Omelia per la domenica della Santa Famiglia (29 dicembre 2019, anno A)
Torna protagonista san Giuseppe, il
sognatore concreto capace di ascoltare Dio (non solo con le orecchie, ma con
tutto sé stesso, come avviene nei sogni, dove intervengono altri sensi, non
solo quello dell’udito) e di mettere in pratica le sue indicazioni.
San Giuseppe è un padre che si prende cura
della sua famiglia, a costo di tagliare i ponti con la propria terra e cercare
rifugio in terra straniera come i tanti emigranti di oggi e di sempre, in cerca
di fortuna.
Quelli che hanno il potere facilmente lo
esercitano a discapito dei più deboli, come i bambini e le loro famiglie
povere. La famiglia è sempre la più debole delle istituzioni, ma anche la
cellula fondamentale da salvaguardare.
San Giuseppe
“È il padre che tutti vorrebbero. Quello che non ti molla, che non ha paura
di opporsi a chi ti minaccia, che sa come fare e trova la strada per farti
crescere al sicuro… È il maschio che manca a questa generazione di uomini
impauriti, incerti, confusi, (eterni adolescenti) ripiegati su sé stessi e
privi di fermezza” (don Rosini).
Qual è il segreto di san Giuseppe?
Essere in dialogo con Dio: “Non ci vogliono qualità particolari: serve
piuttosto di smetterla di fare da soli e chiedere aiuto al Padre. Occorrono
padri che dialoghino col Padre. Allora saranno meravigliosi” (don Rosini).
Il mondo di oggi ritiene che “famiglia” sia una parola abusata, meglio
parlare di rapporti di affetto od utilizzarla per definire ogni rapporto di
amore.
Meglio e più semplice: parlare di
rapporti di affetto anziché di famiglia “tradizionale”, permette di
giustificare la provvisorietà dei rapporti, l’incapacità di prendersi delle
responsabilità a lunga scadenza, a sacrificare qualcosa di sé per garantire il
bene degli altri…
Eppure ciascuno di noi ha, all’origine,
un padre e una madre. La famiglia è il nucleo fondamentale della società, la
famiglia è la realtà che Dio stesso ha voluto per suo figlio, la realtà che,
secondo le parole di San Paolo, meglio esprime l’unità che, in Gesù Cristo, Dio
vive nei confronti della Chiesa: un’unità che nasce dal dono della vita, da una
dedizione d’amore che passa attraverso il servizio, il perdono, il prendersi
cura…
All’interno della Santa Famiglia più
volte durante l’anno si evidenzia il ruolo fondamentale di Maria e dunque della
madre, ma il Vangelo di quest’anno mette al centro piuttosto il ruolo di
Giuseppe, il ruolo paterno che guida e protegge, educa e si prende cura della
propria famiglia.
Giuseppe è padre a tutti gli effetti: Generare un figlio è facile, ma essergli padre e
madre, amarlo, farlo crescere, farlo felice, insegnargli il mestiere di uomo,
questa è tutta un’altra avventura.
La figura di Giuseppe ci
permette di sottolineare il ruolo fondamentale del padre all’interno
della famiglia e di come, nella nostra società, questa figura sia spesso
debole, assente, totalmente presa dal lavoro (a volte vissuto anche come una
fuga dalle responsabilità familiari), incapace di prendere posizioni
nell’educazione dei figli, educazione che lascia nelle mani della moglie che,
sempre più spesso, è anche lei impegnata nel mondo lavorativo oltre che
sociale.
La Santa Famiglia è una famiglia
irregolare, emigrante, perseguitata, priva di sicurezze economiche.
La famiglia di Nazareth non è una famiglia ideale, quella delle immaginette, dei santini (o della
pubblicità del Mulino Bianco). La famiglia nella quale le cose vanno bene,
regna la concordia, la pace e la serenità. Una gravidanza non attesa e fuori
dalle regole; il difficile chiarimento interno alla coppia per un’accoglienza
basata sulla sola fiducia, sull’amore; il giudizio della gente; una nascita
dentro un contesto di violenza e di precarietà; la minaccia sulla vita
nascente; l’esperienza dello sradicamento e dell’esilio; un figlio “diverso”,
imprevedibile, che non sta alle attese; la perdita del padre.
Ma è proprio nella sua “imperfezione”
che la santa famiglia può diventare vero modello della famiglia cristiana.
Benedetto XVI auspica:
“L’amore, la fedeltà e la dedizione di Maria e Giuseppe siano di esempio per
tutti gli sposi cristiani, che non sono gli amici o i padroni della vita dei
loro figli, ma i custodi di questo dono incomparabile di Dio”.
La Santa Famiglia ci insegna: la riuscita
delle nostre famiglia non è legata al fatto che le cose vadano bene, che al
loro interno non si vivano difficoltà, fatiche, errori e anche drammi. La
riuscita delle nostre famiglie sta nel fatto che ognuno, nelle vicende positive
e in quelle negative, impegni la sua vita per promuovere la vita degli altri. E
faccia spazio a Dio fidandosi delle sue indicazioni.
La II lettura mi ricorda anche un’altra
espressione che è già diventata famosa: le tre parole che Papa Francesco invita
a dirsi in famiglia: SCUSA, GRAZIE, PERMESSO, tre parole che
rafforzano la famiglia. “Perdonatevi…rendete grazie…mostrate tenerezza,
delicatezza …lasciate entrare nelle vostre case la Parola di Dio. Sia vostro
alimento quotidiano più della televisione e del computer.
“Preghiera semplice” della famiglia
Signore, fa’ della nostra famiglia uno
strumento della tua pace:
dove prevale l’egoismo, che porti amore,
dove domina la violenza, che porti tolleranza,
dove scoppia la vendetta, che porti riconciliazione,
dove serpeggia la discordia, che porti comunione,
dove regna l’idolo del denaro, che porti libertà dalle cose,
dove c’è scoraggiamento, che porti fiducia,
dove c’è sofferenza, che porti consolazione,
dove c’è solitudine, che porti compagnia,
dove c’è tristezza, che porti gioia,
dove c’è disperazione, che porti speranza.
dove prevale l’egoismo, che porti amore,
dove domina la violenza, che porti tolleranza,
dove scoppia la vendetta, che porti riconciliazione,
dove serpeggia la discordia, che porti comunione,
dove regna l’idolo del denaro, che porti libertà dalle cose,
dove c’è scoraggiamento, che porti fiducia,
dove c’è sofferenza, che porti consolazione,
dove c’è solitudine, che porti compagnia,
dove c’è tristezza, che porti gioia,
dove c’è disperazione, che porti speranza.
O Maestro, fa’ che la nostra famiglia
non cerchi tanto di accumulare, quanto di donare,
non si accontenti di godere da sola ma sappia condividere.
Perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere,
nel perdonare che nel prevalere,
nel servire che nel dominare.
non si accontenti di godere da sola ma sappia condividere.
Perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere,
nel perdonare che nel prevalere,
nel servire che nel dominare.
Così costruiremo insieme una società
solidale e fraterna.
Amen
Amen