Alfie Evans, il bambino che non tutti vogliono che viva (tra cui la Marzano e altri)
In queste ore febbrili drammatiche mi è capitato di leggere, oltre a tante riflessioni pro-Alfie, il dissenso di alcuni "pensatori" italiani. Così la Michela Marzano che su La Repubblica parla di "strumentalizzazione della sofferenza" e non ha dubbi che si tratti di "accanimento terapeutico":
E ora che c’entra l’Italia? Cos’è mai potuto passare per la testa dei ministri Alfano e Minniti quando hanno deciso di concedere la cittadinanza italiana al piccolo Alfie Evans?Tra le repliche ecco quanto scrive Tempi:
Comunque si giri e si rigiri la questione, il risultato è sempre lo stesso: la decisione di Alfano e di Minniti è incomprensibile. Lo è da un punto vista metodologico e politico: è assurdo che un Governo in carica per l’ordinaria amministrazione “auspichi”, come si legge in una nota della Farnesina, “l’immediato trasferimento in Italia” di un bimbo di 23 mesi tenuto in vita solo dalle macchine – a questo punto perché non occuparsi anche dello ius soli, visto che è sempre di nazionalità che si parla? Ma lo è anche da un punto di vista etico e giuridico: è incomprensibile che, a pochi mesi dall’approvazione di una legge che anche in Italia chiede al personale medico di somministrare “cure inutili o sproporzionate” ai propri pazienti, si pensi di far venire in Italia un bambino la cui vita dipende ormai solo dall’accanimento terapeutico. Non è un caso che anche la Corte Europea dei Diritti Umani abbia respinto il ricorso dei genitori di Alfie, rifiutandosi di interferire con quanto più volte ribadito dalle Corti britanniche: non c’è ragione di opporsi al parere medico in base al quale tenere in vita Alfie significa infliggergli ulteriore dolore.
E quindi? Quindi nasce il sospetto che, in tempi di ormai facile populismo, anche questo Governo si sia lasciato influenzare dalla propaganda di chi, strumentalizzando la sofferenza, tira fuori appena può l’arma della morale: quel “difendiamo la vita” che sta portando in alcuni paesi a rimettere in discussione il diritto di accesso all’IVG, in altri a non avere il coraggio di affrontare il tema dell’eutanasia o del suicidio assistito, in altri ancora ad avallare i pregiudizi di chi ancora immagina che sospendere l’alimentazione artificiale di un paziente significhi farlo morire di fame. Intendiamoci: non sto dicendo che la sofferenza dei genitori di Alfie non debba essere presa in considerazione. Al contrario. Il dolore, ogni dolore, merita il rispetto più assoluto, tanto più quando si tratta della sofferenza più grande che possa capitare a ciascuno di noi, visto che nulla è più drammatico della perdita di un figlio. Sto solo dicendo che la decisione del nostro Governo, con il dolore dei genitori di Alfie, c’entra poco, anzi, rischia solo di banalizzarlo. Ora Alfie è italiano, e allora? Ora Alfie potrà essere forse trasferito all’ospedale Bambin Gesù di Roma, e allora? A parte la gioia di Giorgia Meloni che parla di “spiraglio” – quale? perché? in che senso? – quali conseguenze può mai avere quest’attribuzione di cittadinanza italiana a un bimbo inglese in fin di vita? A meno che l’onorevole Meloni non parli di uno “spiraglio” per l’attribuzione della nazionalità italiana
anche a tutti quei ragazzi e quelle ragazze nati in Italia e che, ancora oggi, sono considerati stranieri. O dello “spiraglio” che permetterebbe a questo Governo di passare dall’ordinaria amministrazione ad un’amministrazione piena. Chiarendo magari, una volta per tutte, in base a quali criteri si ha o meno il diritto di essere Italiani.
