Meditazioni natalizie di Martini, Patriciello e Maggi
Il presepio e la semplicità del Natale: una meditazione del cardinale Martini
Le riflessioni del cardinale Carlo Maria Martini sulla nascita di Gesù scritte a Gerusalemme e pubblicate su 30Giorni nel dicembre 2006Carlo Maria MartiniIl presepio è qualcosa di molto semplice, che tutti i bambini capiscono. È composto magari di molte figurine disparate, di diversa grandezza e misura: ma l’essenziale è che tutti in qualche modo tendono e guardano allo stesso punto, alla capanna dove Maria e Giuseppe, con il bue e l’asino, attendono la nascita di Gesù o lo adorano nei primi momenti dopo la sua nascita. Come il presepio, tutto il mistero del Natale, della nascita di Gesù a Betlemme, è estremamente semplice, e per questo è accompagnato dalla povertà e dalla gioia. Non è facile spiegare razionalmente come le tre cose stiano insieme. Ma cerchiamo di provarci.Natale, mistero di povertàIl mistero del Natale è certamente un mistero di povertà e di impoverimento: Cristo, da ricco che era, si fece povero per noi, per farsi simile a noi, per amore nostro e soprattutto per amore dei più poveri. Tutto qui è povero, semplice e umile, e per questo non è difficile da comprendere per chi ha l’occhio della fede: la fede del bambino, a cui appartiene il Regno dei cieli. Come ha detto Gesù: «Se il tuo occhio è semplice anche il tuo corpo è tutto nella luce» (Mt 6, 22). La semplicità della fede illumina tutta la vita e ci fa accettare con docilità le grandi cose di Dio. La fede nasce dall’amore, è la nuova capacità di sguardo che viene dal sentirsi molto amati da Dio.La gioia pienaIl frutto di tutto ciò si ha nella parola dell’evangelista Giovanni nella sua prima lettera, quando descrive quella che è stata l’esperienza di Maria e di Giuseppe nel presepio: «Abbiamo veduto con i nostri occhi, abbiamo contemplato, toccato con le nostre mani il Verbo della vita, perché la vita si è fatta visibile». E tutto questo è avvenuto perché la nostra gioia sia perfetta. Tutto è dunque per la nostra gioia, per una gioia piena (cfr. 1Gv 1, 1-3). Questa gioia non era solo dei contemporanei di Gesù, ma è anche nostra: anche oggi questo Verbo della vita si rende visibile e tangibile nella nostra vita quotidiana, nel prossimo da amare, nella via della Croce, nella preghiera e nell’Eucaristia, in particolare nell’Eucaristia di Natale, e ci riempie di gioia.SemplicitàPovertà, semplicità, gioia: sono parole semplicissime, elementari, ma di cui abbiamo paura e quasi vergogna. Ci sembra che la gioia perfetta non vada bene, perché sono sempre tante le cose per cui preoccuparsi, sono tante le situazioni sbagliate, ingiuste. Come potremmo di fronte a ciò godere di vera gioia? Ma anche la semplicità non va bene, perché sono anche tante le cose di cui diffidare, le cose complicate, difficili da capire, sono tanti gli enigmi della vita: come potremmo di fronte a tutto ciò godere del dono della semplicità? E la povertà non è forse una condizione da combattere e da estirpare dalla terra?Lo spirito di povertàMa gioia profonda non vuol dire non condividere il dolore per l’ingiustizia, per la fame del mondo, per le tante sofferenze delle persone. Vuol dire semplicemente fidarsi di Dio, sapere che Dio sa tutte queste cose, che ha cura di noi e che susciterà in noi e negli altri quei doni che la storia richiede. Ed è così che nasce lo spirito di povertà: nel fidarsi in tutto di Dio. In Lui noi possiamo godere di una gioia piena, perché abbiamo toccato il Verbo della vita che risana da ogni malattia, povertà, ingiustizia, morte. Se tutto è in qualche modo così semplice, deve poter essere semplice anche il crederci.Per credere basta il cuoreSentiamo spesso dire oggi che credere è difficile in un mondo così, che la fede rischia di naufragare nel mare dell’indifferenza e del relativismo odierno o di essere emarginata dai grandi discorsi scientifici sull’uomo e sul cosmo. Non si può negare che può essere oggi più laborioso mostrare con argomenti razionali la possibilità di credere, in un mondo così. Ma dobbiamo ricordare la parola di san Paolo: per credere bastano il cuore e la bocca. Quando il cuore, mosso dal tocco dello Spirito datoci in abbondanza (cfr. Rm 5, 5; Gv 3, 