"Andiamo a vedere" come i pastori. Omelia di Natale
COME I PASTORI
(Lc 2,8-20)
I primi ad essere informati dell’evento
dell’incarnazione sono, secondo Luca, un gruppo di pastori che pernottavano
all’aperto, nei dintorni di Betlemme.
Il linguaggio è anche qui altamente simbolico e ci
parla innanzitutto di coloro che, per mestiere, erano di fatto esclusi dalla
pratica religiosa: in quell’epoca i pastori erano gente abbrutita che viveva nelle
campagne a contatto con le bestie; viveva nelle impurità rituali, perché non
poteva andare in sinagoga a purificarsi; erano mal pagati, a volte trattati
come degli schiavi, per cui spesso vivevano di furti e di omicidi. Erano impuri e, secondo la convinzione
religiosa del tempo, esclusi dal messaggio di salvezza che questi riti
promettono. Eppure, ci racconta Luca, è proprio a loro che Dio manda un angelo
per annunciare la straordinaria notizia: “È
nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore” (Lc 2,11). É nato
soprattutto per voi esclusi: Dio vi ama e non accetta che possiate sentirvi
ancora fuori da questa relazione che vuole vivere con tutte le sue creature.
Così l’angelo del Signore, anziché minacciarli per la loro impurità, li avvolge
della luce e dell’amore divino.
É oggi a noi peccatori, impuri, lontani e troppo
spesso indifferenti che annuncia questa notizia: Gesù è nato per noi! E
l’angelo? Esso è per definizione il messaggero di Dio, colui che si fa tramite
tra lui e noi per realizzare questo incontro. Pensiamo a quanti angeli ci vengono
inviati: genitori, nonni, parenti, amici, sacerdoti, catechisti, gente che
incontriamo per strada e, inconsapevolmente, ci comunica qualcosa che ci
colpisce e ci ricorda in tanti modi che Gesù è vivo ed è presente in mezzo a
noi. Oggi gli angeli comunicano anche attraverso la tv, giornali, libri,
computer… Qualche volta questi messaggi superano la nostra indifferenza e i
mille rumori che abitano la nostra vita e ci spingono ad alzarci, nel cuore
della notte - simbolo dell’oscurità in cui viviamo - per andare a verificare se
veramente è nato qualcuno capace di offrirci la speranza di una vita che
acquisti un senso profondo, capace di donarci quella gioia che tutti noi
cerchiamo e raramente - o solo per pochi istanti effimeri - sperimentiamo.
É interessante notare anche la lode della
moltitudine dell’esercito celeste che interviene dopo l’annuncio dell’angelo ai
pastori: “Gloria a Dio nel più alto dei
cieli e sulla terra pace agli uomini,
che egli ama” (Lc 2,14). L’ultima traduzione della Bibbia della CEI del
2008 abbandona il tradizionale riferimento agli “uomini di buona volontà” per passare agli “uomini che egli ama”. Al centro non c’è più la “buona volontà”
degli uomini, ma l’amore che Dio ha per gli uomini. É questo amore che motiva
l’intervento di Dio, l’incarnazione del Figlio, non il merito che gli uomini
avrebbero ottenuto di fronte a Dio.
Il termine “che
egli ama” (eudokia, letteralmente
“beneplacito”), indica la sorgente di
tutti i beni contenuti nel dono della pace e il motivo del suo agire benevolo
nei confronti degli uomini, ovvero il suo amore. Non si comprenderebbe
altrimenti perché l’annuncio coinvolga primariamente i pastori, solitamente
privi di “buona volontà religiosa”.
Dall’amore di Dio scaturiscono due conseguenze che
trasformano i pastori: innanzitutto “essi lasciano il loro gregge, interrompono
il loro riposo, lasciano tutto; tutto passa in second’ordine di fronte
all’invito rivolto loro da Dio”[1]. I
pastori diventano infine evangelizzatori: “Tutti
quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori” (v.18):
in questi pastori, primi ascoltatori che a loro
volta si fanno annunciatori, si profila la chiesa. Essa nasce dall’annuncio, ne
verifica l’oggi di salvezza e la trasmette agli altri con l’annunzio. É una
chiesa di poveri e umili, come l’annunciato stesso. In forza della fede, essa
riconosce, annuncia, glorifica e loda Dio che si è rivelato nell’impotenza di
Gesù[2].
“I pastori poi se ne tornarono glorificando e
lodando Dio” (v.20): una volta che si è avvolti dall’amore di Dio, che si è
sperimentato l’amore gratuito, incondizionato di Dio, anche gli esseri ritenuti
più lontani possono svolgere quella che è la stessa funzione degli angeli (gli
esseri più vicini a Dio): glorificare e lodare il Signore.
[1] R. Cantalamessa, Gettate
le reti, vol.1, p.36
[2] S. Fausti, Una
comunità legge il Vangelo di Luca, p.63.
Contempliamo oggi un
evento che ha segnato la storia e l’ha divisa in prima della sua nascita e dopo
la sua nascita.
Contempliamo l’evento
che ha visto Dio abitare in mezzo a noi, da allora e per sempre.
Contempliamo l’evento
che ha mostrato per la prima volta il volto di Dio: quello di un bambino appena
nato in un contesto di povertà e di violenza, bisognoso di cura e di attenzioni,
un volto che causa tenerezza e che chiede la nostra accoglienza.
Eppure, dopo più di
2000 anni, questo evento ci interpella ancora e cerca di scuoterci dal nostro
torpore spirituale:
-
“Il mondo non mi ha”
ancora “riconosciuto”: mi riconosci come il tuo Dio?
- “Venne tra i suoi e i suoi non lo
hanno accolto”: mi accogli tu nella tua vita?
-
Egli è la vita e la
luce degli uomini, ma le tenebre sembrano essere preferite per non mettere in
luce i nostri peccati e i nostri compromessi: permetti che ti doni vita e ti
illumini il cammino?
Dio non ci chiede di
meritarci la sua presenza: Lui viene gratuitamente e gratuitamente ci ama: non perché
lo meritiamo, ma perché ci vuole figli nel figlio:
“A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”.
“A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”.
ANDIAMO FINO A BETLEMME
Andiamo fino a Betlemme,
come i pastori.
L'importante è muoversi.
E se invece di un Dio glorioso,
ci imbattiamo nella fragilità
di un bambino,
non ci venga il dubbio di aver
sbagliato il percorso.
Il volto spaurito degli oppressi,
la solitudine degli infelici,
l'amarezza di tutti gli
uomini della Terra,
sono il luogo dove Egli continua
a vivere in clandestinità.
A noi il compito di cercarlo.
Mettiamoci in cammino senza paura.
come i pastori.
L'importante è muoversi.
E se invece di un Dio glorioso,
ci imbattiamo nella fragilità
di un bambino,
non ci venga il dubbio di aver
sbagliato il percorso.
Il volto spaurito degli oppressi,
la solitudine degli infelici,
l'amarezza di tutti gli
uomini della Terra,
sono il luogo dove Egli continua
a vivere in clandestinità.
A noi il compito di cercarlo.
Mettiamoci in cammino senza paura.
don Tonino Bello