Tra le voci contrarie al sostegno ad Alfie c'è anche quella molto ideologica di Maiurana, ospitata nel blog degli "ateisti" dell'UAAR: "Alfie Evans, nuovo inconsapevole simbolo nella difesa della non-vita":Michela Marzano, laureata alla Normale di Pisa, docente di filosofia all’Université Paris Descartes, già parlamentare del Partito democratico, poi abbandonato in polemica con la mancata inclusione della stepchild adoption alle coppie dello stesso sesso civilunite, non ha mancato di fare conoscere al mondo il suo pensiero sulla vicenda del piccolo Alfie Evans, il piccolo paziente inglese a cui tutti i tribunali della terra (e se ce ne fosse uno anche quello del pianeta di Goldrake) hanno decretato che è il suo interesse morire.Contro questo piano un popolo si è alzato in piedi, alcuni per mettersi in ginocchio e pregare con l’intenzione di sfondare il Cielo, altri mettendo a disposizione quello che sapevano fare, la penna, il diritto, l’organizzazione. Questo movimento ha alla fine mosso i ministri del governo italiano il quale ha deciso in extremis di conferire la cittadinanza italiana al piccolo bambino di 23 mesi.Sulle colonne del quotidiano La Repubblica la filosofa Marzano ha bollato come «incomprensibile» la cittadinanza ad Alfie. Per la docente di filosofia la vita di quel piccolo paziente «dipende solo dall’accanimento terapeutico», essendo «tenuto in vita solo dalle macchine». Come fa una filosofa ad ostentare una tale certezza? Semplice, «non c’è ragione di opporsi al parere medico in base al quale tenere in vita Alfie significa infliggergli ulteriore dolore», dice. La filosofa che insegna a Parigi dà vita nel suo intervento ad un mappazzone dove mescola «ius soli», «populismo», «diritto di accesso all’Ivg» e diagnosi su Alfie (per la Marzano è un bimbo in fin di vita).Leggendo che la Marzano discetta di clinica neonatologica, da medico e bioeticista mi sento autorizzato ad un piccolo sconfinamento in agro alieno e citare un filosofo che può prestarsi ad una varietà di contesti: «Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere». È la settima ed ultima proposizione del Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein, volutamente lasciata dall’autore senza commento. Ero un giovane medico, una paziente di mio padre fu ricoverata nel mio reparto, la diagnosi era tremenda: metastasi pleuriche di recidiva di carcinoma mammario. La figlia mi domandò cosa ci si poteva aspettare ed io, molto incautamente, le risposi che ci si doveva attendere la morte entro qualche mese. Ero giovane ed inesperto. Quella donna, la cui diagnosi era certa e che sarebbe dovuta passare a miglior vita così velocemente, visse ancora 12 anni. Quel caso mi insegnò quanto possa essere incerta la prognosi.Ma ad Alfie i medici inglesi non hanno mai posto una diagnosi, in sua assenza fare previsioni e spacciarle per certezze è indice di inadeguatezza o presunzione stupefacenti, che stupiscono ancor più se a promuoverle è chi del rigore metodologico dovrebbe essere conoscitore e custode. Se, come dice la Marzano, Alfie è vivo solo grazie alle macchine, se è in fin di vita, se sopravvive solo attraverso l’accanimento terapeutico, com’è che ora che nessuna macchina lo sostiene più da oltre 16 ore, egli continua ad essere vivo? Se non c’è ragione di dubitare dei medici inglesi, com’è che Alfie riesce a respirare nonostante sia stato staccato dal ventilatore senza alcun tentativo di svezzamento? Com’è che le previsioni di una morte rapida non si sono verificate? Hanno raccontato che morire era il best interest di Alfie, e l’unica sofferenza gliel’hanno procurata i medici rimuovendogli il sostegno ventilatorio. Hanno raccontato che trasportarlo avrebbe potuto peggiorare la sua situazione, ma se lo avessero lasciato andare a quest’ora Alfie sarebbe già da un pezzo in un lettino del Bambin Gesù. O i medici che hanno gestito Alfie hanno detto una colossale piramide di fregnacce, oppure in queste ore si è svolto davanti ai nostri occhi qualcosa di miracoloso. O forse ancora si sono verificate entrambe le cose. Se c’è qualcosa per me d’incomprensibile, è l’ostinata e ideologica negazione della realtà quando questa dimostra la fallacia e la mendacia della teoria.Se la Marzano vuole sostenere che ha ragione il giudice Hayden a dire che la vita di Alfie è futile, lo dica chiaramente e con convinzione, difendendo filosoficamente l’esistenza l’esistenza della categoria di vite immeritevoli di vita. Abbia il coraggio di affermare che sì, seppure con i mezzi limitati allora a disposizione e per fini forse non sempre condivisibili, il programma eutanasico nazista ha comunque evidenziato la qualità di vita come indicatore del migliore interesse. Si dimostri filosoficamente virile e disponibile alla disputa da cui non ci sottraiamo.L’esercito di Alfie ha certezza che la vita di quel bambino, così come quella di ogni essere umano, non è futile. Sostenuto da suo padre e sua madre è da milioni di persone nel mondo, questo piccolo bambino ha svelato i pensieri di molti cuori in una maniera così evidente che né io né la Marzano potremo mai sognare di emulare e con la sua enorme fragilità ha tirato fuori la nostra parte migliore, la nostra umanità. Contra factum non valet argumentum.