34), crede che Dio ha risuscitato dai morti Gesù e la bocca lo proclama, siamo salvi (cfr. Rm 10, 8-12).Il Signore è di tuttiTutte le complicazioni, tutti gli approfondimenti che talora ci confondono, tutto ciò che è stato sovrimposto attraverso il pensiero orientale e occidentale, attraverso la teologia e la filosofia, sono riflessioni buone, ma non ci devono far dimenticare che credere è in fondo un gesto semplice, un gesto del cuore che si butta e una parola che proclama: Gesù è risorto, Gesù è Signore! È un atto talmente semplice che non distingue fra dotti e ignoranti, tra persone che hanno compiuto un cammino di purificazione o che devono ancora compierlo. Il Signore è di tutti, è ricco di amore verso tutti coloro che lo invocano.La fede è abbandono e fiduciaGiustamente noi cerchiamo di approfondire il mistero della fede, cerchiamo di leggerlo in tutte le pagine della Scrittura, lo abbiamo declinato lungo vie talora tortuose. Ma la fede, ripeto, è semplice, è un atto di abbandono, di fiducia, e dobbiamo ritrovare questa semplicità. Essa illumina tutte le cose e permette di affrontare la complessità della vita senza troppe preoccupazioni o paure. Per credere non si richiede molto. Ci vuole il dono dello Spirito Santo che egli non fa mancare ai nostri cuori e da parte nostra occorre fare attenzione a pochi segni ben collocati.Piccoli segniGuardiamo a ciò che successe accanto al sepolcro vuoto di Gesù: Maria Maddalena diceva con affanno e pianto: «Hanno portato via il Signore e non sappiamo dove l’hanno posto». Pietro entra nel sepolcro, vede le bende e il sudario piegato in un luogo a parte e ancora non capisce. Capisce però l’altro discepolo, più intuitivo e semplice, quello che Gesù amava. Egli «vide e credette», riferisce il Vangelo, perché i piccoli segni presenti nel sepolcro fecero nascere in lui la certezza che il Signore era risorto. Non ha avuto bisogno di un trattato di teologia, non ha scritto migliaia di pagine sull’evento. Ha visto piccoli segni, piccoli come quelli del presepio, ma è stato sufficiente perché il suo cuore era già preparato a comprendere il mistero dell’amore infinito di Dio.Un cuore pronto a credereTalora noi siamo alla ricerca di segni complicati, e va anche bene. Ma può bastare poco per credere se il cuore è disponibile e se si dà ascolto allo Spirito che infonde fiducia e gioia nel credere, senso di soddisfazione e di pienezza. Se siamo così semplici e disponibili alla grazia, entriamo nel numero di coloro cui è donato di proclamare quelle verità essenziali che illuminano l’esistenza e ci permettono di toccare con mano il mistero manifestato dal Verbo fatto carne. Sperimentiamo come la gioia perfetta è possibile anche in questo mondo, nonostante le sofferenze e i dolori di ogni giorno.
Davanti al Mistero. Attorno al presepe c'è spazio per tutti, accogliamo il Dio-bambino
Ancora poche ore e sarà Natale. Un neonato piange nella notte. Quel neonato è il Dio con noi. Mistero di fede e di ragione. Il Bambinello nel presepe ci costringe ad arrenderci. Capiamo e non capiamo. Il mistero è questo, una realtà che supera ma non cotraddice la ragione.Ogni anno in questi giorni c’è chi si lamenta del costo eccessivo delle luminarie e chi, invece, ne gode e ne gioisce. C’è chi si ferma a contare il numero dei credenti che vanno a Messa e chi, invece, guarda ai bambini del terzo mondo. Chi si sente in diritto di rimproverare le mamme per aver ceduto alla tentazione di arricchire la tavola e chi ha bisogno di quel poco di superfluo per continuare il viaggio faticoso della vita.In quanto a me, sono contento di vedere la gente contenta. C’è nell’aria, in questi giorni benedetti, un non so che di speciale, qualcosa cui tanti non sanno dare un nome che ti invita a riprendere le forze, a guardare avanti, ad andare oltre. A non arrenderti. A condividere il poco che hai con chi ha meno di te.Da dove viene questa gioia immotivata? Che cos’è? Una grazia particolare? Un dono inaspettato del Dio bambino? Non lo so; so solo che ho imparato ad andarci piano nel giudicare. La grazia non sempre avanza per le vie collaudate e sicure, a volte riesce a scovare sentieri sconosciuti e impervi che arrivano diritti al cuore.