Omelia per la domenica della Santa Famiglia di Gesù
Lo sguardo si amplia: dal bambino che è nato, ai suoi genitori, Maria e Giuseppe: la Santa Famiglia che è modello delle nostre famiglie non perché è perfetta, serena, felice, senza problemi, ma proprio perché è, come ogni famiglia, imperfetta, preda di incertezze e problemi, ma anche salda su Dio, tesa a fare la sua volontà, fiduciosa in Lui, desiderosa di vivere secondo la Legge.
E’ imperfetta:
hanno un figlio prima del matrimonio, vivono in un contesto di povertà e di violenza.
E’ una famiglia costretta ad emigrare…
Ma è anche una famiglia che segue la volontà di
Dio, che si fida e si affida a Lui. A loro è affidato un bambino: un essere
umano piccolo e fragile, ma insieme grande e prezioso, carico di novità e di
speranza.
Gesù nasce, come tutti noi, all’interno di una famiglia, riceve cura e
amore da un padre e una madre.
Da loro,
come ogni neonato, egli dipende totalmente nei primi tempi della sua vita. È
proprio passando attraverso questo amore accolto su di sé che egli diverrà una
persona capace di relazioni e di amore, fino al dono della vita per amore del
Padre e degli uomini suoi fratelli. (E. Bianchi)
Dio nasce in una famiglia: si affida, valorizza, rende sacra, dà valore
incomparabile alla famiglia, cellula fondamentale della società.
Come prescriveva la legge di Dio, li troviamo nel Tempio di Gerusalemme per “riscattare”
il loro figlio primogenito: appartiene a Dio e la legge richiede di riconoscere
questo legame con Dio.
Nel Tempio incontrano due anziani, Simeone e Anna, che sanno riconoscere in questo
bambino la realizzazione delle promesse di Dio. Sono il simbolo dell’attesa
fedele di Israele: il vecchio (capace ancora di sognare e di sperare) incontra il
nuovo (che compie la loro attesa).
“Simeone,
uomo giusto e pio, aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era
su di lui”
Simeone,
anziano aperto alla speranza, uomo che attende e desidera il compimento delle
promesse, ha la soddisfazione di vederne il compimento. La scena evangelica è
deliziosa e riassume la storia del mondo: un uomo anziano prende in braccio un
bambino appena nato e in questo abbraccio riconosciamo l’incontro delle
generazioni e il compimento della storia. (C. Doglio)
Attenzione a quando si smette di sognare,
quando ci si adatta con amarezza al proprio presunto fallimento, quando si è
fissi sulle nostre miserie e ci si dimentica della grandezza della nostra vita
e del nostro destino di figli di Dio. Quando ci si affida ai soli ricordi del
passato e non ci si aspetta più nulla dal futuro.
Così ABRAMO,
anni dopo la promessa ricevuta, esprime a Dio tutta la sua amarezza: non crede
più in un futuro, si è arreso. Ma Dio lo invita ad alzare lo sguardo al cielo
stellato, a guardare a Lui e a tornare a sperare nel compimento delle sue
promesse: Dio è grande e fedele e non viene meno alla parola data.
Così ai nostri ANZIANI Dio chiede di non smettere di sognare, di non ancorarsi al
solo passato ma di aprirsi alle novità che Dio compie, che forse loro vedranno
solo in germe, come in un bambino di pochi giorni, ma che è segno di un futuro
che non finisce con noi, delle novità che possono scaturire anche dal nostro
impegno dall’aver fatto la nostra parte perché la speranza e la vita non
venissero meno.
Simeone e Anna sono l’esempio di
bella anzianità. È sempre più facile nella nostra società scorgere anziani che ormai
pensano con tristezza e rassegnazione al loro futuro; e l’unica consolazione,
quando è possibile, è il rimpianto della passata giovinezza. Il Vangelo di oggi
sembra dire a voce alta che il tempo della vecchiaia non è un naufragio, una
disgrazia, una iattura, un tempo più da subire tristemente che da vivere con
speranza. Simeone e Anna sembrano uscire da questo affollato coro di gente
triste e angosciata e dire a tutti: “È bello essere anziani! Sì, la vecchiaia
si può vivere con pienezza e con gioia”. Questo loro canto è inconcepibile e
incomprensibile in una società dove quel che solo conta è la forza e la
ricchezza.
Oggi, Simeone e Anna ci vengono
incontro: sono essi che annunciano il Vangelo, la buona notizia all’intera
nostra società. Essi non chiusero gli occhi sulla loro debolezza,
sull’affievolirsi delle forze; in quel Bambino trovarono una nuova compagnia,
una nuova energia, un senso in più per la loro stessa vecchiaia. Simeone, dopo
aver preso tra le sue braccia il Bambino, poté cantare il Nunc dimittis non con la tristezza di chi aveva sprecato la vita e
non sapeva cosa sarebbe accaduto di lui; e Anna, l’anziana, da quell’incontro
ricevette nuova energia e nuova forza per “lodare Dio e parlare del bambino” a
chiunque incontrava.
“Egli è qui come caduta e risurrezione, come
segno di contraddizione”.
Cristo come caduta e contraddizione.
Caduta dei nostri piccoli o grandi idoli, che fa cadere in rovina il nostro
mondo di maschere e bugie, che contraddice la quieta mediocrità, il disamore e
le idee false di Dio.
Cristo come risurrezione: forza che mi ha fatto ripartire quando avevo il vuoto
dentro e il nero davanti agli occhi. Risurrezione della nobiltà che è in ogni
uomo, anche il più perduto e disperato.
Caduta, risurrezione contraddizione. Tre parole che danno respiro alla vita,
aprono brecce. Gesù ha il luminoso potere di far vedere che le cose sono
abitate da un «oltre». (E. Ronchi)
"Il
padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui".
Molte
nostre famiglie non funzionano perché hanno perso lo stupore nel guardarsi.
Funziona ormai solo il pregiudizio: "ti conosco bene!". Eppure la
verità più vera di ogni ambiente sano è potersi sentire addosso uno sguardo che
ti dice "sei molto di più di ciò che sembri!". Solo quando è
preservato il mistero che c'è dentro ognuno di noi, solo allora le relazioni ci
fanno essere felici. (L.M. Epicoco)