Ancora una voce critica-polemica è quella di Italialaica (un nome, un programma): "DA CHARLIE AD ALFIE: MIRACOLI ZERO, IPOCRITI TANTI".Il terreno su cui ci si confronta, riguardo alla vicenda del piccolo Alfie, è ancora una volta quello del significato da attribuire alla vita. Cosa è vita? Uno stato di morte sospesa, in cui le funzioni biologiche di base vengono gestite da macchine e assistite da terapie farmacologiche, è vita? Da un punto di vista biologico forse sì, ma non essendo autonoma non può essere definita realmente tale. Perfino un simbionte dipende solo in parte da un altro organismo. Da un punto di vista etico potrebbe esserlo purché vi siano sufficienti probabilità di ritornare a uno stato di vita vera, con un minimo di possibilità di relazione. E pur sempre nei limiti di quanto disposto da chi di quella vita è il titolare.Stato di sospensione della morte senza che vi siano concrete possibilità di uscirneNel caso di Alfie, così come in quello di Charlie Gard di quasi un anno prima, si parla però di bambini piccolissimi che non hanno facoltà di esprimersi e per i quali, quindi, spetta ai genitori decidere. Ma fino a che punto? Certo non senza alcun limite, infatti in genere nei sistemi legislativi è prevista la possibilità che la magistratura intervenga a tutela dei minori e possa perfino privare i genitori, o chi per loro, della potestà legale se necessario. Il criterio attraverso cui i giudici decidono è naturalmente quello dell’interesse del minore, che è esattamente quello tenuto in conto dai giudici inglesi contro i genitori di Charlie prima e di Alfie adesso: hanno stabilito che quanto da loro richiesto è contrario all’interesse del minore. Che non può essere quello di essere mantenuto in uno stato di sospensione della morte senza che vi siano concrete possibilità di uscirne, prima o poi. Tutti i medici interpellati sono stati unanimi a riguardo: non esistono cure per Alfie.Naturalmente anche per Alfie, così come per Charlie, è andata in scena la stessa commedia con il medesimo copione. Il papa interviene, il Vaticano si dice pronto ad accogliere il piccolo ricoverandolo al Bambin Gesù, il ministro Alfano, peraltro non facente più parte di un esecutivo nel pieno delle funzioni, veste i panni del ministro degli esteri della Santa Sede ingerendo, di fatto, negli affari interni di un Paese straniero qual è il Regno Unito. Perfino Salvini dice la sua, mettendo per un attimo da parte il suo nazionalismo, e rilancia l’hashtag #SaveAlfieEvans.