«Chi sono io per giudicare?» ha detto un giorno papa Francesco. Già, chi sono io? “ E’ vero, a Natale si è tutti un po’ più buoni, ma poi passa” dice qualcuno. Può darsi che sia vero, ma intanto è già un fatto che a Natale, chissà perché, avvertiamo una spinta ad essere più buoni.Approfittiamone. Questa bontà potrebbe aprire la porta a non poche sorprese. Immergiamoci in questo giorno di Natale. Senza la paura di essere iprocriti, di non sapere poi perseverare. Fidiamoci. Viviamo questo giorno con lo stupore dei bambini. Lasciamoci condurre per mano da un angelo sconosciuto. Un angelo che potrebbe avere il volto di un amico, della mamma, di un sacerdote o di un senzatetto.Guardiamo con occhi nuovi, innocenti, complici il mondo dei giovani. Non è vero che sono tutti uguali, egoisti, superficiali.Da Napoli centro, lunedì 23 dicembre, una trentina di giovani sono arrivati in parrocchia. Gioiosi, sorridenti, chiassosi, spigliati. Hanno le macchine zeppe di alimenti per le famiglie più povere. Non ci conosciamo di persona, non ci siamo mai visti prima, evidentemente, hanno saputo che nel nostro quartiere tante famiglie sono veramente povere e si sono dati da fare.Avrebbero voluto consegnare di persona i pacchi doni, ma hanno capito che con i poveri occorre essere discreti. La nostra generosità non deve offuscare la loro dignità. Hanno portato inoltre centinaia di libri per aiutarci ad allestire una biblioteca. I nostri ragazzi hanno bisogno di leggere, studiare, confrontarsi per poter mettere le ali.Siamo stati bene insieme; abbiamo scherzato e riso; abbiamo scattato foto davanti al presepe e ci siamo scambiati gli auguri. Poi hanno ripreso la strada per Napoli.Di gesti belli come questi, in Italia e nel mondo, in questi giorni ce ne sono stati a migliaia. Quanta carità è passata per le nostre chiese, quanti sorrisi sono stati accesi su volti sconosciuti da persone sconosciute. Per amore di Dio, per amore dell’uomo o solo perché costretti da una forza misteriosa.Come un fiume carsico tanto bene è scivolato per le nostre mani per finire nelle mani dei poveri. Questa notte le chiese si riempiranno di persone. Tante sono credenti osservanti, altre credenti occasionali, altre ancora non credenti col cuore aperto e pieno di nostalgia.Attorno al presepe c’è spazio per tutti. Nessuno si permetta di sentirsi il proprietario della mangiatoia. Nessuno ha il diritto di sentirsi migliore; a nesssuno è dato di poter giudicare coloro che durante l’anno non si sono visti a Messa o sono stati incoerenti con la fede. No, ciò che accade nel cuore di tanta gente in questa notte benedetta è un miracolo che nemmeno il diretto interessato riesce a decifrare. Facciamo silenzio. Inginocchiamoci. Adoriamo il Dio- bambino.
DI LUCE IN LUCE
Eppure, a ben pensarci, la bramosia di possesso, di potere, di piaceri che tanto ci attanaglia, potrebbe essere una prova dell’esistenza di Dio. Di certo sta a dimostrare che l’uomo non si accontenta di ciò che mangia. Che ha dentro una voragine che lo attrae e gli fa male e che tenta di colmare in tutti i modi. Che gli fa guardare al futuro con una sorta di paura e di apprensione. E poi quella domanda che ci martella in testa e ci sveglia nel cuore della notte: ma davvero, poi, finisce tutto? E se ci fosse un Oltre? Che so, una sorte di secondo parto? E la mente che si arrovella a pensare all’origine della vita. Tutti, credenti, agnostici, atei, non possono non avvertire le vertigini quando si mettono a indagare. Ma da dove è sbucato il sole? E quell’ immenso oceano di stelle? E la vita umana? Da impazzire. La nostra mente non regge. Tutto è così folle. Tutto così vero. Tutto così strano. Tutto così bello. Siamo avvolti nel mistero. Questa vita, bella o brutta, ricca o povera, ci appartiene. E noi la stiamo attraversando. Questo è il nostro tempo. Un altro non ci sarà dato. Lo dobbiamo assaporare a piccoli sorsi, come si fa col vino buono. La vita è nostra ma non ne siamo i padroni. Dio, poi. Nessuno lo ha mai visto. C’era il rischio che gli uomini si sbagliassero su di lui. Che lo immaginassero collerico e dispotico, prepotente e vendicativo. Non doveva accadere. Assolutamente. Sbagliandosi su Dio, l’uomo avrebbe sbagliato su tutto. Perciò venne in mezzo a noi, si fece uomo come noi. L’Incarnazione è