione naturale di essa dichiarante con uomo ecc.».
Ma naturale, qui, caratterizza la filiazione fuori del matrimonio rispetto alla filiazione legittima, secondo il lessico passato. Non rispetto alla artificialità. Che scrupolo, che stizza. Semmai occorresse una variazione, sarebbe acconcia la 'fecondazione con seme di uomo che non consente ecc.'. Ma per l’altra donna, nessuna partecipazione. La bugia, semmai, cade qui. Nella nostra legge 'madre è colei che partorisce'. È stato necessario ai nostri giudici rammentarlo persino in quel caso drammatico, ricordate, di scambio di embrioni in fase di impianto. La maternità è un fatto, esattamente questo fatto, non un qualche concetto. Dire che alcune leggi straniere ammettono la fecondazione assistita per coppie omosessuali non ha niente a che fare con lo status del figlio che nasce in Italia. Nel diritto internazionale privato dell’ordinamento italiano 'lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita'. Dunque, nel caso di Torino, dalla legge italiana.
Cosa si fa in Danimarca vale per i danesi. Ci sono persino Paesi (pochi) dove la legge ammette l’utero in affitto, che da noi e nel resto del mondo è delitto. (Una maternità espropriata per la falsa filiazione, a volte di due maschi, con stratagemmi già avvenuti per nascite all’estero). Norme simili non sono il modello del nostro diritto. Ogni bambino che nasce in Italia ha la protezione intera della nostra legge. Dico protezione di proposito, perché corre un’altra vulgata circa la 'conquista civile che estende i diritti del figlio'. Ma i diritti del figlio stanno per primi nella vita ricevuta, e non c’è essere umano che non l’abbia ricevuta da una madre e da un padre. Per i genitori, negarsi al figlio, sparire dalla generazione è la prima diserzione; appropriarsi di una generazione inesistente può avere senso diverso per chi lo fa e per chi ne è l’oggetto.
Esiste un diritto del figlio, imprescrittibile, alle azioni di disconoscimento e di impugnazione del riconoscimento quando contrario al vero, per un suo interesse; e il rilievo costituzionale del principio di verità è stato confermato da una recente sentenza della Consulta (n. 217 del 2017). Questo deve far riflettere sull’affermazione che i legami della filiazione 'sociale' sono più importanti dei legami del sangue, e che nella sostanza è genitore chi ama il bambino, più di chi lo mette al mondo. C’è qualcosa di vero e di grande nella scelta di fare da padre, di fare da madre, a un bambino che non li ha più, o è stato abbandonato. A Nomadelfia ho visto 'madri di vocazione' che hanno accolto e amato così decine di 'figli', senza passare all’anagrafe. Ma non è la stessa cosa mettere al mondo un figlio che per programma non conoscerà suo padre e anagrafargli forzando la legge un 'genitore due' a pareggio del conto. O del desiderio? E di chi?
Infine l'intervento di due anni fa del vescovo di Torino Nosiglia:
NOSIGLIA: «DI MAMMA CE N’È UNA SOLA, LA REALTÀ PIÙ FORTE DELL’IDEOLOGIA»09/01/2015 «Una sentenza che non aiuta», commenta l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia. «Al di là della propaganda ideologica o politica», fa sapere, «che cerca subito di tirare dalla propria parte la sentenza ci auguriamo che nel buon senso della gente comune prevalga sempre il detto "di mamma ce n'è una sola"; e nessuna dichiarazione, anche trascritta nei registri come "madre A" e "madre B" potrà mai sostituire questa realtà nel cuore di un figlio».«Di mamma ce n'è una sola e nessuna dichiarazione, anche trascritta, potrà mai sostituire questa realtà nel cuore di un figlio». Usa un adagio popolare l'arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, per commentare «con dolore e preoccupazione», si sottolinea nella nota della Curia, la vicenda del bambino con due mamme. Il Comune di Torino, infatti, ha deciso di trascrivere l'atto di nascita del bambino con due mamme nato in Spagna grazie alla fecondazione eterologa. Per i registri dell'anagrafe sarà – primo caso in Italia – figlio di madre A e B. Quella che per la madre italiana del piccolo nato in Spagna con la fecondazione eterologa - e che la Corte d'Appello impone all'anagrafe di registrare come figlio di entrambe - «non è solo una battaglia di principio», per Nosiglia è invece una «sentenza che non aiuta». E che rischia di portare a una «grande confusione», con conseguenze su «quei minori che si intende tutelare».
«Se è vero che l'interesse primario da tutelare è quello del minore, non si può non notare come certe situazioni “limite” creino dei veri paradossi, giuridici ed esistenziali», sostiene l'arcivescovo del capoluogo piemontese. Per quanto sia «importante che la magistratura italiana, nei due gradi di giudizio, abbia comunque sottolineato l'attenzione prioritaria alla tutela della persona più debole - sottolinea - la crescita di questo bambino avverrà comunque in una situazione dove si incrociano diverse, obiettive difficoltà, legate in particolare all'assenza di un vero contesto familiare».
Poi aggiunge: «Ci sono molti aspetti pratici che dipendono da questa registrazione», è la posizione della madre italiana del bimbo, che chiede al Comune di dare esecuzione alla sentenza. «In una situazione di emergenza non potrei nemmeno autorizzare una trasfusione. Poi ci sono questioni di eredità, perché il bimbo non ha alcun vincolo legale con i suoi famigliari italiani».
Ma a preoccupare l'arcivescovo di Torino è la mancanza di «figure materne e paterne chiare, riconoscibili e presenti» e di «un contesto sociale, culturale e normativo che metta in esplicito collegamento i diritti degli individui con i doveri dei genitori e dei cittadini». «Al di là della propaganda ideologica o politica, che cerca subito di tirare dalla propria parte la sentenza», conclude Nosiglia, «ci auguriamo che nel buon senso della gente comune prevalga sempre il detto "di mamma ce n'è una sola"; e nessuna dichiarazione, anche trascritta nei registri come "madre A" e "madre B" potrà mai sostituire questa realtà nel cuore di un figlio».
Contrario anche il Forum delle associazioni familiari: «Questo caso è l'ennesimo episodio in cui si fa carta straccia delle qualità fondative della famiglia naturale, ma anche della specifica identità giuridica della famiglia, così come viene definita dalla Costituzione», si legge in una nota. «E la cosa singolare - e pretestuosa - è che lo si faccia nel nome dell’interesse del bambino».
«È evidente che si tende ad enfatizzare in chiave ideologica le pretese di alcune coppie. Già è grave quando è la politica a fare queste scelte ideologiche, come nel caso dei sindaci che trascrivono "automaticamente" - in modo arbitrario - i matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero, che non sono assolutamente riconosciuti nel nostro Paese. Almeno poi i sindaci sono sottoposti al giudizio degli elettori, che prima o poi potranno decidere se rivotarli oppure no. Ma quello a cui si sta assistendo è l’indebito protagonismo giudiziario di singoli giudici o delle varie Corti, con scelte, giudizi e pronunciamenti sui quali nessuno potrà mai chiedere loro conto».
Infine, conclude la nota: «Il Codice civile, il diritto di famiglia e perfino la legge 40 che prevede l’applicazione della fecondazione eterologa solo con un padre ed una madre, si modificano a Roma, non in giro per i tribunali o per gli uffici dei sindaci di tutt’Italia, e neppure sposando acriticamente scelte importate da altri Paesi».