Nel caso di Alfie però l’armata clericale si è spinta ancora più in là. Sempre Alfano, di concerto con il suo collega agli interni Minniti, hanno deciso di concedere la cittadinanza italiana al piccolo pensando che ciò potesse facilitare l’eventuale trasferimento a Roma. O pensando che, pur dando per certo che sarebbe stato inutile come effettivamente è stato, ne valeva comunque la pena dal punto di vista mediatico. Trattandosi poi dello stesso Alfano che quando i bambini in questione erano quelli delle famiglie omogenitoriali si rifiutava di riconoscere loro perfino il diritto di avere due genitori, verrebbe quasi da ridere se non ci fosse di che piangere. Inoltre Tom Evans, il papà del piccolo, ha ottenuto di essere ricevuto a Roma da Bergoglio. Al termine dell’incontro lo stesso Evans ha detto, tra le altre cose: «Alfie è un figlio di Dio, e come tutti i figli di Dio, se deve morire, morirà nei tempi che Dio ha previsto per lui».Parlare di volere di Dio appellandosi allo stesso tempo ai progressi della scienzaIl punto è che certamente non è stato Dio a prescrivere il respiratore senza il quale Alfie morirebbe di asfissia. Quella macchina non è stata messa sulla Terra nei sei giorni della creazione biblica, la ventilazione artificiale è stata messa a punto meno di un secolo fa e prima di allora qualunque persona incapace di respirare autonomamente moriva. Si fa presto a parlare di volere di Dio appellandosi allo stesso tempo ai progressi della scienza, ma non bisogna dimenticare che sono persone di scienza anche quelle ascoltate dai giudici. E che sono state determinanti sull’esito del loro pronunciamento. Così come è scienza quella a cui si chiede aiuto per guarire.Si è sempre in una posizione scomoda a criticare dei genitori che vorrebbero avere più tempo per il loro amato figlio; qualunque genitore, compreso il sottoscritto, non potrebbe che essere loro umanamente vicino. Vi sono in gioco affetti ed emozioni fortissime. Ma è proprio per questa ragione che determinate decisioni andrebbero prese seguendo i pareri non solo di chi è competente in materia, e che quindi ha maggior titolo per valutare cosa è meglio fare, ma anche di chi non è emotivamente coinvolto.Massimo Maiurana
Infine segnalo le riflessioni pro-vita della Corradi e di don Lonardo pubblicate sul sito "Gli Scritti". Così don Lonardo:
A nessuno in terra è dato il potere di non far morire Alfie Evans. A nessun medico è data la possibilità di eliminare la morte. Alfie Evans morirà prima o poi. Questo non è in discussione: il suo disturbo neurodegenerativo probabilmente lo condurrà in breve alla morte.Non si tratta, quindi, di salvarlo. A nessuno è dato oggi tale potere.Si tratta, invece, di non anticiparne la morte, dando ai genitori tempo perché accompagnino fino a quel momento il bambino che amano, come è sempre avvenuto, nei secoli dei secoli.L’apparato legislativo è stato, invece, piegato negli anni fino all’assurdo di permettere che sia lo Stato, contro il consenso dei genitori, a decidereil momento della morte: ogni uomo, invece, deve morire per la sua malattia e non perché gli vengono sottratti l'acqua, il cibo o l'ossigeno, facendolo morire di sete o di fame o soffocato.E che tale distacco, e peggio ancora un’eventuale somministrazione di farmaci eutanasiaci, siano un’anticipazione assurda appare evidente dal fatto che, una volta distaccate le macchine, il bambino sia sopravvissuto per diverse ore. Come può un tribunale arrogarsi il diritto di anticipare la morte, sostituendosi ai genitori?Anche solo l’ipotesi che sia “moderno” e “democratico” sostituirsi a loro, che sia “umano” decidere contro la loro volontà, dice la disumanità dei meccanismi giuridici che sono stati introdotti.Pazzesco è questa pretesa di sostituirsi ai genitori e ai tempi del morire che non spetta a noi decidere.Pazzesco è altresì il fatto che i giudici dichiarino “futile” la richiesta dei genitori di trasferire il bambino altrove (come ha dichiarato la BBC, citando la sentenza del giudice che ne vietava il trasferimento http://www.bbc.com/news/uk-england-merseyside-43302765).Il caso di Alfie Evans mostra ancora una volta che esiste una visione del mondo e del diritto che pretende di estraniare i genitori dalla cura e di imporre la propria prospettiva eutanasica: i suoi promotori sono intolleranti, come la vicenda sta rivelando, e solo chi lotta con i denti riesce a strappare loro momenti di vita.Una determinata visione dello Stato, espressa da quella che è stata giustamente chiamata “neolingua” (termine che si è fatto strada già nei grandi romanzi distopici dei primi del novecento fino a Maalouf e Wijkmark) cercano di rovesciare il tragitto elementare della vita, nascondendo il loro tratto disumano dietro parole come “alleviare le sofferenze” e “non provocare sofferenze inutili e futili”.Per approfondire i rischi della neo-lingua promossa dalle lobby eutanasiache, vale la pena leggere il romanzo La morte moderna di Carl-Henning Wijkmark (qui una breve recensione E se giungesse il giorno nel quale vite diverse hanno diverso valore? Una recensione di Tommaso Spinelli a La morte moderna di Carl-Henning Wijkmark) e il racconto Le Pre-Persone, di Philip K. Dick.