la prova che l’uomo non ha prezzo. Non potrà essere comprato o venduto; ingannato o barattato. Vale più di tutto l’universo messo insieme. Nel bimbo di nome Gesù, Dio annulla le distanze tra il cielo e la terra. Ci dice chi siamo. Di che cosa abbiamo bisogno. Ci fa la diagnosi e ci indica la terapia. Dal giorno in cui venne ad abitare in mezzo a noi chiunque può gustare la felicità. Chiunque può raggiungere la vetta della sua umanità. Gesù di Nazaret ci mette in guardia da noi stessi. Dai rischi e dai pericoli che ci insidiano. Non solo ci indica la via, ma Egli stesso si fa via. “ Per questo t’amo. Altri mi additavano mete. Tu mi hai rifatto la strada sotto i passi…” canta don Giuseppe Centore, prete campano. Ci fa toccar con mano la bellezza e la fragilità della nostra vita e ci invita a dissetarci alla pienezza della Sua. Ci implora: « Venite alla sorgente. Non si paga niente. Venite a dissetarvi…». Tutto è dono. Tutto è grazia. Suo Padre è anche nostro padre. Dal giorno in cui l’ Emmanuele fece il suo ingresso nella storia. il mondo non è più lo stesso. Dio ama abitare e riposare in mezzo a noi. Da quando il vagito di Gesù Bambino rallegrò la gelida notte di Betlemme, la speranza non è più una semplice parola. Dio si è fatto uomo per stare accanto all’uomo. Meglio, per fondersi con l’uomo. Incredibile. Stupendo. Gesù, vero Dio e vero uomo, ci dice che ogni uomo gli appartiene. Uomo,per te Dio è nato, per te Dio è morto. A te Dio si dona. E riterrà fatto a sé tutto il bene che avrai fatto a tuo fratello. Asciuga, dunque, le sue lacrime. Dagli da mangiare. Stagli accanto quando vacilla. Niente andrà perduto. Anzi, per l’eternità – ritornano le vertigini! – sarai ricompensato. Punta al Verità. Bussa. Cerca. Indaga. Ne hai il diritto. Fallo, prima che questo breve giorno ti consegni all’ombra della sera. Fidati delle istanze più profonde del tuo cuore. In questo dolcissimo e misterioso giorno di Natale, arrenditi. Inginocchiati davanti alla Grotta e, se ne hai voglia, piangi. Non ne provar vergogna. Getta sul Bambinello il peso che ti opprime e lasciati cullare. Non resterai deluso. Passerai di luce in luce. Di gloria in gloria. Buon Natale.
Padre Maurizio Patriciello
Sul senso più profondo del Natale, oltre folklore e retoricadi Alberto Maggi*Quale verità intendono trasmettere gli evangelisti con la nascita di Gesù che si celebra con il Natale? Su ilLibraio.it la riflessione del biblista Alberto MaggiIL SALVATORECon la Lettera apostolica Admirabile signum, Papa Francesco incoraggia a realizzare, in ogni forma possibile, “la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze…”. Il Papa afferma inoltre che il presepe “manifesta la tenerezza di Dio”, che in Gesù “si abbassa alla nostra piccolezza”.Indubbiamente il presepio può aiutare a riflettere e attualizzare, nella realtà quotidiana, l’evento della nascita del Bambino, per essere poi capaci di incontrarlo “nei fratelli e nelle sorelle più bisognose”. Ma perché questo sia possibile, è importante conoscere il significato dell’episodio evangelico che con il presepio si intende raffigurare, altrimenti si rischia di ridurre il tutto a sola tradizione o a puro folklore. Quando infatti si fa prevalere il sentimento sul significato, si corre il rischio di considerare il Natale alla stregua di una leggenda o di una bella favola, come quella di Babbo Natale, che fa certamente vibrare per qualche giorno le emozioni, ma poco o nulla incide nella vita degli uomini, e poi, passato il Natale, si ripone via, come le luci e gli addobbi natalizi.Quale verità intendono trasmettere gli evangelisti con la nascita di Gesù che si celebra con il Natale? La buona notizia che essi annunciano è che il progetto, che da sempre Dio aveva sull’umanità, prima ancora della creazione del mondo, che ogni uomo potesse diventare suo figlio, e avere così la sua stessa vita divina (Ef 1,4-6), una vita indistruttibile, eterna, si è realizzato storicamente in Gesù di Nazareth (“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, Gv 1,14) e, attraverso di lui, incessantemente proposto a tutti: “A quanti l’hanno accolto ha dato la capacità di divenire Figli di Dio” (Gv 1,12).Il Natale che viene presentato dagli evangelisti è una lettura, o interpretazione teologica della nascita di Gesù alla luce della sua morte e risurrezione e, per questo, quelle della natività e prima infanzia di Gesù, sono pagine altamente significative e ricche di verità teologiche. Per scoprirle occorre procedere a un’operazione di pulizia togliendo quelle sovrastrutture, anche belle, che hanno finito per soffocare e nascondere il significato profondo della narrazione evangelica, attirando l’attenzione su dettagli inesistenti o secondari a scapito delle verità trasmesse. L’evangelista più antico, Marco, non accenna minimamente alla nascita di Gesù, e presenta il Cristo già adulto, al momento del battesimo nel fiume Giordano da parte di Giovanni il Battista (Mc 1,9-11), deciso a iniziare la sua missione di presentare agli uomini il vero volto di Dio, un Padre amante di ogni creatura. L’evangelista considerato più recente, Giovanni, offre della venuta del Figlio di Dio una ricca interpretazione teologica, senza però dare alcuna indicazione sulle sue origini (Gv 1,14). Solo Matteo e Luca narrano la nascita del Cristo, ma la loro intenzione non è quella di descrivere minuziosamente la cronaca del giorno, mese e anno, completamente sconosciuti, in cui a Betlemme, da Giuseppe e Maria è nato un maschietto al quale hanno posto di nome Jeshu’a, “Il Signore salva” (l’equivalente di “Salvatore”). Negli evangelisti non si trova nulla della retorica della data, il venticinque dicembre, del freddo e del gelo, dell’ora tanto mistica (mezzanotte), dell’angosciante disperata ricerca di Giuseppe di un luogo dove far partorire la moglie, ormai prossima a dare alla luce Gesù, della nascita del bambino in una grotta o stalla, della presenza dell’asino e del bue, della cometa, di tre re venuti per adorare il Bambino…Quel che gli evangelisti intendono trasmettere, è che con Gesù “venne nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9), ma se ne sono accorti quanti vivevano nelle tenebre. La nascita del Salvatore è stata recepita solo da quelli che sentivano la necessità della salvezza. In Luca sono i pastori (“È nato per voi un Salvatore”, Lc 2,11) considerati appartenenti alle categorie più disprezzate ed emarginate, e in Matteo sono i magi (Mt 2,1-12), abominevoli persone non solo perché pagane, quanto perché dedite a un’attività severamente proibita dalla Bibbia (Lv 19,26; At 8,9-24) e vietata ai Giudei: “Chi impara qualcosa da un mago merita la morte” (Shab. b. 75a). La buona notizia del Natale è per questi. Dio in Gesù si manifesta come un Signore che non è buono, ma esclusivamente buono, un Padre che ama i suoi figli non perché questi lo meritino, ma perché Lui è buono. L’amore del Padre non è concesso come un premio per i meritevoli, ma come un dono per i bisognosi. Il Dio che in Gesù si manifesta, è come il medico che non è venuto per i sani ma per i malati, non per i giusti ma per i peccatori (Mt 9,13). Un Dio che in Gesù “non spezza la canna incrinata”, e neanche spegne “una fiamma smorta” (Mt 12,10), che non taglia e getta nel fuoco l’albero che non porta frutto (Mt 3,10), ma cerca di rianimarlo, zappando attorno alle radici e mettendo il concime per vivificarlo (Lc 13,8).La buona notizia del Natale è che Dio non sta dalla parte dei potenti, che è venuto a rovesciare dai loro troni, né dalla parte dei ricchi, che rimanda a mani vuote, ma è venuto a innalzare gli umiliati e a ricolmare di beni gli affamati (Lc 1,52-53), perché “quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto… (1 Cor 1,28), e come una pietra, che gli uomini scartano perché giudicano non adatta alla costruzione, proprio quella Dio usa come la più importante (Mt 21,42). Per questo, nel vangelo di Giovanni, saranno i samaritani, il popolo disprezzato dai Giudei, e ritenuto una razza bastarda (2 Re 17,6.24), tanto da essere trattati peggio dei pagani, e considerati nemici di Dio, quelli che riconosceranno e accoglieranno Gesù, quale “salvatore del mondo” (Gv 4,42).*Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere.Maggi ha pubblicato diversi libri, tra cui: Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita, Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi, L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita, Di questi tempi e Due in condotta.